Il figlio del Corsaro Rosso/Parte I/Capitolo VIII - Attraverso la savana

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Capitolo VIII
Attraverso la savana.


Il bucaniere e i suoi compagni si erano slanciati fra le piante, rifugiandosi specialmente dietro agli enormi tronchi dei noci neri che potevano formare una barricata assolutamente inattaccabile, almeno per il momento.

Un corpo, formato da due cinquantine armate d’archibugi s’avanzava lungo la penisoletta, sparando di quando in quando qualche colpo, ed era accompagnato da una dozzina di enormi cani.

Era una forza imponente che poteva dare molto filo da torcere ai fuggiaschi, quantunque fossero separati da un largo tratto di savana e avessero la ritirata quasi assicurata.

— Sono ben decisi a prenderci! — disse Buttafuoco, il quale spiava attentamente le mosse degli assalitori.

— Che vengano all’attacco? — chiese il conte.

— Per ora, no di certo — rispose il bucaniere. — Dovranno prima cercare la costa che noi abbiamo attraversata, e quella non sarà tanto larga da permettere loro di avanzare tutti insieme. Saranno costretti a venire avanti in fila indiana, e noi avremo cosí tutto il tempo per fucilarli uno dopo l’altro. Ci tengo piú alla mia pelle che alla loro.

— Ben detto, — disse Mendoza.

— E noi siamo uomini da non aver paura nemmeno del diavolo, — aggiunse il guascone. — Se si presentasse, con un colpo della mia draghinassa, taglio il naso anche a lui.

Le cinquantine si erano in quel frattempo riunite, occupando tutta l’estremità della penisoletta.

Il fuoco era stato sospeso, avendolo giudicato affatto inutile e gli ufficiali discutevano animatamente, additandosi l’un l’altro la savana, mentre alcuni soldati, armati di lunghe canne, cominciavano ad esplorare il fondo, per cercare fra le pericolosissime sabbie mobili, la costa.

I cani giravano lungo le rive, guatando ferocemente l’isolotto e abbaiando con furore, impazienti di muovere all’attacco. Qualcuno si era già gettato in acqua e nuotava innanzi e indietro.

Abituati alla caccia all’uomo, non attendevano che un segnale dei loro padroni per spingersi coraggiosamente avanti, e i segnali non tardarono a farsi udire.

Pochi fischi s’alzarono fra i soldati incaricati del loro ammaestramento e tutti i cani si gettarono lestamente in acqua nuotando in gruppo serrato.

— Don Barrejo, attento alle gambe! — disse Mendoza, armando l’archibugio. — Quelle brutte bestie hanno una gran voglia di mangiarvi i polpacci.

— Guardatevi piuttosto le vostre, — rispose il guascone. — Io non ho paura dei cani, anzi neppur dei leoni. Noi siamo del mar di Biscaglia.

— Anch’io.

— Tacete e attenti ai mastini, — disse il bucaniere. — Appena sono a tiro sparate.

La muta nuotava vigorosamente dirigendosi verso l’isolotto, e i loro padroni non cessavano d’aizzarla con grida altissime.

Già non distava che una cinquantina di metri dalla riva, quando un’improvvisa agitazione si manifestò fra i nuotatori.

Non avanzavano piú e latravano furiosamente, volgendo la testa verso i soldati come per chieder loro qualche aiuto.

— Ah, ah! — esclamò il guascone, scoppiando in una risata. — Hanno trovato il loro pane e non saranno essi che lo mangeranno!

— Che cosa succede? — chiese il conte.

— Una cosa semplicissima — rispose don Barrejo. — Stanno per perdere le loro zampe. Altro che mangiare le nostre! Gli jacarè amano avere i cani dentro il loro ventre: vedrete che bell’assalto!

— Sí, sono i caimani che giungono — disse Buttafuoco. — Ci faranno risparmiare le munizioni.

I mastini si erano messi a ululare sinistramente ed avevano voltato le spalle all’isolotto nuotando disperatamente verso la penisoletta.

Ad un tratto una brutta testa, armata di due formidabili mascelle, emerse bruscamente e si gettò sull’ultimo cane, tagliandolo d’un colpo a metà.

Era un mostruoso caimano che aveva fatto il suo colpo.

Le savane di San Domingo, piú che quelle delle altre grandi isole del golfo del Messico, sono infestate da sauriani enormi e anche ferocissimi, che si fanno temere dai piú audaci cacciatori.

Hanno una resistenza cosí straordinaria che non muoiono neppure quando il gran calore asciuga tutta l’acqua delle paludi.

S’innestano nel pantano, scomparendovi dentro, specialmente là dove le erbe sono foltissime e aspettano dormendo la stagione delle grandi pioggie.

Allora gonfiano i polmoni e si lasciano trasportare dove l’acqua è piú profonda. Specialmente allora sono temibili perché, spinti dalla fame, si gettano su uomini e su animali.

Hanno poi un debole pei porci e pei cani. Per procurarsi questi animali, osano qualunque cosa.

I mastini, che gli spagnuoli avevano lanciati contro l’isolotto, vedendo il loro compagno scomparire, avevano battuto precipitosamente in ritirata, inseguiti accanitamente da una vera truppa di sauriani.

Di quando in quando un mastino scompariva, urlando disperatamente e non tutto d’un colpo, poiché i caimani ci tengono a soffocare i cani lentamente come se godessero di quella lenta agonia. Anzi, anche se affamati, non li divorano subito. Li seppelliscono in mezzo al fango e li lasciano imputridire.

Gli spagnuoli, vedendo le loro bestie in pericolo, avevano aperto un fuoco vivissimo contro quei feroci predoni che muovevano all’assalto a grandi sbalzi, facendo risuonare sinistramente le loro enormi mascelle armate di formidabili denti.

Buttafuoco si era alzato.

— Giacché i caimani corrono tutti da quella parte, e i nostri nemici sono occupati, approfittiamone per fuggire. Seguitemi sempre e non lasciate la costa.

Tenendosi sempre nascosti dietro gli enormi tronchi dei noci, raggiunsero la riva e scesero nell’acqua. Buttafuoco era dinanzi a tutti, e non cessava di perlustrare il fondo.

Nessuno si era accorto della loro fuga. Gli spagnuoli avevano impegnata una vera battaglia contro i caimani che accorrevano da tutte le parti della savana, attratti dai guaiti lamentevoli dei mastini.

Si udivano passare a tre o a quattro alla volta, rapidi come frecce, coi dorsi rugosi coperti di piante palustri.

Buttafuoco procedeva rapidamente, seguendo la costa la quale pareva che avesse la larghezza di un paio di metri. Quantunque l’acqua non fosse profonda piú di tre o quattro piedi, rendeva però la marcia assai difficoltosa

Moltissimi uccelli scappavano dinanzi a loro, alzandosi fra i gruppi di canne, minacciando di tradire la direzione che tenevano.

Erano gruppi di tringhe per lo piú, uccelli grossi come le allodole, le gambe lunghissime e la carne deliziosissima e di arzavole, anitre di piccole dimensioni, perché non sono piú grosse d’un piccione, colla testa nera e violacea, con una linea bianca sulla cima e gli occhi azzurrini, volatili anche questi pregiatissimi.

— Questa savana è un paradiso, — mormorava Mendoza, il quale seguiva con gli occhi spalancati i voli di tutti quegli uccelli. — Peccato non rimanere qui qualche settimana! Scommetterei che anche le magre gambe di questo spaccone di guascone s’ingrasserebbero e che farebbero voglia ai cani degli spagnuoli. Bah!... Ci rifaremo piú tardi, se ci lasceranno un momento di tregua!

La ritirata continuava sempre rapidissima, poiché Buttafuoco temeva che gli spagnuoli si accorgessero della fuga dei loro avversari e che, sbarazzati i cani, si slanciassero alla conquista dell’isolotto.

Fortunatamente la costa si prolungava attraverso la savana ed il bucaniere, già pratico di quelle vaste paludi, non s’ingannava sulla solidità del fondo.

La sua canna s’affondava continuamente a destra e a sinistra, sempre attento alle sabbie mobili e filava sicurissimo sulla costa, dicendo sempre ai suoi compagni:

— Non deviate mai: seguite le mie tracce. Abbiamo la morte, da una parte e dall’altra.

La marcia durò venti minuti, poi il piccolo gruppo raggiunse un secondo isolotto, molto piú piccolo del primo e molto piú fangoso e che era coperto di nidi di caimani.

Le spiagge erano gremite di piccoli coni, non piú alti di un piede, composti di fango e di rami malamente intrecciati e che contenevano parecchi strati di uova non piú grosse di quelle di un’oca, ma piú lunghe, piú bianche e col guscio assai rugoso e con molti geroglifici.

I negri non hanno alcuna difficoltà a mangiarle, quantunque sappiano di muschio.

Il tuorlo è piccolissimo, appena colorito e l’albume azzurrognolo; e ben cucinato diventa cosí duro da doverlo tagliare col coltello.

Che quelle uova siano veramente eccellenti, come affermano i negri, vi sarebbe forse da dubitarne; si sa però che i figli dell’Africa sono molto diversi da noi.

Un pezzo di tromba d’elefante o una frittata di vermi di terra o di cavallette, fa lo stesso per quei corpi. In questo equivalgono ai chinesi ed ai malesi.

— Che peccato non avere gli intestini dei negri, — disse Mendoza. — Qui ci sarebbero da fare delle gigantesche frittate.

— Non ne avremmo il tempo, — rispose il bucaniere. — Gli spagnuoli si sono accorti della nostra ritirata e scommetterei che a quest’ora marciano sulla costa. Se i cani non abbaiano piú, vuol dire che la battaglia contro i caimani è terminata e che ora quei signori d’oltremare si occuperanno di noi. Lesti, attraversiamo anche questo isolotto e cerchiamo di raggiungere la terra ferma.

— Nemmeno un momento di riposo? — chiese Mendoza.

— Neanche un minuto — rispose Buttafuoco. — Si giuoca la pelle.

— Ah!... Se don Barrejo potesse darmi un pezzo delle sue gambe!... Ne ha perfino di troppo lui.

— In questo momento vorrei averle anche piú lunghe, — rispose il guascone.

— Uh! Che superba cavalletta!

Pure scherzando quei valorosi uomini si eran rimessi in corsa, passando come frecce sotto le piante che coprivano in gran numero il secondo isolotto.

Splendidi cespi di rododendri, alti piú di dieci metri, crescevano dovunque, mostrando i loro grossi rami ed i grappoli di fiori porporitii, mentre sopra di loro torreggiavano delle superbe palme coronate da parasoli di lunghissime foglie palmate, ricadenti elegantemente con spate d’un violetto iridescente listato di porpora, e fiocchi di frutta che sembravano mele verdi.

In meno di cinque minuti i fuggiaschi attraversarono anche quell’isolotto e, con un vero grido di gioia, salutarono la terraferma, la quale non si trovava lontana piú di cinquecento metri, mostrando la fronte di una fitta foresta formata da colossali platani.

— Là è la nostra salvezza, — disse Buttafuoco. — Anche se gli spagnuoli gireranno la savana, noi giungeremo alla fattoria della marchesa di Montelimar prima di loro.

— Ci permetterà il fondo di attraversare questo ultimo bacino? chiese il signor di Ventimiglia.

— Io non dispero, — rispose il bucaniere.

Esaminò rapidamente la riva, tastando sempre le sabbie poi si ricacciò in acqua. La fortuna assisteva i fuggiaschi, poiché il bravo bucaniere aveva trovata senza molte difficoltà un’altra costa e anche piú elevata delle altre, quindi piú sicura.

I quattro uomini, tenendo sempre gli archibugi alzati, mossero lestamente verso la terraferma, mentre in lontananza si udivano dei colpi d’archibugio.

Già stavano per raggiungerla, quando ad un tratto il bucaniere affondò fino a mezzo il petto.

— Fermi! — gridò. — Le sabbie mobili!

Quel valoroso, che scherzava dinanzi alla morte e che da solo si sentiva in grado di tener fronte ad una cinquantina di alabardieri, era diventato spaventosamente pallido.

— Una corda! una corda! — gridò dopo qualche istante d’angoscioso silenzio.

— Se non l’avete, sono perduto!

— Io ne ho sempre in tasca — rispose Mendoza, tirando fuori un gherlino incatramato, grosso come il dito mignolo.

— Non fate un passo innanzi, voi — gridò Buttafuoco, vedendo che l’imprudente marinaio stava per abbandonare la costa della savana. — Gettatemi la corda e strappatemi da questa terribile trappola.

Il conte, che era dinanzi al guascone e al basco, gliela lanciò destramente, trattenendo l’altro capo.

Il bucaniere, che affondava lentamente ma continuamente nel fondo traditore, se la legò sotto le ascelle, dicendo:

— Levatemi da questa tomba e badate di non cadere. Vi è la morte sotto ed intorno a voi.

I tre uomini unirono i loro sforzi, badando bene a non perdere l’equilibrio. A piccoli tratti ben misurati strapparono il brav’uomo dalle sabbie che già si aprivano per inghiottirlo.

— Non mi aspettavo di trovarle qui — disse Buttafuoco. — Che la costa sia proprio finita? Sarebbe la nostra rovina.

— Che pieghi invece?

— Me ne accerterò all’istante, signor conte.

Aveva subito ripreso il suo sangue freddo. Riafferrò la canna che si era piantata profondamente nella fanghiglia e avanzò prima a destra poi a sinistra, con estrema precauzione.

Un grido di trionfo avvertí il conte che la buona via era stata ritrovata.

— Siamo salvi! — aveva esclamato Buttafuoco.

La costa in quel punto descriveva una curva pur continuando ad avvicinarsi alla riva. Il bucaniere, dopo essersi ben assicurato della sua direzione, si spinse risolutamente innanzi e raggiunse felicemente la terraferma, subito seguito dai compagni.

— Siamo al sicuro, qui? — chiese Mendoza.

— Per un po’ di tempo, non avremo nulla da temere, — rispose il bucaniere. — Solamente i cani potrebbero darci qualche fastidio; non essendo però noi indiani, non sono troppo temibili.

— Ve ne abbiamo dato un esempio, — disse il guascone.

Moltissimi conigli, dal pelame rossiccio chiaro e la coda lunga, che stanno fra i nostri conigli e le lepri, scappavano dinanzi a loro, mentre fra i rami svolazzavano dei grossi curlam, bellissimi trampolieri della famiglia dei francolini, colle piume brune-porpora sul dorso, con una striscia bianca ai lati della testa, il becco aguzzo e duro come una lama di acciaio, che adoperano per difendersi non solamente contro i cani, ma anche contro i cacciatori. Buttafuoco descrisse nel bosco un grand’arco di due o tre chilometri, poi, persuaso che i nemici non erano ancora giunti fin là, si decise a sparare alcuni colpi d’archibugio, gettando a terra due coppie di galli del collare, un paio di sgarze, graziosi aironi grossi poco piú d’un tordo, col ciuffo e le piume verdi, mentre il corsaro, che aveva caricato il suo fucile pure a migliarola, mitragliava alcune pernici americane, un po’ meno grosse di quelle europee e d’una fecondità prodigiosa, perché depongono perfino quaranta uova.

Carichi di tutti quei volatili, fecero ritorno all’accampamento improvvisato da Mendoza e dal terribile guascone.

— Gli spagnuoli? — disse subito Buttafuoco.

— Io credo che stiano cenando pacificamente, — rispose don Barrejo, il quale aveva subito adocchiati i bellissimi pennuti.

— Sicché voi volete dire che noi possiamo imitarli, — disse il bucaniere, sorridendo.

— Quando uno dorme o mangia, io ho sempre avuto l’abitudine di imitarlo, — rispose il guascone.

— I guasconi sono sempre furbi, — disse Mendoza.

— E come se ne vantano! — disse don Barrejo.

— Degnatevi almeno di preparare la cena.

— Ci penso io, signor bucaniere.

— Ed io vi aiuto, — aggiunse il marinaio.

Mentre i due compari, i quali pareva che andassero pienamente d’accordo quantunque non si risparmiassero vicendevolmente le stoccate, a colpi di lingua però, si occupavano alacremente della cena, il conte e Buttafuoco si erano spinti verso la riva della savana, temendo sempre una sorpresa.

Tanto all’uno che all’altro pareva impossibile che gli spagnuoli si fossero immobilizzati sulla penisoletta, senza tentare la traversata della palude.

Forse aspettavano la notte per spingersi innanzi e sorprenderli.

Il bucaniere però non era uomo da cadere cosí grossolanamente in un agguato.

Abituato alle sorprese ed alla vita dei boschi, conosceva troppo bene i suoi eterni nemici, coi quali già troppe volte aveva avuto da fare.

— Avremo il tempo di cenare e anche di riposarci qualche ora, — aveva detto al signor di Ventimiglia. — Sarà l’ultima volta che noi passeremo fra queste lagune e coi nemici alle spalle. La marchesa s’incaricherà poi di farci raggiungere il capo Tiburon.

Rimasero in osservazione sulle rive della savana per qualche tempo, poi si ripiegarono lentamente verso l’accampamento, attratti anche dal profumo squisitissimo che giungeva fino a loro.

Mendoza ed il guascone avevano fatto dei veri miracoli: galli dal collare, sgarze e pernici erano stati superbamente arrosolati e non chiedevano altro che dei buoni colpi di dente.

— Signor conte, — disse Buttafuoco, — voi avete due cuochi insuperabili. Il mio arruolato, malgrado tutta la sua buona volontà, non vale tanto.

— Se mi sarà possibile ve ne cederò uno, — rispose il signor di Ventimiglia.

Un uh!... feroce fu la risposta dei due compari: i quali ormai sentivano di non poter vivere lontani l’uno dall’altro nemmeno un mezzo minuto.

— Questi uomini non saranno mai dei buoni arruolati pei bucanieri, — disse Buttafuoco, scuotendo la testa. — Peccato!

La cena fu fatta in fretta, avendo udito in lontananza dei latrati i quali potevano annunciare la vicinanza di quegli accaniti nemici.

— Bah! — disse Buttafuoco. — Ci riposeremo nella villa della marchesa. Questo non è terreno propizio per chiudere gli occhi. Signori, uno sforzo ancora che spero sarà l’ultimo.

— Questa è una vitaccia da cani, — disse Mendoza. — È vero, don Barrejo?

— Da presidiarios, compare, — rispose il guascone.

— Allora rimanete qui, — rispose il bucaniere, — e finite la vostra digestione con un chilogramma o due di piombo spagnuolo.

— Oh no, signore, disse Mendoza. — Io non lascerò mai il mio signore.

— E nemmeno io, — aggiunse il guascone. — La mia draghinassa è troppo necessaria in questo momento, al signor conte.

— E allora movetevi, — disse il bucaniere. — Pensate che non vi lascerò dormire finché non giungeremo nella fattoria, e, se il vostro padrone non si lamenta, non ne avete il diritto nemmeno voi.

— Io sono pronto a percorrere anche mille miglia d’un fiato e senza mandare un sospiro, — disse don Barrejo. — Non sono già un guascone di carta pesta, io!

Il bucaniere rimase alcuni istanti in ascolto, scotendo la testa piú volte, poi, volgendosi verso il conte, disse:

— Se non sono gli spagnuoli, sono i cani che giungono. Marciamo, signori, e senza chiacchierare.

Per la seconda volta la notte era calata e, quantunque da quarant’otto ore non facessero altro che fuggire, si erano rimessi in cammino attraverso l’oscura foresta, rasentando di quando in quando degli ampi stagni sotto le cui acque fangose udivano nitrire o vagire i caimani.

In lontananza, verso la savana, i cani continuavano a latrare e a guaire.

Guidavano le cinquantine sulle coste, oppure avevano cominciata la caccia per loro conto? Era piú probabile questo, non potendosi ammettere che gli spagnuoli osassero avanzarsi fra le sabbie mobili, specialmente di notte.

Buttafuoco di quando in quando si fermava per ascoltare, poi si rimetteva in cammino con maggior lena. Pareva che non fosse punto tranquillo.

— Che cosa temete dunque? — chiese ad un tratto il conte, che gli camminava da vicino.

— Non so, — rispose evasivamente il bucaniere. — Vi dico solo di fare uno sforzo supremo per guadagnare terreno.

— Siamo ancora molto lontani?

— Non credo. Queste foreste non le conosco, tuttavia sono quasi certo di essere sulla buona via. È la nostra ridiscesa verso ponente che non mi rassicura molto. Se sapessi dove si trovano le cinquantine, non m’inquieterei troppo. Bah! Vedremo e sapremo difenderci.

Si erano impegnati nuovamente fra pessimi terreni paludosi, ingombri di ninfee rosse, di nelumbi gialli, di pontideire turchine e di canne, le quali formavano dei grossi mazzi piumati, perciò la marcia non poteva riuscire molto rapida, malgrado la buona volontà dei fuggiaschi.

Buttafuoco continuava a dare segni d’inquietudine ed il conte lo udiva di quando in quando brontolare.

Eppure, quantunque i cani continuassero ad abbaiare in lontananza, nessun pericolo pareva che li minacciasse.

Marciavano già da qualche ora sempre in mezzo alle canne, quando il bucaniere si fermò di colpo, dicendo rapidamente:

— Abbassatevi!

Il conte il basco ed il guascone si erano affrettati ad obbedire.

— Che cosa c’è dunque? — chiese il conte, dopo qualche istante di attesa.

— Rimanete qui, signore, rispose Buttafuoco. — Siamo piú vicini di quello che crediamo alla villa della marchesa; non so però se potremo facilmente raggiungerla. Io mi domando se per caso gli spagnuoli hanno indovinato le nostre intenzioni.

— Perché dite questo, Buttafuoco?

— Mi spiegherò quando sarò tornato.

— Vi allontanate?

— È necessario, signor conte: ma la mia assenza non sarà lunga. Voglio essere certo che non cadiate in qualche imboscata. Quello che vi raccomando è di non muovervi, qualunque cosa dovesse accadere, e se vi attaccano, di resistere fino al mio ritorno, altrimenti non saprei piú ritrovarvi fra tutte queste canne e queste erbe palustri. E poi potreste cadere nella savana tremante che deve trovarsi sulla vostra destra, e non uscireste mai piú da queste sabbie.

— Dunque siamo seriamente minacciati? — disse il signor di Ventimiglia un po’ preoccupato della brutta piega che prendevano le cose.

— Non so nulla per ora. Addio, signor conte, e se non mi spaccano il cranio con una palla, mi rivedrete presto.

Ciò detto il bucaniere si mise a scivolare fra le canne, senza produrre il piú leggero rumore, allontanandosi velocemente.

— Che questa caccia non finisca piú? — disse il guascone. — Signor conte, avete fatto male a lasciare San Domingo. Se foste ritornato nella mia soffitta, nessuno sarebbe venuto a cercarvi di certo.

— Ma se volevate accopparci! — disse Mendoza.

— Perché vi avevo creduto due ladri — rispose don Barrejo. — Se avessi saputo con quali persone avevo da fare, non avrei sfoderato la mia draghinassa. Speriamo che tutto finisca bene. Non è la pelle che mi dispiacerebbe perdere, bensí i miei dobloni.

— Ci tenete tanto?

— Un guascone non è mai stato un signore — rispose l’avventuriero con gravità. — Il signor conte può affermarlo.

— Io tengo piú alla mia carcassa, quantunque nemmeno i baschi siano mai stati castellani, don Barrejo.

— Zitti! — disse il signor di Ventimiglia. — Non è il momento di discutere con la lingua, bensí con l’archibugio.

Aveva aperto con precauzione il gruppo di canne che serviva loro di nascondiglio e osservava attentamente dinanzi a sé.

— Vengono? — chiese Mendoza.

— Non vedo nessuno; eppure se fossi a bordo della mia fregata, mi troverei meglio che qui, anche se ci fossero due galeoni dietro poppa.

Un leggiero fruscio si fece udire in quel momento, poi, dopo qualche istante, comparve Buttafuoco.

— Partiamo subito, signore! — disse — o non giungeremo mai piú alla fattoria della marchesa. Stiamo per essere circondati.

— Ancora? — chiese il conte. — Sono già giunti? Eppure odo sempre i cani latrare verso la savana!

— Io non so quante cinquantine si siano messe in campagna per catturarci. A quanto pare gli spagnuoli ci tengono a prendervi. Dopo tutto, non hanno torto: i tre corsari hanno lasciato troppi ricordi nel golfo del Messico! In marcia, signori! Ogni minuto perduto è un grave pericolo di piú per noi.

— Riusciremo a passare inosservati?

— Sí, lungo la savana tremante — rispose Buttafuoco.

Ripartirono velocemente, tenendosi nascosti dietro alle canne, guidati dal bucaniere.

Di quando in quando Buttafuoco si gettava a terra e accostava un orecchio al suolo, ascoltando attentamente, poi si rialzava e ripartiva con maggiore velocità.

Dopo cinque o seicento metri, i quattro fuggiaschi si trovarono sulla riva di un’altra savana.

— Questo è il momento terribile! — disse Buttafuoco. — Le cinquantine sono sulla nostra sinistra. Vi concedo cinque minuti di riposo poiché avrete da mettere, molto probabilmente, le vostre gambe ad una dura prova.

— Finiremo col diventare cani levrieri — disse Mendoza, scuotendo il capo. — Questo è un allenamento in piena regola.

Il bucaniere lasciò trascorrere i cinque minuti, poi si alzò dicendo:

— Tenete pronti gli archibugi! Vengono!...

— Ah!... poveri i miei dobloni! — mormorò il guascone.

Buttafuoco si era slanciato a corsa disperata. Pareva che un improvviso terrore avesse colto quell’uomo che pure sembrava avesse un cuore di bonzo.

Ad un tratto si udirono alcuni colpi di archibugio, accompagnati da altissime grida e da latrati furiosi.

Le cinquantine si erano accorte del passaggio dei fuggiaschi ed avevano aperto il fuoco.

— Fulmini! Piove piombo! — esclamò il guascone, il quale apriva piú che poteva le sue lunghe e magrissime gambe.

Alcuni uomini, preceduti da parecchi cani, si erano slanciati fuori dai gruppi di canne, urlando a piena gola:

— Ferma!... Ferma!...

— Sparate prima sui cani! — gridò Buttafuoco. — È necessario!

Si era fermato contro il tronco d’una palma e aveva imbracciato l’archibugio. Sette bestiacce giungevano l’una dietro l’altra, con le gole spalancate, urlando come lupi famelici.

Buttafuoco sparò il primo colpo, abbattendo il capo-fila che era il piú grosso e che probabilmente doveva essere anche il piú feroce e pericoloso.

Il conte ed i suoi compagni a loro volta fecero fuoco, gettandone giú altri, poi snudarono le spade, tenendosi in parte riparati dietro al tronco della palma.

Non erano indiani da scappare dinanzi a quei feroci mastini che incutevano agli ingenui figli dell’America centrale, non abituati a vedersi assaliti da bestie cosí grosse, tanta paura.

Un luccicare d’acciaio, sette od otto colpi, menati con forza terribile, e le bestie rimasero a terra, sbudellate o decapitate.

Gli spagnuoli, che avevano contato sull’assalto di quei mastini, vedendoli stramazzare l’uno dietro l’altro, ricominciarono a sparare, ma essendo costretti a far fuoco correndo, le loro palle non colpivano mai il segno, anche a causa dei canneti, dietro ai quali si riparavano i fuggiaschi.

Buttafuoco ed i suoi compagni avevano subito ripresa la corsa, non avendo alcun desiderio d’impegnare una battaglia che non offriva nessuna possibilità di riuscire a loro favorevole, dato il numero degli assalitori.

Sbarazzatisi dei cani, i soli che avrebbero potuto raggiungerli e dare loro molto da fare, si erano raccomandati alle proprie gambe, poiché ormai la loro salvezza non consisteva che nella robustezza e resistenza dei garretti.

Buttafuoco, abituato alle fughe precipitose, correva con uno slancio invidiabile. Quel diavolo d’uomo, quantunque non piú giovane, filava come un vero daino inseguito da una muta furibonda.

Chi si trovava male era sempre Mendoza, il quale non finiva mai di borbottare, assicurando di essere ormai finito, dopo tante scappate.

Il guascone invece allargava sempre piú le sue gambe smisurate e pareva che se ne ridesse di quella corsa indiavolata.

Buttafuoco pure, di quando in quando, faceva qualche breve sosta per sparare qualche archibugiata, ma piú per concedere ai suoi compagni un mezzo minuto di riposo che colla speranza di abbattere qualche nemico.

Quella corsa furiosa durava da circa mezz’ora e gli spagnuoli erano rimasti tanto indietro da non scorgerli piú, quando Buttafuoco andò a urtare contro una palizzata.

— Siamo salvi! — gridò. — Ecco la fattoria della marchesa di Montelimar!