Il figlio di Grazia/XX

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L’indomani Dorina mandò a chiamare Natale, il quale arrivò pallido e silenzioso, poichè sapeva che in quell’ora alcune donne, fra le quali sua madre, erano andate dai Caprezzi per prepararle alla grande sventura.

Dorina gli disse solamente: «Vorrei che tu mi portassi da Raffaella.» Egli la sollevò senza nulla rispondere, ma quando l’ebbe sulle sue braccia, distesa, chinò il viso sulle mani scarne di lei in atto di ringraziamento.

Dorina lo guardò fisso negli occhi, e vi lesse ciò che ancora egli stesso non sapeva, ciò che forse ella aveva presentito fin da quando erano ragazzi. Raffaella occupava nel cuore di Natale un posto ancora più grande di quello che occupava lei, e forse ne provò ancora un’acuta sofferenza, ma ora lottava fortemente contro questo sentimento di gelosia di cui [p. 162 modifica]capiva tutto il ridicolo. Le due affezioni avevano una via così diversa che il confonderle sarebbe stato distruggerle. Ricordandosi d’aver avuto un tempo un sordo rancore contro Raffaella, ella ora se ne vergognava e avrebbe voluto cancellarne in sè fin la memoria. Ella ora ci teneva ad accentuare sempre più la differenza fra le due affezioni perchè Natale se le coltivasse in cuore tutte e due.

Fu un avvenimento il veder Natale attraversare quella mattina il paese con Dorina sulle braccia: quella povera buona inferma il cui stato di salute era andato sempre più aggravandosi, — dicevano i medici; ma che invece parlava sempre meno de’ suoi mali, e cercava di occupare meno che era possibile di sè i suoi cari, e di rendersi utile a tutti.

«Dove si fa portare la Dorina dell’albergo?» diceva la gente.

Là dove tutti s’avviavano quella mattina con pietosa premura: nella casa dov’era entrata la morte e ancora non lo si sapeva. Mentre dappertutto c’era verde e asciutto, là intorno si camminava nella melma per la gran quantità d’acqua adoperata per spegnere l’incendio. Il noce vicino alla stalla distrutta aveva tutte le foglie annerite e accartocciate. Stoppia, calcinacci, e legname bruciato ad ogni passo; e un odore nauseante di carne bruciata si spandeva fin fuori del paese.

Triste, triste preludio all’annuncio di una più grave disgrazia, come se gli spiriti tormentati di quei poveri giovani, morti schiacciati sotto la frana, fossero venuti corrucciati a distruggere cose e bestie che il loro lavoro e il loro risparmio avevano — inutilmente per essi — creato. [p. 163 modifica]

Natale chiuse quasi la piccola porta della cucina col suo gran corpo quando vi entrò con Dorina tra le braccia. Essa si strinse a lui in uno spasimo di tutte le sue ossa malate. La scura cucina affumicata era piena di gente, che s’affaccendava attorno alla giovane moglie del povero Gigio Caprezzi, svenuta su una seggiola; e dalla camera di sopra scendeva il lungo, straziante gemito da bestia ferita, di quella madre a cui la morte aveva portato via in una volta due creature! Una bambina urlava fra le braccia di una donna chiamando il suo papà che non sarebbe più tornato e fu portata fuori, e tutti dicevano; «povera Marianna! povera Luisa!»

Gli occhi di Natale e quelli di Dorina giravano intorno, e videro finalmente, ritta colle spalle al muro, tutta livida, tutta irrigidita, senza lagrime, senza voce, coi grandi occhi dilatati, Raffaella, dimenticata da tutti; poichè era detto che quel dolore colpiva più direttamente altre creature della sua famiglia e nessuno pensava al suo.

Natale depose Dorina sulla panca del camino, e si avvicinò a Raffaella, la prese per mano. Ella lo guardò attonito. Egli le disse: vieni,e la condusse accanto a Dorina, poi scomparve. Ella si senti prendere le mani da quelle piccole man. scarne, e una voce che le diceva: «siedi, siedi sul gradino, così, metti la testa qui sulle mie ginocchia.»

Ella obbedì macchinalmente; si sentì accarezzare i capelli, una lagrima calda cadde sul suo viso, e una voce sommessa le diceva: «Noi siamo venuti per te, sai: noi ti vogliamo tanto bene....» e allora qualche cosa di duro che le premeva sul cuore, si spezzò, si sciolse, e proruppe finalmente in lagrime con un senso [p. 164 modifica]di schianto e di sollievo insieme; anzi, di una dolcezza lungamente aspettata, e giunta finalmente!

Ha così strane combinazioni qualche volta la vita! Quei giorni di indimenticabile terrore dovevano da Raffaella essere ricordati come il principio di un’epoca straordinariamente serena.

Dorina diventò la sua santa protettrice: tutto ella seppe appianare: desiderò che Raffaella andasse all’albergo a far la stagione aiutando le cameriere, e perchè la famiglia di lei si oppose dicendo che era P aiuto più forte di casa, e ora più che mai c’era bisogno delle sue braccia, ella trovò un altro modo per venir loro in aiuto. Un po’ colla colletta fatta in paese in favore di quella povera gente, un po’ col lavoro gratuito degli uomini del paese, fece fabbricare una nuova stalla, sul pendio di un certo prato da cui si dominano le cime nevose, e ch’è la passeggiata prediletta dei villeggianti. Una casina tutta pulita, tutta bianca, dove tenevano compagnia, alla mucca color castagna, due altre bianche, grosse mucche venute dalla Svizzera.

La mattina e il pomeriggio la stalla era aperta, e i sedili rustici messi fuori sul prato erano sempre occupati da mamme e da bambini. «Che simpatica ragazza!» esclamavano tutti guardando Raffaella che, in abito di cotonina a quadri bianchi e nero, e in grembiulone bleu, mungeva e serviva.

«Che buona idea lei ha avuto di mettere questa latteria!» dicevano all’albergatore.

Ed egli rideva, rispondendo ch’era stata un’idea di Dorina. «Ha fatto tutto lei,» diceva; «mi sono proprio lasciato menar per il naso. Che speculazione sia, non so: non so neppure che cosa ci appartenga [p. 165 modifica]veramente; le mucche svizzere son nostre, l’altra no; la mobiglia è nostra, ma la stalla no. Ma! è un pasticcio che ha fatto lei.» E, piano, riparandosi la bocca con una mano, soggiungeva:

«Ha voluto far del bene a quella famiglia tanto disgraziata, e, creda, quella latteria ci costa un occhio della testa! Ma bisogna pure lasciarla fare, poverina. Non si gode mai nulla, e quello è il primo piacere che mi ha chiesto!»

Raffaella si levava a notte per tutte le altre faccende di casa, e i suoi avevano già cenato quando rientrava carica di fieno. Nocente trovava però ancora modo di tormentarla. Egli si rodeva d’invidia di saperla là alcune ore del giorno fra i signori, e di pensare che essa ormai, con quella segreta combinazione fra le donne di casa e Dorina, era quella che portava in famiglia il maggior aiuto. Egli lavorava da un fabbro, ma si beveva tutta la sua settimana senza rendere conto a nessuno e non gli era mai importato che patissero la fame; ora però che le cose miglioravano ne aveva bile, e diceva fra sè: — è sempre stato così: a lei, a Raffaella, tutti i bocconi buoni fin da quando era piccina e andava in casa dei Martinez. —

E gli pareva un’ingiustizia. Non pensava che egli non aveva mai fatto nulla per essere amato, e non aveva mai amato nessuno.