Il rapimento di Cefalo/Atto quarto

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Atto terzo Atto quinto
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ATTO QUARTO


berecintia, amore, mercurio, coro degli dei.

Berecintia.
Nella magion stellante e luminosa,
     Eterni alberghi, non soggiorna un Dio,
     Che per alta beltate alto desio
     Non gli abbia messa in cor fiamma amorosa,
     Nè pur è stanco ancor, nè pur si pente,
     Nè pur si sazia Amor di tanti esempi;
     Oggi fa dell’Aurora il petto ardente.
     Ella dall’alto ciel discesa in terra
     Non cura più di rimenarne il giorno,
     Sol per le selve trascorrendo intorno
     Pace procura alla sua propria guerra.
     Ma se quel d’ogni cor dolce Tiranno
     Tosto la bella Dea non riconsola,
     Dal colpo avrà d’una saetta sola
     Il mondo tutto irreparabil danno.
     Chè se del Sole ai rai l’usata scorta
     Nel vïaggio fatal non fa l’Aurora,
     Il Sol farà nel mar lunga dimora;
     Sì nel mio grembo ogni virtù fia morta.
Amore.
Di che diletti il cor così cantando
     Antica Berecintia torreggiante?
     Rammenti forse i celebrati ardori
De’ trapassati amori?
Berecintia.
O fiero cor sotto ridenti ciglia,
     O tenero fanciul d’infiniti anni
     Fabbricator d’inganni:
     Operator d’eccelsa meravaglia;
     Non canto no, non canto
     Miei trapassati ardori,
     Canto i novelli amori,
     Onde la bella Aurora infiamma, ed ardi,
     E piango il grave mal, cui tu non guardi.
Amore.
Non biasmar me che dal mio ardor non viene
     Mai cagion di dolore,
     Vien cagion di dolor dall’altrui core,
     Quindi gl’incendj miei non ben sostiene;
     Pur ha tanto valor questa mia mano,
     Ch’ogni grave tormento
     In un solo momento
     A voglia mia farà volar lontano.
Berecintia.
Folle è chi ciò non crede,
     Prova di mille esempi
     Altrui ne può far fede;
     Ma fa che chiaro tu lo mostri ancora
     Nell’amor dell’Aurora.
Amore.
Riposa omai, riposa,
     La bell’Aurora ancor farò giojosa;
     Ma vo’ mostrare in pria
     Quanto ha seco valor la face ardente,
     E la faretra mia.
Mercurio.
Dove cercar d’Amore,
     E dove ritrovarlo oggi poss’io?
     Ei su dipinte piume
     Ratto via più che stral, via più che vento
     Ha di volar costume;
     Dunque dove cercarlo,
     E dove ritrovarlo oggi poss’io?
     Ecco colà, s’io non m’inganno il veggio.
     O pargoletto Dio,
     Spiega le penne, e sali
     Al concilio celeste;
     Così comanda Giove
     Signor degl’immortali.
Amore.
Araldo degli Dei,
     Stellante messaggiero,
     Deh mi rispondi, e di’ se ti rimembra,
     Quando feci Saturno
     Coprirsi nel sembiante d’un destriero?

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Mercurio.
Ciò fu quando di Pelio infra le selve
     Ei fe’ l’aria sonar d’alti nitriti.
Amore.
Dimmi ancor, ti rimembra
     Quando per la beltà di Proserpina
     S’accese il gran Plutone,
     E di lei fe’ rapina?
Mercurio.
Hollo ben ferme in mente:
     Egli se la rapì presso Etna ardente.
Amore.
Dimmi ancor ti rimembra
     Quando Giove versossi in pioggia d’oro?
     E quando egli mugghiò converso in toro?
Mercurio.
Ben ho di tutto ciò ferma memoria,
     Amor, ma non intendo
     Perchè di tanti amori
     Or tu mi prenda a raccontar l’istoria.
Amore.
Perchè ti sia palese
     Che s’al mio gran potere
     Non è poter, che non s’inchini e pieghi,
     Mal consigliossi a comandarmi Giove;
     Ma dovea farmi preghi:
     Dunque tornando al sempiterno regno
     Tu gli dirai, ch’a lui venir non degno.
Mercurio.
Deh non t’infiammi sdegno,
     Non hai cagion di disdegnarti, Amore;
     Giove non ti comanda, anzi ti prega.
     Del così favellar fa mio l’errore;
     Vientene meco Amore,
     Degli uomini conforto,
     Delizia degli Dei,
     Che sol dell’universo
     Tu regnator, trïonfator tu sei.
Amore.
Or moviam, se t’aggrada:
     Nulla si può trovar, che più mi stringa,
     D’una gentil lusinga.
Coro degli Dei.
In questo d’almi, e di stellanti lumi
     Regno, senz’alcun fin sempre sereno,
     Dentro dell’altrui seno
     Corrono eterni di letizia i fiumi:
     Alzi le vele ognor l’altrui desire,
     Nè lo prenda timor d’esser absorto,
     Ch’in ogni parte ha porto
     Questo infinito mar d’alto gioire.
     Varco non è, ch’alcuna volta aprire
     Speri l’affanno ond’ei qui ponga il piede;
     E qui segno non vede
     Morte ove possa con suo stral ferire.
     Or con vero fervor d’immortal dire
     Di chi tanto ci diè suoni la gloria,
     E sì cara memoria
     Ingiustissimo obblío mai non consumi.