Il buon cuore - Anno XIII, n. 11 - 14 marzo 1914/Educazione ed Istruzione

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Il buon cuore - Anno XIII, n. 11 - 14 marzo 1914 Religione

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Il più grande imperatore cristiano

28 Gennaio 814


Non è peranco spenta l’eco delle solenni commemorazioni costantiniane che un’altra odiosa figura di imperatore cristiano si profila all’orizzonte della storia, rievocata essa pure da una commemorazione più volte centenaria. ’Compiono appunto oggi undici secoli, dacchè nel s uo palazzo d’Aquisgrana, circondato dai sacerdoti (’ dai famigliari, moriva piamenti a 72 anni quel C arlo imperatore, al quale, come a Costantino, i contemporanei diedero e i posteri meritamente conservarono il titolo di grande; egli anzi è l’unico, il sul nome si è talmente fuso col titolo da formare un 11°Ine solo. Tra Costantino e Carlo Magno c’è molta somil iariza che fu già rilevata dagli antichi, per esemiPio dal Pontefice Adriano I, il quale fin dal 777 sal’taiva in Carlo a un nuovo Costantino». Infatti Cost antino fu tra i Romani il primo imperatore cristiatic); Carlo Magno fu tra i cristiani il primo imperatore romano. Quello diffuse in un mondo civile, ma I n prevalenza ancora pagano, i benefizi del cristia,ilesimo; questi diffuse in un mondo semibarbaro, seb’elle in prevalenza cristiano, i benefizi della civiltà della coltura romana. Ambedue trasformarono "rran parte del mondo, favorendo la Chiesa ed aph’ggiandosi al clero. Tutti e due furono sommi ca’)it’arli e grandi legislatori; rifulgono insomma en trambi di splendide glorie, sebbene entrambi non vadano esenti da qualche macchia. In complesso però Carlo Magno supera in grandezza, se non in importanza, lo stesso Costantino, onde non a torto fu chiamato a il più grande imperatore cristiano».

Anzitutto egli fu uno dei più grandi capitani e conquistatori che la storia rammenti; per il numero di battaglie sostenute e di vittorie riportate. Durante quarantasei anni di regno, cioè dal 768 concluse contro i popoli confinanti non meno di cinquantatre spedizioni, nelle quali sempre gli arrise la vittoria: ad eccezione di due volte, l’una contro i Sassoni e l’altra contro gli Arabi a Roncisvalle, forse perchè non diresse egli personalmente la battaglia, Carlo- Magno però, a differenza di Alessandro il grande e di Napoleone, non intraprese queste spedizioni per pura ambizione o mania di conquista, ma o per la legittima difesa dei suoi Stati assaliti, oppure per la difesa degli oppressi; come quando, seguendo l’esempio di Pipino suo padre, discese in Italia per difendere i domini del Papa dalle depredazioni dei Longobardi, secondo che disse l’Alighieri:

E quando il dente longobardo morse La santa Chiesa, sotto alle sue ali Carlo Magno, vincendo, la soccorse. (Par. VI - 95). Il re franco si mostrò sempre ossequentissimo verso la Santa Sede;.ed ogni volta che i Papi, minacciati da qualche pericolo, invocarono il suo soccorso non furono mai delusi nella loro fiducia. Insignito del titolo dia patrizio di Roma» considerò sempre come Suo primo dovere il garantire al Papa il libero esercizio del suo potere e proteggerlo contro ogni attacco. Nella prefazione ai Capitolati egli si chiamava a Devotus sanctae Ecclesiae Dei defensor acque adiutor in omnibus Apostolicae Sedis». Carlo Magno è uno dei pochissimi sovrani, al quale la prospera fortuna e i numerosi successi non fecero smarrire il senno, e che anche in mezzo ai trionfi e ad una potenza quasi smisurata, non si lasciò inebriare e tra [p. 82 modifica]viare da quell’orgoglio, che anela all"assolutismo. -La potestà anche politica dei Papi non gli fece ombra, né -destò, i suoi appetiti; e perciò lungi dal pensare a distruggerla volse ogni cura a fortificarla e amplificarla. Il suo zelo per la causa della religione e per la libertà, della Sede Apostolica fu meritamente com-, pensatcL dal Pontefice Leone III, quando lo elevò all’eccelsa dignità di imperatore romano; la quale cosa avvenne nella notte di Natale dell’800, allorché il Papa, accostandosi al Re, che stava orando, gli pose sul capo una preziosa corona gridando tra le acclamazioni del popolo: it A Carlo Augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore dei Romani, vita e vittoria!» Questo nuovo impero creato da Leone III, e che i suoi successori si riservarono poi sempre di conferire, non poteva evidentemente essere l’antico impero, che i barbari avevano in Occidente da tanto tempo distrutto; ma come indica l’appellativo «sacro» con cui lo si soleva contraddistinguere, era un principato di indole più morale che territoriale, la cui influenza doveva estendersi a tutte le terre, della cristianità; sicché, come il Papa ne era il Capo nell’ordine spirituale, così l’Imperatore ne divenisse in certa guisa il Capo nell’ordine materiale. L’imperatore però non acquistava veri diritti politici sugli altri regni, ma solo contraeva il dovere di tutelare col suo potere gli interessi della religio: ne, di porgere aiuto agli altri principi cristiani e particolarmente al Papa, quando venissero ingiustamente assaliti, ecc. Con questa istituzione i Papi proclamarono altamente che, anche nell’ordine materiale, vi doveva essere fra le nazioni cristiane una specie di fratellanza e di solidarietà. Nell’intenzione di yeone III poi l’Impero doveva anche agevolare la diffusione del Vangelo e della civiltà cristiana nel mondo. Erano il sacerdote e il soldato che si univano non per confondersi, ma per aiutarsi; e mentre quità dei Pontefici doveva contemperare la forza dell’Imperatore, questi dal canto suo doveva, quando ne fosse d’ubpo, sostenere anche con la spada gli inermi diritti della religione e della Santa Sede. E’ ben vero che questa istituzione, ottima in sè, causa il rapido tralignare dei Carolingi e degli Ottoni, corrispose raramente al suo nobilissimo scopo; tuttavia è forza riconoscere che, nonostante l’indegnità di molti imperatori a il Sacro Romano Impero» non fu nel Medio Evo senza il presidio di questa istituzione, la libertà dei Papi e la civiltà latina avrebbero corsi, in mezzo al rimescolio di tanti popoli e al continuo minacciare dell’islamismo,, rischi assai gravi e funesti. Infatti, mediante l’intima alleanza, che allora si stabilì fra la Chiesa e la potestà civile dergrande impero dei Franchi, si ebbe il fondamento della nuova civiltà cristiana, in Occidente. Carlo Magno non fu solo un prode e fortunato guerriero, ma fu pure un savio, governatore di popoli, anzi un ardito ristoratore dell’ordine sociale e un entusiasta promotore

della’ Coltura. Si deve quindi considerare come uno di quegli uomini straordinari che la Brovvicienza suscita, quando vuole rinnovare una società sfasciatasi e dare al progresso dei popoli un impulso gagliardo. Al chiudersi delle invasioni germaniche Carlo Magno appare quale, un genio benefico che fa rifiorire i germi latenti della civiltà latina, quasi soffocata dalla valanga barbarica. Come legislatore però Carlo Magno non ha nella storia una importanza eccezionale, perchè egli non compilò come Giustiziano, un codice veramente nuovo e originale. Sua precipua cura fu piuttosto di ordinare nei suoi vasti domini una regolare e possibilmente uniforme amministrazione. Nei suoi Capitolati — raccolta di leggi amministrative, di ordinanze civili ed ecclesiastiche — si trovano delle cose interessantissime, come a mo’ d’esempio quel decreto che potrebbe destare non poca sorpresa in coloro che hanno bonariamente creduto che la scuola primaria obbligatoria sia una scoperta prettamente moderna. L’ordinamento politico ed amministrativo da lui stabilito si rivela per quei tempi, al tutto meraviglioso. Le principali leggi si discutevano nelle annuali assemblee dette a campi di Marzo o di; Maggio», alle quali intervenivano tutti i notabili dell’impero. La loro esecuzione era affidata ai Conti, che erano i capitani di gúerra e giudici e amministratori in tempo odi pace. A sorvegliare e sindacare l’opera dei Conti, oltre ad un Conte Palatino, residente in ()gni nazione, Carlo Magno inviava due massi doinlnici, specie di ispettori, l’uno ecclesiastico, l’a,,ro laico, che ogni anno visitavano, a nome del sovrano, tutti i paesi dell’impero. Egli comprese pure quanto ad ottenere questa,11nità amministrativa, avrebbe giovato il dirozzamento e l’unione delle menti, mediante lo studio delle sentenze e delle arti. Carlo Magno, sebbene cresciu to in mezzo ad un popolo che non apprezzava se non la forza, e benché occupato in guerre quasi incessanti, pure fu un grandissimo mecenate della coltura sotto tutte le sue forme. Favorì l’erezione e l’accrescimento dei monasteri, che erano allora gli unici focolai del sapere. Egli stesso fondò delle scuole e una Accademia detta Palatina, a cui interveniva coi suoi figli e dove si disputava delle varie scienze. Scarseggiando allora la Francia e la Germania di uomini dotti, egli ne raccolse uno stuolo dall’Italia e dall’Inghilterra, che ne erano meglio fornite. Bramosissimo come era di imparare, godeva di intrattenersi dunghe ore con questi dotti, fra i quali si distinguevano l’inglese Alcuino — un enciclopedico di quei tempi — e gli italiani Paolo Diacono, Paolino da Pisa ed Eginardo. Dall’Italia fece pur venire dei pittori, degli architetti e dei maestri di canto, i qúali ultimi fondarono a Soissons’a Metz e a S. Gallo delle scuole di musica. Personalmente Carlo Magno non iscompariva in mezzo ai dotti, di cui si era circondato, perchè si dice che egli avesse una discreta infarinatura delle varie scienze del suo tempo, e quanto a lingue, oltre il volgare, [p. 83 modifica]parlava il latino ed intendeva il greco e l’ebraico.

Non fa meraviglia che un uomo adorno di tanti Pregi, acquistasse fra i suoi contemporanei una grandissima rinomanza, e che tutti i regnanti, non esclusi gli infedeli, facessero a gara per rendergli omaggio, tanto che lo stesso califfo.Aaron-el-Rascid gli Mandò un’ambasciata a recargli con diversi altri doni, anche le chiavi del S. Sepolcro. e..

Non fu immune però da colpe. Gli si è con ragione rimproverata un’eccessiva severità verso i Sassoni ribelli, come quandó nella quinta spedizione contro di loro ne fece uccidere•circa’45oo nelle pianure di Verden. Atto crudele ed ingiusto senza dubbio, ma che merita tutte le attenuanti, avendo il re voluto con quell’esemplare castigo dare una lezione efficace a quel popolo riottoso, che per cinque volte aveva violato le giurate promesse, fatta una strage di pacifici missionari e che infine aveva avuto la rellonia di assalire i Franchi alle spalle mentre questi, fidandosi di loro, combattevano gli slavi. Menta pure biasimo il suo eccessivo,zelo, per cui talvolta giunse ad imporre con la, forza la Lede cristiana; cosa che la Chiesa non ha mai approvato e della quale il dotto Alcuino non tardò a rimprover arlo. Quanto alla sua vita privata, non andò scevro di macchia nelle sue relazioni coniugali. Sono note le vicende della celebre Ermengarda, figlia di Desiderio, immortalata dal Manzóni neIl’Adelchii che Carlo Magno cedendo alle rimostranze di papa Ste. fano III, rimandò in Italia. Queste ombre, che l’indole dei tempi attenua, furono espiate con una morte edificante. La sua salma, come suole avvenire a quasi tutti gli uomini grandi, crebbe ancora dopo la sua morte, ed i fedeli giunsero perfino a venerarlo come santo. Federico Barbarossa ottenne dall’antipapa Pasquale III la sua canonizzazione: e sebbene la Santa Sede non abbia mai ratificato quell’invalido decreto ha però tollerato che in alcune chiese, fra le quali quella di Aquisgrana, dove riposa la sua salma, se ne continuasse a celebrare l’ufficio e la festa. Ma se Carlo Magno non fu un tale eroe di santità da meritarsi in terra l’onore degli altari, è certo nondimeno che egli, anche cattolicamente parlando, è una delle figure più grandi e più intemerate della storia; e in tutta la lunga serie dei monarchi cristiani non se ne trova alcuna, eccetto forse Costantino, che si sia reso più di lui benemerito della religione in generale e della S. Sede in particolare. Meritamente perciò le statue di questi due sommi i mperatori romani, furono collocate nell’atrio del maggior tempio della cristinità, quasi a significare che essi hanno avuta una non piccola parte nel diffondere e nello stabilire quel prestigo sovrumano che e la religione e la Santa Sede hanno acquistato nel Inondo. Carlo Magno però, più ancora di Costantino, rifulge nella storia come il tipo, l’ideale. di ciò

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che dovrebbe essere un regnante cattolico nei suoi rapporti con la Chiesa. Cosa meravigliosa! In 46 anni di regno, questo potentissimo e battagliero sovrano non venne mai pur una volta, a serio contrasto col Papa, coi Vescovi, e non commise contro del Clero alcuna soperchieria. La sua protezione non fu mai un peso, e il suo vivo interessamento per le cose della religione non divenne mai una ingerenza indebita. Del clero non fu nè il Servo, nè l’oppressore; e il Clero a sua volta, benchè,da lui ampiamente adoperato per la sua cultura ed onestà anche nei negozi civili, non pensò mai ad usurpare quei diritti che non gli spettavano. La ChieSa e lo Stato non godettero forse mai di maggior pace.e prospietà quale sotto:1 saggio governo di colui 9kie seppe attuare fra il potere civile ed insieme la più armonica alleanza, che si sia veduta nei Secoli cristiani.

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Sarebbe pur quindi sommamente desiderabile che la ricorrenza centenaria di questo portentoso uomo di Stato, richiamasse l’attenzione dei moderni governanti, al grave e ponderoso problema delle relazioni fra Chiesa e Stato, e valesse a frenare alquanto la mania laicizzatrice e separatista che ha invaso specialmente le nazioni latine. La questione dei rapporti fra l’autorità religiosa e la civile è ora più che mai di attualità. Il governatore di Colonia, von Reinhagen, nel dare ufficialmente a nome del governo il benvenuto a Mons. Hartmann, novello arcivescovo di quella città, si augurava recentemente l’accordo, anzi l’armonia, fra Chiesa e Stato, e soggiungeva che «l’armonia fra queste due istituzioni è il grande postulato dei tempi nostri». Si potrebbe dire con verità che questo non è solo un postulato dei tempi nostri, ma, fu ognora la più grande esigenza della società, dacchè il cattolicismo è apparso nel mondo, Filippo Robotti. f"A

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GIOVANNA D’ARCO SAPEVA SCRIVERE La domanda potrebbe parer superflua a taluno e la risposta, inutile. Sapesse o non sapesse leggere e scrivere Giovanna D’Arco resterà sempre la grande, eroica figura della donna che nel nome di Dio e del Re, liberò il suo paese dalle insidie dei nemici e morì assassinata legalmente, ma pura e incontaminata nella sua bella e profonda fede. Pure, anche la domanda: Giovanna D’Arco sapeva scrivere? ha la sua importanza e la risposta — che è affermativa — [p. 84 modifica]getta un’altra ombra d’infamia sui vilissimi suoi carnefici. Fino a qualche tempo fa gli storici credettero che l’eroina, stretta da ogni parte dalle insidie proceaurali dell’infame Chauchon, venduto agli inglesi, avesse pochi giorni prima di morire sottoscritto con un semplice segno di croce una dichiarazione nella quale essa negava la verità delle sue visioni e della missione ricevuta da Dio. Aggiungono anche gli storici che, conosciuto l’inganno, la Vergine protestasse fieramente e confermasse con giuramento essa non avere mai fatto cosa alcuna senza l’esplicito volere di Dio. Invece, niente di tutto questo. Nella triste commedia, inscenata dai suoi carnefici nel cimitero di Saint-Ouen, venne. presentata all’eroina la ritrattazione da firmare 4, ma Giovanna D’Arco vi •oppose prima una croce e, poi, uno zero, a significare la sua volontà negativa di sottoscrivere. E che la croce non fosse il segno della sua firma, non solo; ma per lei apparisse un segno di recisa denegazione di tutto quanto stava scritto sopra di essa, lo si arguisce dal fatto che la giovinetta condottiera di un esercito, nel trasmettere i suoi ordini e le sue istruzioni ai capi delle sue schiere, affuichè i nemici impadronendosi delle sue scritture non riuscissero a decifrarle, aveva disposto che tutte. le lettere le quali recavano in calce la croce dovessero interpretarsi nel significato opposto a quello che rivelavano le parole scritte. Così, all’atto di sottoscrivere Giovanna D’Arco negava e, dicono testimoni oculari del fatto, sorrideva. Dopo il secondo vano tentativo i carnefici provocarono un tumulto durante il quale vi fu chi prese a forza la mano della fanciulla, tentando di costringerla a firmare, ma anche stavolta il tentativo tornò vano. D’altra parte esistono tre lettere che l’eroina ha firmato col suo nome e vi sono le prove ’che essa sapeva leggere. Quest’ultimo particolare risulta anche dal processo verbale che è il più grande e autorevole monumento d’infamia, che gli stessi assassini di • una martire donna poterono innalzare alla memoria del loro delitto. Tutto questo è detto e dimostrato da un discendente dell’eroina, il conte di Maleissye, il quale ha recentemente púbblicato intorno all’argomento un dotto volume sulle Lettere di Giovanna d’Arco e la pretesa abiura di Saint-Ouen, volume dal quale abbiamo tratto questa nota. Ed è confortevole questo risveglio di studi intorno alla Vergine d’Orleans, risveglio che fa capo per la più importante sua parte. all’ottima Maison de la bonne presse, la quale ha recentemente pubblicato anche una Storia della Bsata Giovanna D’Arco, dovuta all’illustre storiografo della Beata, mons. Enrico Rebout. L’opera che trae i suoi documenti dalla grande opera che in argomento ha scritto lo stesso autore, è mirabilmente illustrata, ed è monumento solenne innalzato alla memoria di Colei che la Francia, attraverso i rivol gimenti politici, lo sconvolgimento morale, la sfrenata gazzarra del vizio e dei più bassi sentimenti utilitaristi non ha saputo dimenticare. Index