Il metodo dell'economia pura nell'etica/I

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Capitolo I

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Il metodo dell'economia pura nell'etica II


L’Economia pura assume, come è noto, l’ipotesi che gli uomini nel produrre, consumare, distribuirsi e far circolare la ricchezza siano mossi esclusivamente dal desiderio di conseguire la maggior possibile soddisfazione dei loro bisogni mediante il minore possibile sacrificio individuale. Alla costruzione deduttiva, che se ne ricava, dei teoremi economici, ossia delle leggi della condotta dell'homo oeconomicus, è indifferente la questione se il postulato edonistico esprima veramente una condizione di fatto; ossia se l’ipotesi — da cui si deduce ogni verità economica — coincida o diverga ed in quale misura dai motivi che effettivamente determinano le azioni umane1; come è indifferente qualsiasi valutazione che e del postulato assunto, e della condotta dell'uomo economico, e degli effetti di questa condotta, si possa fare da un punto di vista morale.

In effetti il giudizio sul valore di giustizia o di bontà del motivo economico e delle leggi che ne discendono, variò, come tutti sanno, da un illimitato ottimismo al pessimismo più radicale; e il giudizio sulla corrispondenza dell’ipotesi colla realtà varia del pari, da quelli che riconoscono nel motivo assunto l’unico motivo di tutta quanta l’attività umana, a quelli che lo considerano come uno dei fattori, non l’unico, nel campo stesso dell’economia; i quali, appunto perché l’economia così intesa studia soltanto l’azione di un fattore, isolato per astrazione dal complesso degli altri la cui efficacia si esercita in realtà simultaneamente, non riconoscono alle sue leggi che un valore ipotetico, correlativo al carattere ipotetico dell’uomo economico e dello stato economico.

Ma qualunque sia così l’uno come l’altro giudizio, il carattere scientifico della costruzione deduttiva rimane incontestabile. Nella misura che la corrispondenza colla realtà psicologica è inadeguata, si dovrà riconoscere l’arbitrarietà del postulato, e della costruzione che ne dipende, in quanto pretenda di porsi come scienza della realtà; e a seconda che si ammette o si nega che il postulato abbia valore morale, si ammetterà o si negherà valore morale alla disciplina precettiva che se ne volesse ricavare. Ma in ogni caso restano incontestati questi due punti: 1° Che la ricerca intorno alla corrispondenza colla realtà psicologica e storica del motivo economico e delle condizioni nelle quali si suppone che agisca, è diversa e distinta dalla costruzione deduttiva dei teoremi economici; la quale è valida, nei limiti dell’ipotesi, sempre, qualunque sia il grado di questa corrispondenza. 2° Che qualsiasi indagine valutativa del postulato, e delle leggi, e degli effetti sia prossimi sia remoti che ne derivano o ne deriverebbero, è parimenti distinta ed estranea alla costruzione scientifica co- me tale; la quale rimane la medesima tanto se il motivo economico è considerato come morale quanto se è tenuto come immorale, o amorale, e quali che siano le ragioni di questa valutazione.


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Supponiamo ora che il postulato edonistico sia riconosciuto universalmente e accettato come postulato morale. È chiaro che la disciplina precettiva derivata o derivabile dall’economia pura avrebbe valore e carattere di precettistica morale; sia che il valore morale del motivo economico fosse accettato per sé come un dato primo e immediato, sia che venisse derivato, ossia giustificato alla sua volta, da un fine o da una esigenza ulteriore; e qualunque fosse questa ulteriore giustificazione.

È opportuno su questo punto un breve chiarimento.

Nella supposizione ora fatta che il valore morale del motivo economico sia universalmente riconosciuto, non è in alcun modo implicita l’affermazione che sia riconosciuto da tutti per la medesima, o per le medesime ragioni. Si potrebbe ammettere che esso si fondi per alcuni sulla legittimità, senz’altro ammessa dell’«egoismo individuale» o dell’«egoismo di specie» come regola di con- dotta; da altri sul carattere, attribuito alle leggi economiche, di leggi naturali e necessarie e non modificabili dalla volontà dell’uomo; da altri sopra una interpretazione ottimistica delle leggi stesse o degli effetti o risultati che l’osservanza piena ed universale di esse produce o tende a produrre. E si potrebbe del pari ammettere che l’ordine di relazioni conforme al principio economico sia considerato come provvidenziale o divino e si riversi su di esso il prestigio e l’autorità di sentimenti e di credenze religiose o metafisiche.

Anzi si può affermare a priori che questa ulteriore giustificazione o valutazione, dato che si faccia, sarà diversa per le diverse coscienze a seconda delle opinioni religiose o filosofiche diverse sulla natura e sul fondamento della moralità.

E tuttavia il valore morale della massima conforme al motivo economico e delle norme che ne derivano potrebbe, nella disciplina precettiva supposta, essere legittimamente assunto come un dato di fatto e trovare in questo la sua giustificazione immediata, astrazion fatta dalla diversità delle ulteriori valutazioni.

E in questo caso si avvererebbero le seguenti condizioni:

1° Rimane fuori di discussione il carattere scientifico della costruzione e della disciplina precettiva che se ne ricava, il quale è dato dalla validità logica delle conclusioni, cioè dal rigore col quale sono dedotte dal postulato.

2° Rimane del pari fuori di discussione la effettiva validità morale del postulato il quale è, per ipotesi, riconosciuto universalmente conforme all’esigenza morale.

3° Questa validità morale del postulato (e del sistema di norme che ne dipende) sussiste così se il detto riconoscimento sia concepito indipendente, come se sia concepito dipendente da un’ulteriore motivazione, e in questo caso, qualunque sia il fondamento ultimo di questa valutazione ulteriore.

E resterebbe perciò distinto dal campo della costruzione deduttiva il campo delle indagini intorno alla natura e al fondamento dell’esigenza morale, e intorno alle condizioni soggettive della sua validità e della sua efficacia: ossia il campo della ricerca propriamente filosofica o metafisica e quello della ricerca propriamente psicologica e, nelle sue applicazioni, pedagogica.

Ma, pur avverandosi queste condizioni, anzi appunto per il loro avverarsi, la costruzione scientifica in discorso non potrebbe tuttavia sfuggire alle due limitazioni seguenti:

a) Non potrebbe dirsi la scienza della condotta morale, ma la scienza della condotta richiesta da un certo motivo morale (quello di cui si è postulata come un dato di fatto la conformità all’esigenza morale). Perché rimarrebbe sempre da risolvere la questione; se quel motivo esaurisca tutto il contenuto dell’esigenza morale, o questa non comprenda altri motivi irreducibili a quello; e quindi se le norme contemplino tutta la condotta morale nella sua estensione e nella sua complessità o ne contemplino solo una parte od un aspetto.

b) Essa non esprimerebbe le norme di una condotta attuabile sic et simpliciter in una forma reale storicamente data di società, ma di una condotta la cui piena attuazione non è possibile se non nelle condizioni astrattamente supposte; cioè la condotta dell’uomo morale ipotetico in una società morale ipotetica.

Note

  1. Cfr. PANTALEONI, Principi di Economia Pura, Capo I e II.