Il capitano della Djumna/Parte seconda/3. Sui rottami

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3. SUI ROTTAMI


Alì Middel, balzato in piedi, con un solo sguardo si era reso conto della gravita della situazione.

Ormai mancava il tempo non solo per ultimare la zattera, ma anche di gettare in acqua le poche tavole riunite. Bisognava abbandonare prontamente la nave, per non venire inghiottiti dal vortice che quella massa doveva scavare nella sua rapida discesa attraverso i flutti.

Con un balzo Alì s'impadronì delle sue carte, delle sue due pistole e delle munizioni, mentre Sciapal afferrava la scure e raccoglieva quante scatole di pesce conservato poteva contenere il suo dubgah annodato e ripiegato attorno alle anche.

— In acqua! — gridò Alì.

Balzarono rapidamente sulle murate e si slanciarono sul banco, guadagnando un cumulo di sabbie che la bassa marea aveva lasciato scoperto. La Djumna affondava rapidamente. Le onde invadevano ormai la coperta correndo da prora a poppa e rovesciandosi nel quadro e nella stiva, dove si riunivano all'acqua interna che montava con sordi fragori. La povera nave oscillava da babordo a tribordo radendo il margine estremo del banco e tentava di girare su se stessa, ma senza riuscirvi, in causa delle sabbie che la toccavano.

Ad un tratto s'abbassò bruscamente, come se un peso enorme fosse piombato nella sua stiva. Le onde guadagnavano sempre, correndo ora verso il castello di prora ed ora verso il cassero e rovesciandosi al di sopra dei bordi. Sparvero le murate, poi le grue delle scialuppe, la ribolla del timone, il bompresso, poi l'intera massa s'immerse; formando un gorgo gigantesco, una specie di tromba rovesciata.

Un'alta muraglia liquida si distese all'intorno, risalendo il banco con un lungo muggito, poi i tre alberi s'immersero rapidamente fino alle crocette, lasciando visibili i soli alberetti di maestra e di trinchetto.

— È finita — mormorò Alì, con voce sorda. — Povera Djumna!... Non credevo di perderti così presto!

Una rapida commozione si dipinse sui suoi energici lineamenti, ma ebbe la durata d'un lampo.

— Orsù — disse, scuotendo il capo. — Era scritto!

Poi volgendosi verso l'indiano che contemplava in silenzio la muraglia liquida che s'allontanava, infrangendosi contro le scogliere dell'isola, continuò:

— Raccogliamo i rottami. Prima che torni l'alta marea, bisogna aver raggiunte le scogliere o gli squali banchetteranno colle nostre gambe.

Alla pallida luce della luna, che allora sorgeva sull'orizzonte tingendo il mare di riflessi argentei, si vedevano dei legnami galleggiare sopra il luogo ove erasi sommersa la grab.

Erano gli avanzi delle murate abbattute dal capitano, ma la zattera però non si vedeva più. Certo era stata inghiottita dal gorgo aperto dalla nave. Sciapal osservò prima l'acqua per accertarsi che non vi erano squali, poi si sbarazzò del dubgah contenente le scatole di pesce conservato, ma tenne la cintola passandovi dentro la scure, quindi si gettò innanzi nuotando vigorosamente.

Alì era rimasto sul banco, ma aveva armate le pistole per allontanare gli squali che da un istante all'altro potevano giungere.

Con poche bracciate l'indiano giunse sul luogo ove erasi inabissata la Djumna e spinse verso il banco gli avanzi che galleggiavano. Ohimè!... Erano ben pochi e affatto insufficienti per costruire una zattera di due o tre metri d'estensione.

Non vi erano che un pennone, una cassa vuota ed un barile pure vuoto, ma fortunatamente turato e cinque tavole lunghe due o tre metri ciascuna.

— È tutto questo, padrone — disse l'indiano, risalendo il banco.

— È poca cosa, Sciapal, ma il tragitto è breve.

— Ma gli squali?

— Li terremo lontani a colpi di pistola.

— Scarseggiamo di munizioni, padrone.

— Abbiamo diciotto o venti palle, ma due libbre e più di polvere: speriamo che bastino. Aiutami, Sciapal; l'alta marea non tarderà a ritornare ed a coprire il banco.

Radunarono i loro scarsi rottami e li unirono, servendosi d'una fune che pendeva dal pennone e che era sufficientemente lunga. Non era una zattera, era un galleggiante informe, appena capace di sostenerli e che non poteva difendere le loro gambe, perché a malapena potevano reggersi tenendosi a cavalcioni. Spezzata una tavola per foggiare alla meglio due pagaie, s'imbarcarono portando con loro le poche ricchezze che possedevano.

La notte era chiara: le stelle brillavano nel cielo sgombro di nubi, riflettendosi sulle acque ombreggiate dalle scogliere, mentre la luna, più grande del solito, proiettava i suoi raggi sulla costa, rischiarandola come in pieno giorno e sul mare circostante, cospargendolo di pagliuzze d'argento. Una fresca brezza prodotta dal monsone del sud-ovest spirava, turbando la superficie del grande golfo bengalese, la quale alzavasi in piccole ondate. Un silenzio profondo regnava attorno al banco, appena rotto dal gorgoglìo prodotto dai due remi. Il galleggiante s'avanzava lentamente, con precauzione, dirigendosi verso le scogliere che si estendevano per lungo tratto dinanzi alla costa. I due uomini, a cavalcioni l'uno del barile e l'altro della cassa, ma colle gambe immerse nell'acqua, tacevano, ma di quando in quando si rizzavano più che potevano per scrutare la superficie.

Avevano già attraversata felicemente mezza distanza che li separava dalle prime scogliere, quando l'indiano ritirò bruscamente la sua tavola, dicendo:

— Fermati, padrone!

Aveva udito, a breve distanza, un rauco sospiro ed aveva veduto sollevarsi un'onda spumeggiante, che poi erasi allargata in direzione del banco di sabbia.

— Fermati, padrone — ripetè Sciapal, con accento di terrore.

Alì aveva pure ritirato il suo remo e scrutava l'acqua con estrema attenzione, mentre teneva la destra appoggiata al calcio d'una delle sue pistole.

— Una zigaena? — chiese, dopo alcuni istanti di silenzio.

— Sì, padrone.

— L'hai veduta?

— No, ma ho udita la sua respirazione.

— Aspettiamo che si mostri — disse Alì, con voce tranquilla.

Si era levata una pistola dalla fascia e l'aveva armata, puntando la canna verso il punto che l'indiano gl'indicava.

Un istante dopo, una di quelle teste foggiate a martello, appariva bruscamente, fra un fiotto di spuma argentea. Era ben brutta quella zigaena, coi suoi occhi sporgenti situati all'estremità dei battenti, a riflessi giallastri e con quella bocca che s'apriva al posto del collo, di forma semicircolare e irta di lunghi e acuti denti.

L'indiano, scorgendo quel feroce squalo, che pareva pronto a precipitarsi sul fragile galleggiante ed a metterlo a pezzi con pochi colpi della sua formidabile coda, era diventato pallido e anche Alì aveva provato un brivido. Il mostro stette un istante immobile, lasciandosi trastullare dalle onde, poi girando su se stesso, si avvicinò lentamente al galleggiante, come se prima di assalirlo volesse accertarsi con quale nemico aveva da fare.

— Padrone! — disse Sciapal, battendo i denti.

— Non temere — rispose Alì.

Aveva disteso il braccio armato di pistola e mirava con grande calma. Una detonazione rimbombò, ripercuotendosi contro le rocce e le scogliere dell'isola. La zigaena, colpita alla testa, fece un brusco salto uscendo più di mezza dall'acqua, poi ricadde in un cerchio di spuma e scomparve.

— Toccata — disse Sciapal, respirando.

— E alla testa — rispose Alì. — Le mie palle colpiscono sempre.

— Che sia morta?

— Hum!... Quei pesci hanno la pelle dura e ci vorrebbero delle palle di carabina per ferirli mortalmente, ma spero che ci lascerà tranquilli dopo una simile accoglienza. Se poi osasse...

— Taci, padrone!

— Cos'hai udito?

— Un lontano guaito.

— Il mio cane, forse?

— È probabile.

— Sono molte ore che ha lasciato la Djumna?

— Poco prima del mio secondo svenimento.

— Allora sarà Pandu. Quell'animale intelligente ci ha fiutati e cerca, coi suoi guaiti, di guidarci.

Si rizzò meglio che potè sulla piccola zattera e guardò verso il nord. La costa, che la luna illuminava come se fosse giorno, non essendo lontana che un miglio, si distingueva abbastanza chiaramente, ma essendo coperta da fitte foreste, le quali pareva che bagnassero le loro radici nell'acqua, non si poteva distinguere un animale nero e della grossezza di Pandu. Lo sfondo era troppo oscuro perché il cane spiccasse su quegli ammassi di tronchi d'albero e di cespugli che proiettavano una fitta e cupa ombra.

— Odi nulla? — chiese Alì che sapeva, per esperienza, come l'udito del malabaro fosse più acuto del suo.

— No — rispose Sciapal, dopo d'aver ascoltato con profonda attenzione.

— Ti sarai ingannato.

— Non lo credo.

— Non importa: fra un quarto d'ora saremo a terra e Pandu ci ritroverà facilmente.

Ripresero le due tavole e si misero a remare spingendo il rottame verso la costa. La prima scogliera già non era lontana che alcune centinaia di passi e con pochi sforzi potevano, in breve tempo, raggiungerla.

Pur continuando a remare, osservavano attentamente l'acqua, temendo un improvviso ritorno della zigaena. Il feroce squalo, dopo d'essere stato ferito non era più apparso alla superficie, ma poteva spiarli tenendosi sottacqua e mozzare loro le gambe.

Ad un tratto, quando si trovavano a sole cinquanta braccia dalle prime scogliere, lo videro bruscamente emergere a soli quindici passi. Girò su se stesso come se cercasse la preda, ma poi tornò a inabissarsi, formando alla superficie un piccolo risucchio.

— Padrone! — balbettò Sciapal, rabbrividendo. — Ci raggiungerà nuotando sottacqua!

— Lascia la tavola e afferra la scure — rispose Alì.

— Ma ci mozzerà le gambe.

— Ritiriamole.

Alzarono precipitosamente le gambe e stettero in ascolto cogli occhi fissi sull'acqua. Alcune bollicine d'aria che si ruppero alla superficie, li avvertirono che lo squalo cercava di avvicinarsi, nuotando senza essere scorto. D'improvviso apparve sul babordo della piccola zattera, urtandola colla sua pelle rugosa in così brusco modo, da farla immergere da quel lato. Alì fu pronto a scaricargli addosso la seconda pistola, mentre l'indiano, reso audace dall'imminenza del pericolo, gli scagliava una tale botta col rovescio della scure, da fracassargli l'estremità del muso.

Lo squalo tentò, con un formidabile colpo di coda, di sfasciare quell'ammasso di rottami, ma non riuscì che a sfondare il barile.

La zattera, priva di quell'appoggio, mancò sotto ai naufraghi, ma essendo stata spinta innanzi da quel potente urto, si trovò a pochi passi da un banco, sul quale si arenò.

Alì e Sciapal furono lesti a mettersi in salvo, mentre la zigaena, nuovamente ferita, si dibatteva furiosamente, sollevando colla robusta coda delle vere ondate.

— Alla costa — disse il capitano.

Raccolsero i loro viveri e gli oggetti salvati e s'inoltrarono attraverso le scogliere, lasciando che la zattera si sfasciasse a suo comodo fra le onde della risacca. Essendo quelle scogliere collegate fra loro da banchi di sabbia che la bassa marea aveva lasciati quasi scoperti, era un'impresa facile raggiungere la costa meridionale della Piccola Andamana.

Già non distavano che cento passi, quando Sciapal, che camminava dinanzi ad Alì, s'arrestò dicendo:

— Padrone, vedo un'ombra vagare sotto gli alberi della costa.

— Pandu, forse? — chiese il capitano.

— Non lo posso distinguere bene.

Alì accostò due dita alle labbra, emise due fischi acuti, poi tese gli orecchi. Non furono gli abbaiamenti del fedele cane che gli risposero, ma una di quelle grida rauche, paurose, che altre volte aveva udite nelle folte jungle del Bengala.