Il buon cuore - Anno XIV, n. 44 - 30 ottobre 1915/Educazione ed Istruzione

Da Wikisource.
Educazione ed Istruzione

../ ../Religione IncludiIntestazione 5 marzo 2022 50% Da definire

Il buon cuore - Anno XIV, n. 44 - 30 ottobre 1915 Religione

[p. 297 modifica] Educazione ed Istruzione


Oasi di pace

tra il fragor della guerra


Sul periodico La nostra bandiera di Udine leggiamo una bellissima lettera che il carissimo amico e concittadino Don. Edoardo Gilardi, Cappellano del glorioso.... Bersaglieri, recatosi in quella città per qualche giorno, ha indirizzato ad un amico appartenente alla redazione di quel giornale cattolico.

Per chi non lo sapesse Don Edoardo, oltrechè ottimo sacerdote e valoroso soldato, è anche appassionato letterato e poeta ed i suoi più intimi sentimenti li sa esporre, come in questa lettera, in modo veramente efficace e suggestivo.

Riteniamo perciò di far cosa grata ai lettori riproducendo la lettera di don Gilardi, lettera leggendo la quale, i giovani specialmente impareranno dove siano veramente pace e conforto.

....Oh la cameretta, dalle pareti candide, poverissima, ma decorosa, con l’ampia finestra che s’apre verso la catena cerulea dell’Alpi lontane!... I monti della guerra, ch’io corro avidamente collo sguardo nel loro massiccio di vette e di valli, di candori e di verdi cupi, di luci e di tenebre, come la visione affascinante di una giovinezza avventurosa.

Ho voluto solo il necessario qui dentro; niente che richiami la vita di battaglia, perchè il turbinio di idee e di ricordi che mi frulla nel capo, non alimentato, si spenga nel silenzio pacifico del chiostro e l’animo si abbandoni nella solitudine come in un sonno profondo, sereno delle cose passate.

Ma quanto è civettuola ed ammaliatrice quella finestra! Ogni volta che l’occhio vi si rivolge per affissarsi nella luce immensa del cielo, cercando il dolce smarrimento di noi stessi nella purezza dell’infinito, essa diventa un gran porto da dove i ricordi di Monte Nero, di Merzli, Slime, Plezzo, si precipitano disordinatamente per mettere lo scompiglio in questa cara solitudine.

Allora mi cruccio come di una tentazione e limito il mio mondo di vita alla periferia dello scrittoio dove ho qualche libro, un crocefisso in legno, pochi fogli bianchi, avidi di impressioni come anime ingenue, che sembrano ammonire: Medita e scrivi!...

Medita! E che forse tutto il mio essere in questi mesi di lotta, di una vita intensamente vissuta in ogni istante, non si è mai rivolto su sè stesso, cercando nella folla delle nuove vicende il pane per la propria educazione morale?

Caro Italo: in me è avvenuto un mutamento strano, pieno di mistero. Appena qui dentro mi sono sentito strappare d’un tratto una personalità, la quale non so come io ho assunta e sono insensibilmente ritornato il pacifico abitatore del collegio, colle medesime abitudini di quando mi vedevi aggirarmi al suono della campanella, tra i colonnati del palazzo di corso Venezia. La guerra si fa sempre più lontana dall’animo mio ed io ridivento l’antico fanciullone il quale in ogni azione ha bisogno di essere condotto per mano dall’orario.

Domani rientrando alla vita di avamposti io rivestirò inconsciamente la mia forma tipica di bersagliere: irrequieto, non curante del pericolo, cupido di novità, disinvolto e spensierato, bramoso della lotta come di una avventura avidamente sognata che assorbe tutte le energie della mia giovinezza.

Oggi invece sarò l’essere che si riforma, che prepara se stesso nel silenzio, come un attore tra le quinte, ad un domani previsto burrascoso, nei quali sentirà d’avere bisogno di tutte quelle risorse morali che ora sembrano latenti, assopite da un colasso, ma che invece nella pace e nella preghiera riempiono i propri vuoti e si rifanno degli esaurimenti.

Ma tu, Italo mio, sei curioso di sapere perché io [p. 298 modifica]sia venuto a mendicare il riposo alla porta di un convento, e dopo tre mesi vissuti tra un popolo solo di armati, giunto in mezzo ad una società prodiga di benevolenze e di applausi, mi sia seppellito tra quattro mura di una cella. Il cuore dell’uomo è pieno sempre di mistero: io mi sono trovato qui spinto da una mano amorevole, la quale in tante necessità della vita io sento sopra di me. Essa ha guidato più volte i passi della mia giovinezza incauta. lo l’ho sempre sperimentata tanto buona con me come il consiglio di un buon angelo e mi lascio da, essa condurre con grande ingenuità. Venni dunque quaggiù come portato di peso da un telegramma di mio fratello: «Domenica sarò ad.... voglio ad ogni costo vederti». L’incontro fu senza parole: ci buttammo l’uno nelle braccia dell’altro, ci baciammo in fronte. Io non conobbi altro amore che quello che unisce due intelligenze, due volontà: ma il vincolo dei sangue per il, quale si ama con tutto noi stessi, coll’anima e col cuore, io l’ho provato solo in quell’abbraccio appassionato. In quell’incontro si ricostituì tutta la vita di famiglia. Quanta allegria in quella sala d’albergo dov’era imbandita una tavola tra amici! Si sarebbe detto che l’aria pura e cordiale dei nostri monti, del caro lago, si respirava là dentro. Qualche volta io ero, serio e potevo sembrare preoccupato: ma quelli erano i momenti di una gioia più intensa. Guardavo mio fratello con grande affetto, senza dire parola, studiandone ogni gesto e cercando nel suo volto la fisionomia dei miei più cari. Mio fratello se ne andò ed io mi trovai solo, come una goccia d’acqua presso il mare in mezzo al chiasso ed ai commerci della città, triste tra l’allegria pazza di tanta gente, come un orfanello senza tetto. Mi aveva preso una nostalgia profonda del reggimento, della vita di trincea ed ogni istante di lontananza st-mbravami macchiato da un’onta di viltà. Di ritorno dalla stazione passai per caso vicino ad un convento. Mi balenò un’idea: «Perchè non mi chiudo li dentro pei pochi giorni che ancora mi restano di rimanere qui?...), Il fiore caduto, ravvisò lo stelo: il chiostro. Unacasa senza focolare dove non c’è che silenzio, dove la solitudine mi accoglierà tra le braccia apportatrici di gaudio e di quiete, dove rivedrò tutto il mio passato di amori, di gioie, di affanni! Non rimpiangermi, Italo mio! Felice chi non si è lasciato deviare all’alba della sua vita e ritornando dopo un difficile cammino ravvisa ancora il tetto paterno e ritrova sulla porta di casa la dolce figura del maestro benedicente, che lo ha mandato. Esso ha un bacio per ogni piaga del nostro cuore, nuove energie per chi ha faticato tanto. Un giovane tenente, mio buon amico, venne fino sulla soglia del ritiro e baciandomi colle lagrime agli occhi mi disse: «Misero me, che fuori ne rimango

Così lontano; come i più lontani! Alla porta che s’apre alzo le mani Ma tu sai ch’io.... non posto entrarvi più.» (Pascoli). Quale schianto in quell’addio! Quanto è triste la nostalgia della fede per chi soffre e non ha più la forza di abbracciarla. Nel mio cantuccio silenzioso e romito, quando guardo entro il mio cuore, io vivo del mio passato. Domani rimetterò il piumetto da bersagliere, che ora fa il broncio sopra una scranna, e ritornerò lassù tra i monti della guerra. Forte di nuove energie, rivedrò con entusiasmo il mio posto di combattimento. Sì: ritorniamo dove sono quelli che combattono ed amo. Italo, addio.

        11 settembre 1915.
                       Sacerdote Edoardo Gilardi
                  Cappellano.... Regg. Bersaglieri