In Valmalenco/Capitolo XXVIII

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Capitolo XXVIII. Con lagrime.

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Capitolo XXVIII. Con lagrime.
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Con lagrime.


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XXVIII.


E dunque addio!

Eppure m’indugio nella camera ospitale, esco attraverso il salone, l’andito ampio e cieco che dà sulle scale, discendo, spalanco un battente della grande porta e prego il Fiach d’aspettare un poco.

Poi ritorno nell’atrio, vado giù in cantina e di li passo in giardino: voglio cogliere le ultime rose, qualche ginestra per portare con me nella partenza, oltre il ricordo, anche il profumo gentile della valle.

Ma qualcuno mi chiama: è il Fiach, impaziente; egli attende con il cavallo che raspa, più impaziente di lui; è il vecchio Sass bianco e buono, barbogio ed arguto, che mi vuol offrire il bicchiere d’addio, è l’amico che s’affaccia ad una finestra col viso ambiguo di chi ha rincrescimento e piacere. [p. 300 modifica]Io parto, egli rimane!

Come si è osservatori nei momenti tristi della vita!

Le rose muschiate rimangono sul loro stelo tremante: lascio il giardino e risalgo melanconico, nè vale a farmi sorridere il famigliare colpo sulla spalla battutomi dalla mano callosa del vecchio Sass.

È proprio arrivato il momento in cui tutte le cose hanno un loro ricordo spiccato, tutte le persone un lato buono e caro; in cui, attraverso il velo leggero di pianto che adombra le mie pupille, scorgo in ogni cosa, in ogni persona, un atteggiamento doloroso, un gesto scorato, una voce di rimpianto fioca e triste.

Sì, anche quelli che mi circondano facendo più grossa nei saluti, negli auguri, negli addii la voce che altrimenti tremerebbe, anche quelli che ridono, che mi accomodano le valigie sulla carrozza, che mi spingono perchè vi prenda posto súbito e parta, che si fìngono allegri perchè non mi sentiranno più gridare in cadenza i miei versi e sbraitare romanze, si anche quelli fanno uno sforzo evidente per vincere una tristezza che li ha presi, forse loro malgrado. Ci stringiamo forte la mano e... addio...

Il Fiach schiocca la frusta violentemente, il cavallo dà un balzo innanzi e corre via serrato trascinandoci con lui: fermi a mezzo della strada in atteggiamento diverso di saluto e di rimpianto, vedo il curato, il canonico, Gian Paolo con la sua bottiglia di vermuth nelle mani, la Ninì esile [p. 301 modifica]la signora Cecilia immensa, e quell’asta di Cecchina e poi tutte le altre, gli uomini non ancora partiti per i boschi o pei campi... e le frasi:

«Addio!... arrivederci!... torni!... el staghi pö ben!» mi giungono all’orecchio; io, mezzo rivolto verso il paese e gli amici che lascio, rispondo alle grida con un agitar di mano e di berretto e mi commovo, poi, a un gomito della via, me la prendo con l’amico che mi sta a fianco ed ha ancora il viso ambiguo di chi prova rincrescimento e piacere.

Ma per poco!

Il bisogno di guardar bene, con amore, di sentire per un’ultima volta la bellezza della valle, che per il nostro correre sembra fluirci d’intorno, mi fa subito morir la parola sulle labbra: io ammiro e dopo l’addio alle persone saluto con gli occhi, saluto col cuore i monti alti, i boschi verdi, un poco nebbiosi entrambi sotto il primo sole.

E dunque addio....

Addio proprio, o monti, che mi avete fatto ansare per le salite aspre offrendomi sulle creste un riposo ventilato e dolce; oggi che conosco i vostri secreti fioriti di stelle alpine, i vostri cigli che paion labbra di porpora pei rododendri in fiore, il balzar dei massi frananti, l’aroma delle erbe e delle foreste, oggi è troppo spiacente il distacco!

Addio, sentieri montanini, ostacolati d’improvviso per una forra o un dirupo; addio discese prudenti e cadute sui ghiacci, entusiasmi e sconforti, impetuosi assalti e ritirate piene di rabbia [p. 302 modifica]e di promesse, lunghe ore di marcia sotto il sole con le fauci aperte, assetate, arse; pericoli superati con la baldanza giovanile che tutto osa, sogni raggiunti, panorami sorpresi nel primo letargo dell’alba, tramonti velati dalle nebbie e candore di nevi, opacità di valli, irromper gagliardo di fiumi, ondeggiar molle di pini, e palpiti di segale e tenui brusii di grilli a notte... addio... addio!...

Addio, strada bianca, che t’accompagni al bianco andare dell’acqua, turbina che ne trasformi lo scroscio in forza e luce; addio, vigne basse, allineate, dense di grappoli che daranno gioia e calore.

Io sono triste, io vi saluto con lagrime!

E dunque addio!...

In modo speciale addio a te, rustico sedile, tavola rozza di pietra, laggiù nell’orto del curato, all’orezzo delle nocciole dove ho scritto tanto; addio a te per la gioia e per la febbre del mio lavoro; addio a te per il dolore di quest’ora lagrimosa: tu forse più di tutte le altre cose, più di tutte le altre persone hai potuto conoscermi, c’era una communione frequente, forzata tra noi.... tavola rozza di pietra, ombreggiata dalle nocciole dove ho scritto tanto, addio... addio!...