Il capitano della Djumna/Parte prima/12. La nave fiammeggiante

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Parte prima - 11. Garrovi e Narsinga Parte seconda

12. LA NAVE FIAMMEGGIANTE


Garrovi non si era ingannato.

L'uragano, che da due giorni minacciava di scoppiare, si scatenava allora con indicibile violenza, sconvolgendo il vasto golfo dalle coste dell'Orissa e del Coromandel a quelle dell'Arracan e del Pegù, da quelle di Ceylan e delle isole Nicobar a quelle del Bengala.

Quantunque fosse appena mezzodì, le masse di vapori erano così enormi, da intercettare quasi del tutto la luce del sole. Una semioscurità, che talvolta diventava più fitta, si estendeva sopra il mare, i cui flutti erano diventati nerastri come se tutto d'un colpo si fossero mescolati a torrenti d'inchiostro. Lampi lividi, ma che ora avevano dei riflessi sanguigni, di tratto in tratto rompevano le tenebre, seguiti da linee di fuoco che si perdevano fra le nubi e da scrosci così violenti da assordire. Pareva che fra quei vapori volteggianti sulle ali del turbine, si combattesse una furiosa battaglia colle artiglierie. Il pariah, colla velatura ridotta, fuggiva verso il sud, spinto innanzi da raffiche violentissime, ora librandosi sopra la cima delle onde ed ora precipitando all'impazzata nei profondi avvallamenti, veri baratri che parevano pronti ad inghiottirlo d'un solo colpo.

I suoi alberi scricchiolavano sotto lo sforzo delle vele e pareva che da un istante all'altro dovessero cedere a quei soffi poderosi, mentre i suoi fianchi, incessantemente percossi da quelle masse liquide, gemevano come si dolessero di quegli urti brutali, che di minuto in minuto diventavano più impetuosi. Sotto e sopra la coperta, tutto traballava. Le casse, le botti, le corcome di gomene, violentemente spostate, correvano da babordo a tribordo o da prora a poppa, urtandosi e minacciando di sfasciarsi o di sciogliersi, mentre in alto, i boscelli delle manovre scorrenti volteggiavano come fossero semplici piume. Harry, Oliviero, Edoardo e tutto l'equipaggio indiano erano in coperta, pronti a far fronte all'uragano. Si tenevano tutti stretti ai bordi o alle gomene per meglio resistere agli assalti delle onde che di tratto in tratto superavano le murate, sfuggendo a fatica attraverso gli ombrinali.

Il vecchio marinaio, ritto alla ribolla del timone, colla barba grigia arruffata ed i capelli ondeggianti, comandava la manovra. La sua voce echeggiava come una tromba, coprendo i muggiti dei marosi, i fischi delle raffiche e gareggiando cogli scrosci sempre più formidabili delle folgori.

Il mare però peggiorava di minuto in minuto. Montagne d'acqua irrompevano non più dal sud-ovest, ma dal nord-ovest, accavallandosi confusamente con orribili scrosci, lanciando in aria colonne di spuma, rompendosi e ricostituendosi più tremende, più minacciose di prima. Balzavano sul coronamento di poppa del pariah, urlando come molossi inferociti, lo varcavano attraverso alla coperta tutto sconvolgendo sul loro passaggio ed atterrando gli uomini disposti ai bracci delle manovre. In alto, invece, le nubi pareva che roteassero come se volessero formare una tromba gigantesca. Pareva che lassù il vento avesse un movimento rotatorio d'una celerità spaventosa.

Cosa strana però; quell'immensa tromba, invece di avere la punta del cono verso il mare, l'aveva verso il cielo ed all'estremità di quella specie d'imbuto, ad intervalli, si vedeva apparire il sole ma pallido, annebbiato. Lungo le pareti interne si udiva il vento stridere come se invano cercasse di aprirsi il passaggio fra i vapori che si addensavano sempre più, e rumoreggiare quasi incessantemente il tuono.

L'equipaggio, atterrito, guardava quel baratro strano che perdevasi negli incommensurabili spazi del cielo e che sembrava volesse, da un istante all'altro, assorbire la nave e le acque dell'oceano.

Ad un tratto però quel cono si ruppe improvvisamente, il sole scomparve, l'oscurità ridivenne profonda e si rovesciò sul golfo un acquazzone furioso, un vero diluvio, mentre i lampi ed i tuoni si succedevano con crescente intensità. Non erano goccioloni, erano veri torrenti che inondavano il pariah e l'equipaggio, ma tiepidi come se quell'acqua uscisse da una gigantesca caldaia. Vi erano certi momenti nei quali quelle cortine di pioggia erano così fitte, che Harry a malapena poteva distinguere la prora della nave. Quell'acquazzone durò tre ore senza interruzione, ma verso le quattro pomeridiane cessò bruscamente e le nubi tornarono a formare quello strano cono, col vertice volto verso il cielo.

Il sole riapparve per alcuni istanti, rosso come un disco di metallo incandescente, poi l'oscurità tornò a piombare sul golfo del Bengala. Solamente da quell'immenso imbuto scendevano, ad intervalli, degli sprazzi di luce i quali irradiavano un calore torrido.

Alle sei, anche quella luce sparve, ma l'oscurità fu ben presto rotta da un lampeggiare incessante, d'una intensità paurosa. Quell'immenso cono pareva in fiamme, come se lì si fosse accumulata tutta l'elettricità raccolta nelle nubi. Erano bagliori azzurrognoli simili a quelli che tramandano le lampade elettriche, ma mescolati a linee di fuoco, le quali scendevano lungo le pareti dell'imbuto, scomparendo poi nel seno dei flutti spumanti.

Tuoni formidabili, ora secchi ed ora lunghi, si ripercuotevano fra le nubi formando un continuo rimbombo, mentre il mare, come se fosse attratto da una forza misteriosa, si alzava ululando spaventosamente, quasi venisse aspirato da quella tromba rovesciata.

Harry, Oliviero ed il giovane Edoardo, in preda ad una viva ansietà, contemplavano quel fenomeno strano che mai prima di allora avevano veduto, mentre l'equipaggio, invaso da un terrore superstizioso, invocava con voce lamentevole le sue divinità protettrici, Brahma, Siva e Visnù.

— Cosa sta per succedere, Harry? — chiedeva il tenente, che non ostante il suo coraggio, era diventato pallido.

— Non lo so, signore — rispondeva il marinaio, la cui voce non era più ferma.

— Hai mai veduto un simile fenomeno?

— No, signor Oliviero, ma questo cono somiglia ad una tromba marina rovesciata.

— Col vertice verso il cielo, invece di essere volto verso il mare?

— Sì.

— Ma il mare si alza come se venisse aspirato, Harry. Guarda le onde, come ingigantiscono.

— Le vedo.

— Che stia per suonare la nostra ultima ora?

— Corriamo come il vento e spero di condurre il pariah fuori dall'attrazione di questa misteriosa meteora... Mille tempeste!...

— Cos'hai, Harry?...

— Guardate sulla punta del trinchetto!... Si direbbe una granata incandescente!...

Oliviero alzò gli sguardi e vide un piccolo globo di fuoco, delle dimensioni d'un grosso arancio, roteare sul mostra-vento dell'albero di trinchetto, proiettando all'intorno una luce azzurrognola.

— Un fulmine globulare!... — esclamò.

— Io non lo so, signor Oliviero.

— Sono rari, ma talvolta se ne vedono.

— Scoppierà?

— Certo, Harry.

— E l'albero?... Se lo...

Non potè finire. Il globo di fuoco, dopo d'aver roteato sul mostra-vento, era balzato sull'ultimo pennone e correva da un'estremità all'altra, facendo dei balzi.

Ad un tratto scoppiò con grande fracasso, dividendosi in un grande numero di frammenti. La verga della vela di pappafico fu spezzata di colpo e cadde sul ponte, mentre la tela ed i cordami prendevano fuoco.

Un immenso grido di spavento s'alzò fra l'equipaggio indiano, mentre un urlo di furore irrompeva dalle labbra del vecchio marinaio. La vampa, alimentata dal vento, si era tosto allungata verso la vela di parrocchetto la quale aveva pure preso fuoco, mentre le scintille investivano furiosamente le vele dell'albero maestro.

— In alto i gabbieri!... — tuonò Harry. — Gettate giù le vele!

Alcuni uomini si lanciarono sulle griselle coi coltelli da manovra fra i denti, ma il pariah subiva allora tali scosse, da rendere pericolosissima quella manovra. Per di più le onde si rovesciavano in coperta con tale foga, da rimbalzare fino ai pennoni di trinchetto e di gabbia.

Tre uomini in un baleno furono strappati dalle griselle, precipitati in coperta e sbattuti contro le murate così malamente, da riportare gravi ferite. Gli altri due, spaventati ed acciecati dalle scintille che cadevano dall'alto, si lasciarono stramazzare sul ponte.

— Mille tempeste!... — urlò il vecchio marinaio. — In alto i gabbieri, o la nave brucerà come uno zolfanello.

Edoardo ed Oliviero, senza badare al pericolo, si lanciarono verso prora, ma un colpo di mare che si sfasciò ai piedi del cassero, li atterrò entrambi. Quando si risollevarono, anche le vele dell'albero maestro avevano preso fuoco. Vampe immense, che il vento sbatteva in tutte le direzioni, ormai avvolgevano tutta l'alberatura del pariah divorando i pennoni, i boscelli, le corde, le sartie, i paterazzi e facendo piovere sulla coperta una pioggia di scintille.

Era uno spettacolo terribile vedere quella povera nave in piena balia della tempesta, fra quei flutti muggenti che la assalivano da tutte le parti rovesciandosi sopra i bordi e coll'alberatura fiammeggiante che spandeva all'intorno riflessi sanguigni, illuminando quella notte d'orrore.

Gl'indiani, spaventati, si erano rifugiati sul cassero, sordi ai comandi e alle minacce del vecchio marinaio. Anche il tenente ed Edoardo esitavano dinanzi a quella pioggia di scintille, di funi infuocate, di frammenti di pennoni, di boscelli semiconsunti e di pezzi di vele ardenti.

Harry pareva che avesse perduto il suo sangue freddo dinanzi a quel disastro inaspettato, ma ad un tratto abbandonò la barra ad un timoniere che gli stava vicino ed impugnata una scure, balzò giù dal cassero, gridando:

— Seguitemi o siamo perduti.

Quasi nell'istesso istante si udì un indiano gridare:

— Terra!...

— Dove? — chiese Harry.

— All'ovest!

— Sei certo di non esserti ingannato?

— L'ho scorta al chiarore d'un lampo.

— La prua all'ovest!... Seguitemi, amici!... La Piccola Andamana ci è vicina!

Si fece sotto l'albero maestro e si mise a percuoterlo furiosamente a grandi colpi di scure, balzando a destra ed a sinistra, per evitare i tizzoni che gli piovevano addosso.

Oliviero, Edoardo ed alcuni marinai, incoraggiati dall'esempio, s'armarono di scuri ed accorsero ad aiutarlo, mentre altri assalivano l'albero di trinchetto il cui tronco ormai ardeva come una gigantesca fiaccola.

Fra le onde incalzanti che si sfasciavano in coperta spumeggiando e muggendo, fra gli scrosci delle folgori, i fischi diabolici del vento, il fumo e le scintille, quegli uomini lottavano coll'energia della disperazione, animati dalla voce del vecchio marinaio. Di tratto in tratto qualcuno veniva trascinato via dalle onde e sbattuto contro le murate o qualche altro semiacciecato dai tizzoni o ferito dai boscelli che precipitavano dall'alto, cadeva, ma altri correvano a surrogarli. Ormai tutti avevano compreso che se quell'incendio non si spegneva, il pariah era perduto e lavoravano con lena crescente, percuotendo rabbiosamente i due alberi, in mezzo al tumulto delle ondate.

La nave intanto, quantunque avesse perduto le sue vele, correva sempre lungo una costa che era improvvisamente apparsa a tribordo, lasciandosi dietro una lunga striscia di scintille. Pareva un brulotto incendiario scagliato contro una flotta.

Cappeggiava disordinatamente, si rovesciava ora su di un fianco ed ora sull'altro, s'inalberava come un cavallo sotto le speronate sanguinose d'un cavaliere impazzito, sferzava le acque col suo bompresso e tuffava la prua o la poppa lasciandosi strappare, brano a brano, le murate o gli attrezzi. Ad un tratto l'albero maestro, reciso alla base e non più trattenuto dalle sartie e dai paterazzi che erano stati consumati dalle fiamme, piombò attraverso la coperta con immenso fracasso, precipitando alcuni pezzi di pennoni ardenti nel boccaporto che era rimasto aperto. Harry aveva appena avuto il tempo di gridare:

— Indietro tutti!...

Gl'indiani che stavano abbattendo l'albero di trinchetto, si erano gettati a tribordo ed a babordo, evitando di venire schiacciati, pure, nel momento che i pezzi del pennone cadevano nella stiva, un urlo acuto era echeggiato nel ventre della nave, ma un urlo che pareva emesso non da un uomo, ma da un fanciullo.

— Mille tempeste! — urlò Harry. — Chi è caduto nella stiva?...

— Edoardo!... — gridò Oliviero, impallidendo.

— Eccomi, signore — rispose il giovanotto, apparendo fra un'ondata che si era rovesciata in coperta.

— Ma chi è caduto? — ripetè Harry.

— Nessuno — risposero gl'indiani di prora.

— Seguitemi!... — gridò il vecchio marinaio.

In tre salti scese la scala che metteva nella stiva e presso l'ultimo gradino, vide distesa una ragazzina indiana, colla fronte inondata di sangue ed immobile come se fosse morta. Accanto a lei fiammeggiava ancora il pezzo di pennone che l'aveva colpita, minacciando d'incendiarle la vesticciuola.

— Da dove esce questa fanciulla?... — esclamò il marinaio, al colmo dello stupore.

— Chi può essere? — chiese Oliviero, non meno stupito, prendendosela fra le braccia. — Dell'acqua, Harry!.. La poverina è ferita e forse mortalmente!...

— Ma... signor...

— Taci, Harry!... Più tardi spiegheremo questo mistero.

Poi mentre Edoardo spegneva il pezzo di pennone per evitare un nuovo incendio, si slanciò sulle scale sempre tenendo in braccio la ragazzina e balzò in coperta.

Quasi nel medesimo istante, dal quadro di poppa si slanciava fuori Garrovi. L'indiano era irriconoscibile: aveva i lineamenti alterati da un'angoscia inesprimibile, gli occhi in fiamme ed i peli della barba irti come una belva inferocita.

Un grido orribile gli irruppe dal petto, scorgendo Oliviero che teneva fra le braccia Narsinga colla fronte grondante sangue.

— Garrovi!... — esclamò Harry, mentre gli indiani, compreso l'uomo che stava al timone, atterrito da quell'improvvisa apparizione, fuggivano a prora. — Tu!... Qui!...

L'indiano non rispose.

Con un balzo di tigre si gettò giù dal cassero, s'avventò contro il tenente che era rimasto atterrito e gli strappò la piccina, urlando con una voce che più nulla aveva d'umano:

— Mia figlia!... Ah!... Maledetti!... Me l'avete uccisa!...

Poi, prima che Harry ed Oliviero potessero rimettersi dalla sorpresa causata da quelle parole, con un altro balzo rimontò sul cassero e raccolta una scure che era stata abbandonata, tuonò:

— Che il mare v'inghiotta tutti!...

Con un formidabile colpo di quella pesante arma recise i cardini del timone, il quale fu strappato via da un colpo di mare, poi tenendosi stretta al petto la sua Narsinga, superò la murata e si precipitò fra le onde spumeggianti lanciando un'ultima maledizione, mentre il pariah, sospinto dai cavalloni e travolto dall'uragano, si allontanava verso il sud-ovest col suo albero fiammeggiante che lanciava, verso le tempestose nubi, le sue ultime scintille!...