Il re della montagna/16. La cospirazione

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16. La cospirazione

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15. Il ferito 17. Viva Nadir sciàh!


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Cap. XVI.

La cospirazione.


Nadir, spinto da una irresistibile curiosità e da un segreto presentimento, si era alzato e guardava i fianchi della montagna gigante, che le ombre della notte a poco a poco coprivano.

Una lunga fila di cavalieri serpeggiava pei sentieri della montagna, mentre i cacciatori ed i banditi, scaglionati nei fitti boschi, si radunavano rapidamente sui passaggi ed all’uscita delle gole, come se si preparassero a sbarrare tutti i passi.

— Sono essi — disse Harum, che guardava attentamente quei cavalieri, che salivano di galoppo le alture, come se fossero impazienti di giungere nelle regioni superiori.

— Chi sono? — chiese Nadir, stupito.

— I khan dei Curdi, dei Kadjars e delle tribù militari, i begler-beg ed i capi cospiratori della capitale — disse Mirza.

— E che cosa vengono a fare?

— A presentare giuramento di fedeltà al loro futuro signore — rispose il vecchio. — Questa notte si concerterà l’assalto della capitale.

— Ah! Mio buon Mirza!... Quanto ti devo!...

— Tuo padre ti aveva affidato a me, Nadir — rispose il vecchio. — Sono lunghi anni che io preparo la rivoluzione, e le gite misteriose che io di quando in quando intraprendevo a Teheran, non avevano altro scopo che di mantener vivo, nel cuore dei vecchi amici di Luft-Alì, l’affetto per la tua dinastia e l’odio contro i traditori e l’usurpatore. La tua sventura ha fatto precipitare gli avvenimenti, ed [p. 174 modifica]ora quasi tutta la popolazione della capitale sa che l’erede dello sciàh Luft-Alì è vivo, e lo attende per proclamarlo re di Persia.

— Quando scenderemo a Teheran?... Io tremo per la mia Fathima.

— Fra breve lo sapremo.

— Che l’abbia già sposata lo sciàh?

— Hai udito tuonare i cannoni sugli spalti di Teheran?

— No, Mirza.

— Le feste non sono cominciate adunque, e lo sciàh non si sposa senza pompa.

— Ridiverrà mia dunque?...

— Sì, Nadir.

— E non temi che me la uccida?

— Per qual motivo? Lo sciàh ignorerà lo scopo dell’assalto.

— Ma forse sa che io son vivo.

— E da chi?

— Dal principe Ibrahim. Quando sono caduto, l’ho veduto gettarsi sopra di me per uccidermi.

— Sì, ma per sopprimere il rivale dello sciàh, il fidanzato di Fathima, non per uccidere il figlio dello sciàh Luft-Alì, che egli crede sia morto nell’incendio del padiglione.

— E se qualcuno mi avesse tradito?

— A Teheran scorrerebbe già del sangue ed il supplizio dei ribelli sarebbe cominciato, mentre invece io so che la città è tranquilla.

— Ecco i khan — disse Harum.

Infatti i cavalieri, scortati da duecento montanari, essendo gli altri duecento rimasti a guardia delle gole e dei boschi, giungevano allora dinanzi all’altipiano, alla cui estremità si rizzava, addossata alla rupe della montagna, la modesta dimora di Harum.

Erano una quarantina: alcuni indossavano l’umile veste dei dervis e si potevano scambiare per pellegrini, quantunque dal di sotto delle lunghe zimarre si vedessero spuntare le estremità dei kandjar o delle kemchir e dalle cinture i manichi dei kard (pugnali) o i calci delle pistole; altri erano vestiti da Curdi nomadi ed alcuni da bacals ossia da mercanti o da loutis ovvero mostratori di scimmie. Dai lineamenti arditi, dalle mosse altere e dal gesto si comprendeva però che dovevano essere persone abituate a comandare ed impugnare le armi. [p. 175 modifica]

Giunti sull’altipiano, scesero dai cavalli e si schierarono in attesa del loro futuro signore, mentre i montanari si disponevano dietro di loro in forma di semicerchio, appoggiati ai loro lunghi fucili a pietra.

Nadir andò loro incontro e diede il tradizionale benvenuto:

— Allah sia con voi!

Allora Mirza, facendosi innanzi ed indicando il giovane re, disse, mentre Harum innalzava sulla capanna una bandiera reale col sole fiammeggiante nel mezzo ed un leone rampante:

— Ecco il vostro signore, il legittimo sciàh della Persia, padrone dell’Iran, dei monti e delle pianure, dei fiumi, delle città e dei popoli racchiusi nei nostri confini.

I quaranta cavalieri si inginocchiarono, toccando la terra colla fronte e dicendo:

— Noi deponiamo le nostre vite nelle mani del potentissimo signore dell’Aserbeidjan, del Chilan, del Masen-Deran, del Dahistan, del Taberistan, Kumis, Khorassan, Kouhistan, Kerman, Farsistan, Irak, Laristan, Khousistan e Kurdistan1: giuriamo fedeltà sul sacro Corano del Profeta e che Allah maledica chi infrangerà il giuramento.

Poi, quattro di loro, i più anziani, s’alzarono e si avvicinarono a Nadir. Uno disse:

— Io sono il khan dei Curdi. comanda.

— Io, — disse il secondo, — sono il khan delle tribù riunite dei Jakaroubâch e degli Erechlon sotto il nome di Kadjars: i miei uomini sono tuoi.

— Ed io, — disse il terzo, — sono il più vecchio dei begler-beg: giuro fedeltà per le nostre città al nuovo sciàh dell’Iran.

— Ed io, — disse l’ultimo, — sono il khan delle tribù militari e rispondo della fedeltà dei miei cavalieri.

— Grazie, miei prodi — disse Nadir. — Saprò compensare la vostra fedeltà, quando risalirò sul trono di Luft-Alì.

Allora tutti i quaranta cavalieri si alzarono e unitamente ai montanari gridarono:

— Viva Nadir sciàh! [p. 176 modifica]

— Che i khan ed il begler-beg più anziani ci seguano — disse Mirza. — Pel momento io rivesto le funzioni di sadri-azem (primo ministro) del futuro sciàh.

— Non saprei trovarne uno migliore, nè più fedele — disse Nadir. — A te prima di tutti la mia riconoscenza, mio vecchio Mirza, e ti nomino qui dinanzi ai miei sudditi mio primo ministro.

— Son troppo vecchio, mio Nadir: a me basta vegliare su di te.

— Te lo imporrò, Mirza; è lo sciàh che comincia a comandare.

— Mi ribello, Nadir.

— Silenzio, Mirza: al tuo posto.

Entrarono nella capanna di Harum, seguiti dai tre khan e dal begler-beg più anziano, e si sedettero sui divani, mentre il montanaro accendeva una lampada.

Mirza, che si era assiso presso il futuro sciàh, volgendosi verso il khan dei Curdi, chiese:

— Di quanti uomini dispongono le tue tribù accampate nella pianura?

— Di tremila — rispose.

— E le tue? — chiese rivolgendosi al khan dei Kadjar.

— Di quattromila — rispose questi.

— E le tue? — chiese al khan delle tribù militari.

— Di cinquemila — rispose il capo.

— Sono pronti tutti?

— Non chiedono che di gettarsi sulla capitale — risposero i khan.

— Quanti soldati difendono la città? — chiese il vecchio al begler-beg.

— Settemila fra guardie reali e guardie del mir-i-ahdas (capo delle guardie di polizia). Tutte le altre truppe sono nella Georgia che guerreggiano contro la Russia.

— Ma gli artiglieri del corpo dei cammelli sono nostri?

— Sì, e dispongono di trentaquattro pezzi e di millecinquecento uomini.

— Sono fedeli?

— Hanno giurato fedeltà sul Corano.

— Sulla popolazione della città possiamo contare?

— Gran parte di essa ha abbracciato la causa del nuovo sciàh e ci presterà man forte. Se vi saranno dei partigiani dell’usurpatore, basteranno i trentaquattro pezzi degli artiglieri per frenarli. [p. 179 modifica]

— Per quando sono fissate le feste pel matrimonio?

— Di quale? — chiese Nadir, impallidendo.

— Della tua Fathima — rispose Mirza.

— Temo per domani sera — rispose il begler-beg.

— Ma io non voglio che si facciano! — esclamò Nadir.

— E non si faranno – disse Mirza.

— Comanda, sciàh, — dissero i khan: — siamo pronti.

In quell’istante una lontana detonazione echeggiò nella tenebrosa pianura, in direzione di Teheran:

— Il cannone che tuona! — esclamò Nadir.

Il begler-beg s’alzò ed uscì a precipizio; nella grande pianura vide balenare una fiamma, poi echeggiò un’altra detonazione.

— E’ l’annunzio dell’adge — diss’egli rientrando, pallido ed agitato. — Domani sera cominceranno le feste.

Nadir mise un grido straziante.

— La mia Fathima! — esclamò. — Ah! Mirza, io la perdo!

— Non ancora, — disse il vecchio con calma ammirabile, — khan, i vostri uomini sono pronti?

— Sì — risposero essi.

— Sta bene: tu, khan dei Curdi, domani sera radunerai le tue truppe dinanzi alla porta d’occidente ed attenderai il segnale per entrare in città; tu concentrerai le tribù militari dinanzi alla porta d’oriente; tu, i tuoi Kadjars dinanzi a quella di mezzodì; i nostri montanari s’incaricheranno di quella di settentrione.

— Ed io? — chiese il begler-beg.

— Verrai con noi per introdurci in città e manderai i tuoi emissari a sollevare gli abitanti dei quartieri che hanno abbracciata la nostra causa.

— L’ora dell’attacco? — chiesero i khan.

— Mezzanotte.

— Il segnale?

— Ve lo daranno i trentaquattro pezzi degli artiglieri. Entrerete tosto in città e vi riunirete sulla piazza di Meidam, sbaragliando le truppe reali che incontrerete sul vostro passaggio.

— Sta bene — risposero i khan.

— Andate — disse Mirza.

I khan uscirono dopo essersi inchinati tre volte dinanzi a Nadir, salirono sui propri cavalli e, coi loro seguiti, s’allontanarono di [p. 180 modifica]galoppo per i sentieri. In breve tempo sparvero fra le boscaglie delle valli inferiori.

— Harum, — disse Mirza volgendosi verso il montanaro, — va’ a radunare i nostri fidi, e domani li farai scendere nella pianura.

— Dove ci ritroveremo?

— Sulla piazza di Meidam. Lascerai venti uomini per nostra scorta.

— Che Allah vegli sul nostro sciàh! — diss’egli uscendo.

Rimasti soli, il vecchio si volse verso il begler-beg, che pareva aspettasse i suoi ordini.

— Il tuo palazzo è sicuro? — gli chiese.

— Sì, sadri-azem.

— Puoi ospitarci senza tema che veniamo scoperti?

— È difeso da cinquanta guardie devote, e nessuno conosce i sotterranei del palazzo, me eccettuato.

— Dove ti attende la scorta?

— Ad Ask.

— Hai i cavalli e le vesti per noi?

— Tutto è pronto, sadri azem: i tuoi ordini sono stati eseguiti.

— Va’ ad aspettarci ad Ask.

— Quando giungerete?

— Domani all’alba; intanto manderai i tuoi emissari in città, per avvertirci se ci si prepara un agguato.

— Fidati di me: ho giurato fedeltà al nuovo sciàh.

S’inchinò dinanzi a Nadir, raggiunse la sua piccola scorta, salì a cavallo e si mise in marcia scendendo la montagna.

— Mirza — disse Nadir, con voce commossa. — Che cosa posso fare per te?

— Nulla, figliuol mio: a me basta la felicità di vederti re di Persia.

— E’ grande quello che hai fatto per me.

— E’ giusto, Nadir, ed un fedele servo di tuo padre non poteva fare diversamente. E la tua ferita? Potrai resistere ad una marcia nella pianura e forse ad un combattimento? Io temo per te.

— Mi sento forte, Mirza, e lo sarò di più domani, quando pugnerò pel mio trono e per la donna che amo.

— Va’ a riposarti, figliuol mio, e domani sera la capitale saluterà te Nadir sciàh.

  1. Sono i nomi delle quattordici province persiane.