In risaia/II

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I III

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II.

La Nanna, la figliola dei Lavatelli, aveva passata l’infanzia a custodire le oche. Ne aveva dodici, e davano della bella piuma, che la Maddalena, come tutte le buone mamme, metteva da parte ad ogni spennatura, ed accumulava per farne poi il letto nuziale della sua figliola.

E la Nanna andava superba delle sue oche, e di quegli apparecchi fatti per lei.

Quando la ragazza ebbe poco più di dieci anni, la mamma disse al marito:

“Bisogna cercare un’altra piccina per condur fuori le oche. I fanciulli che custodiscono le vacche, e le fanciulle che guidano i paperi, si scontrano nei campi, e si baloccano insieme. E questo si può tollerare soltanto nell’età dell’innocenza; ma la Nanna ha dieci anni, l’età dell’innocenza è passata.”

Martino trovò tutta la profondità di giu[p. 13 modifica]dizio dei sette Savi della Grecia in quelle sentenze della sua massaia. Le oche vennero affidate ad una bambina di otto anni, poi, cresciuta quella, ad un’altra. Erano custodite dall’aprile al novembre per 50 centesimi ogni oca. Facevano sei lire all’anno, che la famiglia spendeva per evitare alla Nanna la comunanza dei giuochi coi piccoli mandriani.

E la Nanna andava superba anche di questo, che le dava una certa superiorità sui suoi compagni.

Quando li scontrava, o li vedeva passare al di là della siepe, e le gridavano:

“Oh! Nanna! Non vieni più fuori colle oche?” lei rispondeva:

“La mamma non vuole più, perchè non ho più l’età dell’innocenza.”

Ma ci metteva un orgogliuzzo come se dicesse: “perchè sono una principessa.” E soggiungeva dandosi importanza:

“Noi paghiamo la Margheritina perchè stia a curare le mie oche;” ed ancora aveva l’aria di dire: “Abbiamo della servitù.” [p. 14 modifica]

Non ci metteva malizia; punta. Era quel tantino d’orgoglio che è comune ai figlioli, i quali vedono i genitori continuamente occupati di loro. Pensano: “Se si danno tanta briga per me, vuol dire che sono un piccolo personaggio di conto.”

Del resto l’orgogliuzzo della Nanna non le impediva di lavorare nell’orto nella misura delle sue forze e della sua capacità. Non le veniva nemmanco in mente che si potesse sdegnare il lavoro. Mondava le aiuole, raccoglieva erbaggi, li lavava alla fonte, aiutava a disporli nei panieri che la mamma portava poi sul mercato di Trecate o di Novara.

In quel cascinale, quando la Nanna aveva dieci anni, non c’erano altre bambine; e gli inquilini dell’alloggio a sinistra, appena vedevano la fanciulletta, le gridavano in tuono vezzeggiativo:

“Hai sradicate le carote?” oppure: “Stai lavando l’insalata, Nanna? Oh la brava bimba! Sembri una donnina.” [p. 15 modifica]

E se scontravano il suo babbo o la mamma:

“Buon dì, Martino; buon dì, Maddalena; e la Nanna?”

E la sera, che si passava, d’estate in corte, sulla trave stesa contro il muro di casa a guisa di panca, e d’inverno nella stalla, era sempre la Nanna che girellava intorno, un po’ accanto all’uno, un po’ accanto all’altro. Interrompevano i discorsi per ischerzare con lei; le coprivano gli occhi colla mano per farle indovinare chi le facesse quella burla; le narravano fole, s’intrattenevano dei suoi trastulli e dei suoi piccoli interessucci da bimba. Il fratellino, tra perchè era un maschio, tra pel suo carattere taciturno e selvatico, non attirava i vezzi, stava in disparte.

Così la Nanna si avvezzò ad occupare la gente di sè. Era naturalmente amorosa; e quell’attenzione esclusiva che le accordavano, le creava intorno un’atmosfera d’affetto nella quale si trovava bene ed era contenta.