Il buon cuore - Anno XIV, n. 24 - 12 giugno 1915/L. Meregalli

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L. Meregalli

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Religione Beneficenza

[p. 191 modifica] Il santo di Padova e la tragica ora presente.

Nel numero del 3 del corrente giugno, il foglio L’Italia annunciando la predicazione novenaria in preparazione alla festa che si terrà presso i PP. Francescani di Porta Volta, invitava ad interessare il Santo così simpatico e popolare fra noi, per un suo benefico intervento nell’ora angosciosa. che traversiamo. A tutta prima non riuscivo a comprendere se per avventura fuori del rapporto che ogni Santo può avere con noi, corresse un rapporto peculiare fra quel prediletto figlio del sublime Poverello, e le terribili angustie che ci premono spietate: E quasi ero lì lì per trinciare uno di quegli inconsulti e sbrigativi giudizi, soliti pronunciarsi a occhio e croce, superficialmente, quando non si vuole approfondire. Tutt’al più spiegavo quel mettere di mezzo S. Antonio di Padova, col fatto che, dopotutto, è un Santo taumaturgo e oggidì largamente invocato per ogni genere di grazie. Se di nessun Santo va trascurata l’invocazione, meno ancora di colui che in giornata tiene il primato della fiducia generale. Ma poi, riflettendo meglio, e per un presupposto doveroso, che un giornale serio come l’Italia non dovesse parlare da bigotto fanatico, bensì con ponderazione, venni nella persuasione che ci dovesse essere un rapporto molto più stretto, più intimo fra il Santo di Padova e le vicende dolorosissime della guerra immane, proprio anche riguardo a noi; e lo trovai

nel notissimo episodio di carattere altamente umaniiario e patriottico che si svolse tra lui ed il tiranno Ezzelino. Come tutti sanno, questa buona lana, era il mostro che, all’ombra della parentela e della protezione della Germania, taglieggiava, perseguitava con erta Beltà di una raffinatezza indescrivibile, intere città italiane. E tutti egualmente sanno che S. Antonio, colle buone e colle brusche riuscì a ridurre quella natura bestiale a più ragionevoli consigli. ` Ora ’noi cattolici rimasti, lasciando ai nostri giovani partiti per il fronte, di impiegare la voce del cannone per parlare •in difesa di tante vittime della prepotenza efferata dell’Austria. ci restringiamo a interessare il Santo di Padova perché tratti la santa causa dell’umanità a modo suo, sicuri, che la sua maniera di trattare simili affari, è ottima. E non solo nell’interesse delle terre irredenti pe le quali noi siamo in guerra, ma anche nell’interesse nostro. Si potrà essere ottimisti finché si vuole riguardo all’esito di questa guerra; ma non è escluso assolutamente che possa anche volgere al peggio per noi. Le sorprese insidiose di codesto genere di duelli mortali, fra intere nazioni, sti un teatro di sconfinate estensioni di terreno, protratto per mesi, non sono mai tutte prevedute, e in precedenza paralizzate. Intanto non siamo che all’inizio delle ostilità; intanto sappiamo lo stato d’animo e la psicologia effervescente di irritazione vendicativa dell’Austria Germania riguardo noi; tanto per il momento pre sente, che per il futuro. Quanto al presente, sotto un diluvio di parole grosse, d’una esasperazione piena di oltraggi al nostro indirizzo, persuadiamoci che, in manco di meglio o di peggio, siamo già stati cento volte abbruciati in effigie. Quanto al futuro, sicuri come si tengono della vittoria finale, i tedeschi ci hanno già lanciato il Guai ai vinti! L’avviso a chi tocca se non vogliamo che l’Italia scompaia proprio dalla carta geografica come ci si minaccia. Allora è sapienza ricorrere adunque a tutti i mezzi che sono in mano nostra per ’scongiurare tale catastrofe, e interporre quindi anche quel Santo il quale nel secolo XIII arrestò l’orgia sanguinaria del genero di Federico II a salvezza d’Italia. Se i persecutori, dopo così lungo lasso di tempo, sono restati, malgrado una verniciatura di coltura e civiltà, pressa: a poco i barbari del lontano passato, il Santo di Padova è restato esso pure quel di prima, tutto sentimenti di pietà, altruismo, coraggio indomito nell’affrontare i nemici nostri. Anzi, qualcosa di più, perché in cielo si perfezionano tutte le belle doti spiegate in terra. L. Meregalli

Chi liberò la Germania dai romani

Fino a poco tempo fa è stato affermato da tutti gli storici che il liberatore della Germania dal giogo [p. 192 modifica]romano fu il popolarissimo eroe Arminio, il vincitore del proconsole Quintilio Varo nella celebre battaglia della Selva Teutoburgica (anno 9 dell’era volgare). Senonchè le recenti ricerche storiche, condotte con metodo scientifico e con la sola preoccupazione della verità, hanno sfatato insieme con molte altre, questa leggenda, che era così cara al popolo tedesco. La verità è questa che se i Germani parlano oggi la lingua-tedesca e non una lingua romanza qualsiasi, essi lo devono all’imperatore Augusto, e più precisamente al decreto con cui Augusto riordinò l’impero romano, il 13 gennaio dell’anno 27 d. C. Com’è noto, la massima seguita da Augusto nel riordinamento dell’impero, fu questa: che si dovessero mantenere inviolati i confini della monarchia, ma non oltrepassarli, rinunziando ad ogni ulteriore;dea di conquista. Ora, in confronto con questa massima e con gli effetti che ne derivarono, la battaglia vinta da Arminio non è, nella storia della Germania, che un semplice episodio, e solo come tale ha una certa importanza, che nessuno pensa a negarle. Tndubbiamente la resistenza contro i romani sarebbe riuscita ai Germani molto più difficile se Augusto non avesse rinunziato alla politica conquistatrice di Cesare, dedicandosi tutto a promuovere il consolidamento ed il progresso del suo immenso impero.