Il buon cuore - Anno XII, n. 21 - 24 maggio 1913/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XII, n. 21 - 24 maggio 1913 Religione

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NEL PRIMO CENTENARIO DI FEDERICO OZANAM


Un Apostolo della fede e della libertà

(Continuazione del numero 19).



LA FERVIDA VITA.


Il 23 aprile a Milano vedeva la luce Antonio Federico Ozanam di una, famiglia di origine israelita, condotta in Italia dalle guerre napoleoniche, ma che presto, tre anni dopo, ritornò a stabilirsi a Lione. Il fanciullo, che tanto nome era destinato a conseguire nella storia religiosa, letteraria e politica del suo paese, ebbe il battesimo il 13 maggio successivo alla sua nascita nella chiesa di S. Maria dei Servi, la quale sorgeva ove ora è la chiesa di S. Carlo in corso Vittorio Emanuele: chi vi entra e visita la cappella di S. Vincenzo potrà leggere una bella iscrizione dettata dal padre Mauro Ricci che meritamente consacra alla memoria dei milanesi il nome dell’illustre concittadino d’occasione.

Rimpatriato Antonio Federico ricevette nel Collegio reale di Lione una coltura ricca e variata, la quale sviluppò nel suo spirito quei germi di poesia che lo portarono poi a gustare, a desiderare, a cercare, a creare perfino l’armonia tra i pensieri e gli affetti, tra i fatti e le leggi, tra la verità e la bellezza.

Il suo spirito cominciò a fortificarsi e ad uscire dalle compiacenze puramente letterarie, quando si accese in lui l’eterna battaglia tra la scienza e la fede: l’abate Noirot, che fu suo maestro di filosofia, gli apprestava colla sua dialettica un tesoro di cognizioni più che sufficiente a costituire la solida base di un pensatore cristiano; ma Ozanam stesso si racconta che il formarsi del suo pensiero rigorosamente cattolico non fu senza ostacoli, e che il dubbio gli fece versare molte lagrime.

Felicemente superata la crisi, non ebbe più esitanze; al contrario si destò in lui quello spirito e a quel bisogno di apostolato che è sempre l’effetto di una battaglia spirituale decisivamente superata.

Mentre per assecondare il desiderio paterno faceva la pratica legale, e per seguire la propria vocazione attendeva allo studio delle lingue e delle lettere, cominciò la sua vita di pubblicista, prima scrivendo articoli per l’Abeille, una rivista che si pubblicava a Lione, poi affrontando il sansimonismo,allora in voga, con un saggio che fece molto rumore, e che gli meritò le congratulazioni di Lamartine e di Lammenais, meritate non tanto per il valore intrinseco, quanto per la promessa che contenevano e che non fallì.


Alla Sorbona.


Aveva appena diciotto anni quando intraprese gli studi dì giurisprudenza alla Sorbona e fu lanciato nella vita della capitale: il giovane ebbe a conforto e a difesa l’ospitalità e l’esempio di Andrea Ampere, Illustre fisico, uomo di grande fede e di intemerati costumi, ebbe i ricordi affettuosi della sua volontà deliberata e combattere sempre. L’ambiente francese e specialmente parigino e più specialmente ancora universitario, ’era in quei tempi in un periodo di trasformazione; s’andava delineando, parallelamente, agli avvenimenti politici, un risorgimento dello spiritualismo cristiano sotto gli auspici di Chateaubriand e di Lamartine. Ozanam divenne subito il centro di un gruppo di studenti deciso a seguire a a favorire con entusiasmo il benefico rinascimento; essi cominciarono col reagire in modo educato ma vivace alle bestemmie che piovevano dalle cattedre della Sorbona; poi s’interessarono vivamente presso monsignor di Quèlen allora arcivescovo di Parigi perchè acconsentisse a che sulla cattedra di Notre [p. 162 modifica]Dame si ponesse un oratore, l’insegnamento del quale, uscendo dal tono ordinario del sermone, assumesse carattere scientifico e • si adattasse ai grandi bisogni del tempo, e vi riuscirono più tardi dopo un periodo di aspettazione seminato di amarezze per loro e per colui che fu il primo titolare di questa cattedra resa così celebre dagli uomini variamente illustri prepostivi dal 1835 al 1873, da Lacordaire a mons. d’Hulst; e infine fondarono la conferenza di storia, nella quale giovani cattolici e non cattolici si radunavano a disputare fra di loro dei più alti argomenti di storia, di filosofia e di letteratura con una vivacità la quale parve così pericolosa che l’Ami de la religion, giornale allora autorevole, credette opportuno di intervenire con una nota di disapprovazione. Eppure quei volonterosi non si proponevano se non che rimettere a base dell’ordinamento politico e sociale i principali cristiani, facendoli amare per la loro bOntà e per la loro bellezza. Fu nella primavera del 1833 Ozonam aveva che, riuniti in una dunque venti anni soltanto cameretta da studente, i giovani oratori della Conferenza di storia decisero di fondare un’opera nuova: non si sa chi in quella riunione abbia pronunciato le parole «fondiamo una conferenza di carità». Potrebbe bene essere stato Ozanam, scrive l’abate Carlo suo fratello, ma nessuno dopo.se ne ricordò mai precisamente; è quindi a rigor di termine impossibile parlare del fondatore della società di S. Vincenzo de’ Paoli; bisogna parlare di fondatori; ma essa ha con tutta coscienza il diritto di ritenersi figlia di Federico Ozanam dal momento che egli era l’anima del gruppo di amici che presiedette alle origini. ha prima conferenza. Intesi col signor Bailly, che fu poi il primo presidente della prima Conferenza e in seguito del primo Consiglio superiore, i giovani promotori poterono presto concretare la loro idea: cominciarono a radunarsi negli uffici del giornale La tribune catholique, e nel maggio dello stesso anno 1833 la prima Conferenza era fondata con otto membri, tra i quali naturalmente c’era l’Ozanam: subito si intrapresero le visite e i soccorsi dei poveri a domicilio: si scelse S. Vincenzo de Paoli a protettore e si iniziò quell’attivo lavoro di propaganda che a poco a poco procurò alla società la diffusione che oggi tutti vediamo e ammiriamo. La seconda Conferenza nacque da una divisione della prima, quando i membri di questa si trovarono così numerosi che qtiasi la sala dí riunione non li capiva; presto venne una terza, anche questa in Parigi; poi se ne istituirono a Nimes, a Lione, a Nantes, a Rennes, a Toulouse; poi la società oltrepassò i confini della Francia; e fu allora che si sentì il bisogno di istituirle un Consiglio superiore e di darle la forma che essa conserva anche attualmente: il numero delle conferenze raggiungeva due anni dopo la morte di Ozanam quello di 2814, e le sue erogazioni erano salite dalle 2800 lire distribuite nei pri mi due anni fino alle 3,123,883 lire distribuite nel 1855; cifra che è ben lontana dal segnare un massimo, giacchè scorrendo le statistiche si trova che ha oltrepassato nel 1877 i tre milioni. Ozanam non trascurava tuttavia gli studi. Nel 1835 s’accinse mentre faceva il penultimo corso di legge, a seguire i corsi necessari per conseguire la licenza,in lettere; e intanto scriveva nella Revue européenne, e conduceva a termine in questo stesso periodo una pregevole monografia storica sui due cancellieri d’Inghilterra, Bacone da Verulamio e Tommaso di Cancorbery, la quale segna un gran passo innanzi confrontata col saggio sul sansimonismb,mentre è ancora molto giovanile se considerata di fronte alle opere posteriori. Finalmente nelle vacanze del 1836, conseguita la laurea in giurisprudenza, dovette lasciare Parigi per tornare a Lione. Ma l’anno dopo gli moriva il padre; onde si trovò allora sulle braccia la madre malaticcia da assistere — perchè i due suoi fratelli, prete l’uno, studente l’altro, erano trattenuti lontani dalla casa — e l’amministrazione domestica a cui attendere. Ma si sentiva insufficiente a queste cure; egli sospirava una cattedra che gli assicurasse una occupazione più conforme al suo carattere ed ai suoi studi: intanto assunse la redazione degli Annales de la propagation de la foi e malgrado la sua ripugnanza si iscrisse nell’albo degli avvocati; ma, in questo periodo di tempo tornò a Parigi per conseguirvi la laurea in lettere, -ottenuta dopo una solenne discussione che ebbe luogo in presenza dei più illustri professori della Sorbona, uno dei quali, il Cousin, all’udirlo parlare della filosofia di Dante, dovette dirgli: a signor Ozanam, è impossibile essere più eloquente di voi». L’anno seguente egli rimaneva solo, si può dire, al mondo; anche la madre gli moriva, e allora si trovò richiamato naturalmente a riflettere sul suo avvenire; per un momento pensò a consacrarsi a Dio in uno stato più perfetto di quello al quale fino allora aveva mirato; già qualche mese prima Lacordaire dal suo noviziato della Quercia, nel quale era da poco entrato, lo aveva incitato a seguirlo nelle schiere di S. Domenico, e Ozanam ne aveva chieste le regole; ma ora, ora che il momento di scegliere era venuto, parecchi se lo contendevano: Cousin lo voleva nell’insegnamento universitario, Montalenberc redattore di un giornale che stava per fondare; ed egli, non ancora ben deciso, cominciò ad ogni modo il suo corso di diritto commerciale nel dicembre 1839 sulla cattedra per lui appositamente istituita in Lione e continuò per quaransette lezioni; disimpegnava l’incarico, nel modo che più all’indole sua poteva accomodarsi, cioè occupandosi specialmente del diritto come ramo della filosofia e della storia: presto però trovò un campo migliore, invitato l’anno seguente da Sousin a prender parte al concorso indetto a Parigi per un posto di aggregato alla cattedra di letteratura straniera della Sorbona, riuscì primo, malgrado la breve preparazione che potè [p. 163 modifica]fare, supplente di Fauriel, ormai vecchio e stanco, trattando della letteratura tedesca e specialmente dei Niebelungen e della lirica di Minnesinger dopo essersi preparato con un viaggio sulle rive del Reno, raccogliendo così i materiali per una delle sue opere principali, I Germani prima del Cristianesimo, pubblicata solo nel 1847, la quale è la seconda di polso da lui data alla luce — la prima, Dante e la filosofia cattolica, era comparsa nel 1839. ha vocazione.

lava e si restaurava la repubblica, si trovava disposto a conSiderare con fiducia e con simpatia, i nuovi avvenimenti: manifestò le sue idee politiche nel programma agli elettori di Rhòne quando si presentò candidato alla Costituente, e in un discorso al Circolo cattolico sopra i pericoli e le speranze di Roma, discorso che fece impressione perchè con esso si poneva direttamente contro le idee dei maggiori giornali cattolici e si rivelava apertamente convinto della possibilità di una democrazia cattolica. hacordaire e Illaret.

Durante questi avvenimenti la sua vocazione si era decisa, e dopo i primi sei mesi d’insegnamento si univa in matrimonio con Amelia Soulacroix (ne ebbe una figlia.) che gli fu degna Compagna, gli sopravisse, e divenne l’editrice solerte e coscienziosa delle sue opere. Ma l’intenso e febbrile lavoro della gioventù gli aveva logorata la salute. Per ristorarla e per accrescere insieme il materiale delle sue ricerche, egli che col padre, colla madre e coi fratelli aveva già nel 1833 fatto un viaggio in Italia, fino a Roma, con un mese di soggiorno a Firenze, nel 1841, volle spingersi fino in Sicilia, completando così l’esame di questa terra nostra, che fu davvero per lui una seconda,patria, e che colla dolcezza del suo clima, colla grandezza delle sue memorie parlava al suo cuore ed alla sua fantasia un linguaggio affascinante, quale non è dato comprendere a tanti’ di noi italiani. Così nel suo corso del 1842-1843 cominciò a trattare della storia letteraria dell’Italia dopo Carlo Magno, il piano di questa parte importante del suo, insegnamento espose l’anno stesso’ in un articolo comparso sul Correspondant e intitolato la tradizione letteraria in Italia, studio quasi contemporaneo al saggio sul buddismo che,scrisse per gli Annales de la propagation de la foi. Ozanam intanto partecipava all’azione, prendeva parte alla vita pubblica nelle forme e coi metodi che il suo carattere gli suggerivano migliori: faceva conferenze al Circolo. cattolico di Parigi, e nel 1844 prendeva parte alla campagna in favore della libertà d’insegnamento contro il monopolio dell’università ufficiale, alla quale pure apparteneva. L’infaticabile assiduità al lavoro andava però sempre più logorando le sue forze, e poco mancò non gli anticipasse di alcuni anni la morte nel 1846, quando una febbre perniciosa lo ridusse in tale stato che i medici dovettero imporgli un anno di riposo: Ozanam deliberò di impiegarlo con un nuovo viaggio in Italia. Rivide così Firenze, rivide Roma, e nelle biblioteche, nelle catacombe, nelle basiliche, nella contemplazione della natura umbra attinse l’ispirazione e i materiali per una delle sue opere più belle: T poeti francescani nel secolo XIII: mentre nel turbine di idee e di sentimenti che s’agitavano allora intorno al nome di Pio IX appena eletto, egli si venne confermando nelle simpatie che già lo legavano alla causa cattolica: onde quando pochi mesi dopo il suo ritorno in Francia il trono di Luigi Filippo crol Erano con lui Lacordaire e l’abate Maret, o meglio egli era con loro, perchè è giusto non assegnargli íl primo posto dove non gli spetta; onde accettò di far parte della redazione di un gionale L’ère nouvelle, che colla piena approvazione di mons. Affre, arcivescovo di Parigi, cominciò a pubblicarsi nel 1848 ed ebbe un successo grandissimo ma momentaneo, perchè visse cinque mesi, aspramente combattuto da Luigi Veuillot e. dall’Univers. Nel 1848 gli avvenimenti lo chiamarono alle armi: a Parigi erano sorte le barricate; ed Ozanam che il 25 giugno faceva il suo servizio come guardia nar zionale, ebbe l’idea di indurre l’arcivescovo di Parigi, mons. Affre, a interporsi nella lotta sanguinosa, pensando che sarebbe stato un trionfo importante per la Chiesa, se egli fosse riuscito a por fine alla guerra civile. Mons. Affre non disse di no alla proposta di Ozanam; accompagnato da lui e da due suoi colleghi, in abito prelatino, colla croce pastorale sul petto, uscì dal suo palazzo, acclamato per recarsi all’assemblea nazionale a domandare il permesso del generale Cavaignac che glielo concesse e lo incaricò di un messaggio di pace agli insorti; poi confessatosi, seguito dal suo vicario generale e preceduto da un cittadino che recava una banderuola bianca, salì sulla prima barricata mostrando il proclama; ma un colpo di fucile partì da una finestra, e il prelato colpito a morte cadde gridando: a che il sangue mio sia l’ultimo versato!». Questo avvenimento deve aver lasciato una impressione profonda nell’animo di Ozanam e associato ai molti altri dolorosi avvenimenti di quel tempo contribuì non poco a scuotere la sua fibra già fragile e logora. Benché attendesse continuamente alla stampa delle sue opere, alle conferenze di S. Vincenzo, alle riunioni del Circolo cattolico, la sua salute precipitava inesorabilmente, e gli amici indovinavano con dolore che pochi anni gli rimanevano. Quasi tutto ciò non bastasse, un dolore intimo e profondo veniva a colpirlo: i suoi scritti e i suoi discorsi, improntati a spirito di carità e di tolleranza, gli, avevano creata intorno una atmosfera di sospetti, che addensandosi sempre più, giunse a concretarsi in una accusa di eterodossia; tantochè suo fratello l’abate Carlo Ozanam, nella vita che ne scrisse, narra che nel 1858 il card. Sacconi, allora nunzio a Parigi, gli domandava: a voi che siete teologo, ditemi [p. 164 modifica]dunque se vostro fratello era proprio ortodosso!». Ozanam era preoccupato ed afflitto, pensò di scrivere un opuscolo in difesa della propria fede e del proprio onore; ma fu dissuaso dal pubblicarlo. Gli ultimi anni. Intanto, costretto a sospendere l’insegnamento per la sempre malferma salute e a cercare nei viaggi e nelle stazioni climatiche un po’ di rìstoro, visitava negli ultimi anni di sua vita l’Inghilterra e la Spagna; e poichè il mezzogiorno pareva prestarsi ai bisogni del suo corpo, esaurito, e l’Italia si prestava sempre generogamente all’ufficio di seconda patria, sulla fine del 1852 decise di venirsi a stabilire in Toscana: non è a credere che egli viaggiasse da ammalato; no; in tutte le città nelle quali passava cercava gli amici, i santuari, le biblioteche, e specialmente nei luoghi dove la società di S. Vincenzo de’ Paoli aveva qualche rappresentanza, compariva a confortare i contratelli, e a incalorarli colla sua parola affascinante e ardente di carità; si può dire che quest’opera l’abbia davvero occupato fino agli ultimi giorni della sua vita. Ogni cura però fu vana; nel 1853, dopo aver passato l’inverno a Pisa, venne a stabilirsi ad Antignano presso Livorno, e qui cadde gravemente ammalato; la moglie e il fratello che l’accompagnavano si decisero allora a ricondurlo in patria; ed a Marsiglia, qualche giorno dopo essersi sbarcato, nella festa della Natività di Maria gli occhi suoi si chiusero per sempre al mondo per riaprirsi nell’eterno lume. Qualche mese prima, nell’aprile, aveva scritto il suo testamento, documento prezioso che riassume tutta la sua vita, che dimostra il vigore della sua vita, che dimostra il vigore della sua fede, la dolcezza deí suoi affetti, la grandezza insomma dell’anima sua. «Io pongo l’anima mia nelle mani di Gesù Cristo, mio salvatore, atterrito dalle mie colpe ma pieno di fiducia nella misericordia divina, muoio nel seno- della Chiesa cattolica, apostolica, romana. Ho conosciuto i dubbi del secolo presente, ma tutta la Vita mia mi ha convinto che non v1 è riposo per lo spirito e per il cuore se non nella fede della Chiesa e nella sommissione al suo autorevole potere. E se in alcun conto piacemi di tenere i miei lunghi studi, così mi adopero perchè essi mi dieno il diritto di scongiurare gli amici a perdurare fedeli in una religione in cui ho trovato e lume all’inteletto e pace al cuore. L’ultima preghiera che io rivolgo alla famiglia, alla consorte, alla figlia mia, ai fratelli e cognati miei e a tutti quelli che nasceranno da loro, questa si è, che persistano nella fede nonostante le umiliazioni, gli scandali, le diserzioni di cui saranno testimonii. Alla mia tenera Amelia, gioia e vaghezza della mia vita, e le cui cure si dolci hanno confortato per un anno intero i miei mali, rivolgo un addio. breve come le cose tutte della terra; la ringraíio, la benedico, l’aspetto: solo nel cielo potrò adeguatamente ricambiarle quell’amore che le debbo. Dò a

mia figlia la benedizione dei patriarchi nel nome-del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo... n. Tale fu Antonio Federico Ozanam; unó degli illuStratori più eloquenti, dei difensori più convinti delle glorie della civiltà cristiana; uno degli scrittori che con maggiore assiduità abbiano messo a servizio della verità i frutti delle nuove ricerche letterarie e storiche; uno infine di quei pensatori che subordinarono, o meglio uniformarono, tutto il loro disegno scientifico alla restaurazione dell’ordine sociale cristiano. F. M.