Il buon cuore - Anno XIII, n. 03 - 17 gennaio 1914/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 03 - 17 gennaio 1914 Religione

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I Cristiani e l'incendio di Roma1


Il prof. Carlo Pascal in una sua monografia «L’incendio di Roma e i primi cristiani», dopo avere scagionato Nerone dall’incendio del 64, per essere senza valore gli annedoti e osservazioni di Svetonio e Dione Cassio per aver avuto Nerone indole più di vile malvagità che di feroci iniziative, pretende dimostrare che l’incendio fu appiccato dai cristiani stessi. «Era viva tra loro l’aspettazione di un rinnovamento sociale che, sterminati gli empi, effettuasse il sogno vagheggiato dell’uguaglianza umana e il regno della giustizia. Specialmente i tanti schiavi convertiti alla nuova fede, dovevano sentire prepotente la brama di una rivendicazione, e a tali idee si accostavano facilmente quei malvagi, che formano il substrato tenebroso della società, sempre pronto a spuntar fuori nei giorni torbid e abbandonarsi ad ogni eccesso. Eran forse questi», soggiunge il Pascal, «coloro contro i quali moveva lagnanze S. Paolo nella sua lettera ai Filippesi, chiamandoli nemici della croce di Cristo (III, i8), la fine dei quali è la perdizione, il Dio dei quali è il ventre, i quali della propria confusione fanno gloria(III, 19). Questi fanatici, sentendo annunziare come imminente la fine del mondo e il ritorno di Cristo, pieno ancora

l’animo delle idee pagane, diffuse specialmente tra gli stoici, di una combustione cosmica, qual meraviglia abbiano concepito e attuato di bruciar Roma, credendo essi di affrettare le vie del Signore? E che l’abbiano fatto è testimonio Tacito, il quale nel capitolo 44 del XV libro degli Annali espressamente dice, che i primi arrestati confessarono di essere stati gli incendiari». Ora questa opinione è falsissima e non risponde in alcun modo alla verità storica. Infatti, fra tutti gli scrittori che hanno trattato dell’incendio di Roma, non se ne trova neppur uno che incolpi di tal delitto i cristiani. Svetonio lo addebita direttamente a Nerone e quando tratta dei cristiani e dei provvedimenti presi a loro riguardo, non fa allusione alcuna all’affare dell’incendio. Dei cristiani si tratta in una serie di provvedimenti, che erano adottati da Nerone per il pubblico bene. Di essi si dice semplicemente, che furono condannati al supplizio i cristiani gente di superstizione nuova e malefica (capito]. t6). Ora avrebbe fatto certamente buon giuoco agli scrittori del paganesimo di riversare sopra questa gente di superstizione nuova e malefica l’accusa dell’incendio, se di esso fossero stati ritenuti capaci. Nè questa accusa può basarsi sull’idea escatologica dell’imminente rovina del mondo; poichè, se anche vi furono alcuni fra i primi cristiani che poterono illudersi su tale cataclisma, male interpretando alcuni passi del Vangelo e delle Sacre Scritture, tuttavia il carattere di quei primi cristiani eri ben lungi, come osserva anche il Negri, da renderli capaci di tanto delitto. Quanto poi al passo di Tacito, dal quale il Pascal vorrebbe dedurre la confessione da parte dei cristiani stessi d’essere essi gli autori dell’incendio, si deve osservare, che lo storico i-ornano sebbene partecipasse alla comune avversione contro i cristiani, (invisos) evidentemente credendoli rei di atti infami. (flagitia) e di sentimenti ostili alla società (od;um generis humani), onde li chiama sontes e li dichiara meritevoli delle più esemplari punizioni, tuttavia non li credeva colpevoli d’incendio, perchè li presenta come rei subditicii,, o falsamente accusati. Donde consegue, che quando egli scrive: «furono arrestati prima quelli che confessavano», evidentemente vuole affermare quelli che confessavano di essere cristiani, non già di essere incendiarii; Tacito infatti dice che confessavano non di [p. 18 modifica]aver incendiato Roma, ma di essere seguaci del Cristo. Interpretare l’affermazione di Tacito nel senso voluto dal Pascal, significa rinunziare ad ogni retta norma di esegesi e introdurre nell’interpretazione dei testi antichi l’arbitrio e le preconcètte opinioni. Sulle cause della prima persecuzione neroriana il Coen col Milmam (Storia del cristianesimo dalla na= scita di Cristo sino all’abolizione del paganesimo nel l’impero romano, Londra r867) osserva innanzi tutto,

i che Tacito ha parlato nello stesso capitolo 44 delle cerimonie espiatorie fatte per placare gli Dei, e della persecuzione contro i cristiani. Siccome tali cerimonie indubbiamente furono fatte subito e precedettero i lavori di riedificazione dei quali Tacito ha parlato prima, questo apparente disordine deve ritenersi, secondo l Coen, come un indizio che nella fonte da lui adoperata, Tacito abbia trovato uniti i due soggetti e che tra l’uno e l’altro debba esistere qualche relazione, indicata forse nella fonte, e da Tacito trascurata. Tale relazione il Coen crede non sia già quella pensata dal Milman, il quale argomentò che i supplizi inflitti ai cristiani fossero considerati come una delle cerimonie espiatorie, cosa poco probabile, ma quest’altra, che sia stata notata l’assensione dei cristiani da quelle cerimonie espiatorie e che, nell’eccitazione degli animi, l’astensione sia stata interpretata dal volgo come un rifiuto a placare gli Dei, e questo come un indizio di partecipazione al delitto che si doveva espiare. Diffusasi questa diceria, non parve vero al governo di Nerone di metter le mani su questi infelici e dalla loro confessione di cristiani argomentare senz’altro la colpabilità e mandarli al supplizio. Anche questa spiegazione del Coen non soddisfa ed è insufficiente. Innanzi tutto Tacito è assai esplicito nel congiungere l’accusa dell’incendio con la persecuzione dei cristiani e su questo punto l’autorità di Tacito ci sembra indiscutibile ammesso il sospetto che gravava su Nerone come autore dell’incendio. Inoltre non si comprende perché solo per i cristiani si debba essete veri: ficata l’astensione dalle cerimonie espiatorie, mentre deve ritenersi per certo che da esse si saranno pure astenuti gli Ebrei. E allora, perché solo per i cristiani l’astensione doveva significare come un indizio di partecipazione al delitto e non per gli Ebrei? Ammessa l’influenza dell’Ebraismo a corte, il tutto si potrebbe facilmente spiegare; ma questa viene escliiSa dal Coen, come si è notato più sopra; rimane perciò sempre a chiedersi: perché i cristiani si, e gli Ebrei no? Ammessa invece l’istigazione da parte degli Ebrei, l’opinione del Coen può accettarsi, trovandosi in essa la soluzione di ogni difficoltà. Quanto all’accusa lanciata contro i cristiani di essere stati gli autori nell’incendio di Roma, accusa pie. namente sfatata, il Benigni ritiene che lo studio attento e spregiudicato delle fonti inclina a far conchiudere, che nemmeno il tiranno Osò accusare i cristiani come autori dell’incendio, ma soltanto- li colpì quali componenti una setta religiosa non solo nuova (e quindi non permessa) ma altresì malefica cioè contraria al be ne sociale, un’associazione delittuosa animata dall’odio del genere umano (Cf. Ou. cit., pag. 203). Il Benigni proverebbe la sua affermazione del silenzio degli scrittori contemporanei, come Svetonio, Tertulliano, Origene, ecc. Quanto poi a Tacito, che realmente tratta di tale accusa, dice che tal testo è da tutti riconosciuto contorto ed oscuro. Su quanto afferma il Benigni si può osservare: è verissimo che Nerone non poteva condannare i cristiani come autori dell’incendio; nessuno meglio di lui poteva conoscere realmente chí ne fosse stato l’autore i ma condannandoli quale una società malefica, odiatrice del genere umano, per ciò stesso li designava alla pubblica opinione quali capaci dell’incendio di Roma. Anzi, siccome fino a quel momento nessuna disposizione legislativa era stata emanata contro i cristiani, il fatto stesso’ di procedere contro di loro nella circostanza dell’incendio era l’argomento più Convincente per tentare di riversare su di loro quell’accusa che l’opinione pubblica faceva ricadere su di lui. Tacito su questo punto ci sembra convincentissimo. Scrive infatti: «. Sequitur clades cioè l’incendio, forte an dolo principis incertum; nam utrumqué auctores prodidere, sed omnibus quae huic urbi per violentiam ignium acciderunt gravior atque atroc’or... Nec qui= squaw, defendere andebat, crebis multorum minis re= stinguere prohibentium, et quia alii palam faces jace= bant, atque esse sibi auctorem vociferabantur, &ve ut raptus licentius exercerent seti jussu (e. 38). Eo tempore Nero Antii agens non ante in urbem regressus est, quam domui eius, qua palatium et Maecaenatis bortos continuaverat, ignis propinquaret». Tacito nar-.

ra quindi cosa abbia fatto in quella circostanza per calmare il furore della plebe: (( Quae quamquam popularia in irritum cadebant, quia pervaserat rumor, ipso tempore flagrantis urbis, iniisse eum domesticam scenam et cecinisse ro;anum excidium praesentia mala vetustis cladibus adsimilantem» (fig. 39. E quanélo ii

sesto giorno estinto l’incendio, tornò a divampare, «plusque infamiae id incendium habuit, quia praediis Tigellini Aemilianis proruperat, Videbaturque Nero condendae urbis novae et cognomento suo appel. landae gloriam quaerere» (40). Da queste parole

di Tacito risulta almeno più che evidente che la opinione pubblica indicava Nerone, come autore dell’incendio. Passa quindi lo storico alla persecuzione cristiana. «Sed non ope fiumana, non largitionibus principis aut derin. placamentis decedebat infamia, quin jussum incendium crederetur». Cioè, non si poteva in alcun modo far cambiare l’opinione pubblica sulla causa dell’incendio. «Ergo abolendo rumori Nero subdidit invisos vulgus Christianos appellabat». Per togliere dunque quel rumore, che l’opinione pubblica additava lui, Nerone, quale autore dell’incendio, punì i cristiani, gente già invisa per delitti che a loro venivano apposti, che potevano quindi essere sospettati anche di aver procurato l’incendio, il che tornava molto comodo, al commediante imperiale. Egli è vero che Tacito scrive in seguito: «Igitur primo correnti qui fatebantur, deinde indicio eorum multando ingens, haud perinde in crimine incendii, quam odio humani generis cohvicti sunti) (44); [p. 19 modifica] ma questo significa che siccome i cristiani accusati di tale delitto, dell’incendio ’cioè della città, si saranno strenuamente difesi e forse fino all’evidenza, di non eSsere essi gli autori dell’incendio, finirono coll’essere ugualmente condannati quali odíatori del genere umano. Ciò però non toglie. che Nerone abbia almeno tentato di farli condannare quali autori dell’incendio e cosi purgarsi innanzi alla pubblica opinione. Tacito parrebbe pienamente ’convinto di ciò, poiché, dopo aver detto de’ supplizi ai quali furono condannati, soggiunge: quamquam adver’sus sonts et novissima exempla meritos, miseratio oriebatur tamquam non utilitate publida, sed IN SAEVITIAM ttnius absumerentur». La prova poi che si vuol dedurre dal silenzio dei polemisti pagani, i quali non hanno affermato che Nerone abbia accusato i cristiani dell’incendio, non esclude che egli lo abbia almeno tentato, per la semplice ragione che tutti erano convinti che Nerone e soltanto Nerone, era il vero responsabile di quel delitto. Così Svetonio, siccome é esplicitamente affermativo nell’accusare Nerone di essere stato l’autore dell’incendiò di Roma, ne segue che egli non parlasse del tentativo fatto da lui (li gettar sui cristiani la colpa dell’incendio, a meno che questi fossero stati ufficialmente condannati per tale delitto. Il che non si verificò. Prima ancora di Svetonio, vecchio’aveva giài denunziato Nerone quale attOère dell’incendio. In principio del XVII libro della sua Storia Naturale, scritta nei primi anni del regno di Vespasiano, parla di certe annose_ piante di loto che durarono verdi e vigorose molti anni «fino All’incendio di Nerone con cui egli bruciò la città», e sarebbero vissute ancora, «se quel prindipé non avesse affrettato la morte anche delle piante». Per Plinio dunque, che scriveva sei anni circa dopo l’incendio, questo era dovuto a colpa di Nerone. (Continua). ‘.k s". "I" ii.r,zsl ‘ ì• 4V /,!"

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