Intermezzo di rime/Sonetti di primavera

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Studii di nudo

I

Come da la putredine le vite
nuove crescono in denso brulicame
e strane piante balzano nutrite
da li umori corrotti d'un carname:

5sgorgano i grandi fior' quali ferite
fresche di sangue con un giallo stame
e crisalidi enormi seppellite
stanno tra le pelurie de 'l fogliame:

così dentro il mio cuore una maligna
10flora di versi gonfiasi; le foglie
vanno esalando un triste odore umano.

Attratta da 'l fulgor de la sanguigna
tinta la inconsapevole ne coglie;
e il tossico le morde acre la mano.


II

A questo di salute alito enorme
che da 'l sen de la terra umida emana
mentre amata da 'l sol la terra dorme
ne la tranquillità meridiana,

5io ne 'l fondo de l'essere un informe
viluppo sento che si schiude. Strana
un'angoscia mi tenta: or quali forme
partorirà la stanca pianta umana?

E l'angoscia m'incalza. E l'infinita
10vista de i piani, ed il profuno occulto
che si eleva da i piani, e lo splendore

de l'aria, e queste immense onde di vita
che su 'l capo mi passano in tumulto
or mi dànno, io non so, quasi terrore.


III

Non più dentro le grige iridi smorte
lampo di giovinezza or mi sorride:
la giovinezza mia barbara e forte
in braccio de le femmine si uccide.

5Alto gridando in van la mia coorte,
in van me chiama a l'armi e a le disfide:
io qui ne li ozî la mia bella sorte
oblìo tra voluttà pazze ed infide.

Quasi un tossico lene ora mi sale
10ogni arteria, un languor lungo mi snerva;
ed io virtù non ho più di lottare,

come allor che su 'l vento maestrale
mi balzava la strofa ebbra e proterva
squillando innanzi: O mare, o mare, o mare!


IV

O bei corpi di femmine attorcenti
con le anella di un serpe agile e bianco,
pure io non so da' vostri allacciamenti
ancora sazio liberare il fianco.

5Bei seni da la punta erta fiorenti,
su cui mi cade a l'alba il capo stanco
allor che ne' supremi abbattimenti
de 'l piacere io m'irrigidisco e manco;

reni felini pe' cui solchi ascendo
10lascivamente in ritmo con le dita
come su nervi di falcate lire;

denti sotto a' cui morsi acri mi arrendo,
bocche sanguigne più di una ferita,
pur m'è dolce per voi così sfiorire.


V

O nave che a 'l mio bel mare selvaggio
davi il fianco lucente di catrame
quando abbracciato da 'l gran sol di maggio
il mio mar si spezzava in mille lame,

5ed io folle di gloria e di coraggio
gridavo eretto su la prua di rame
dirizzando il timone a l'arrembaggio,
tra 'l fischiare de 'l vento ne 'l cordame;

e la giovine madre da la riva,
10gittandomi su 'l vento un augurale
inno, tendea le braccia colorite;

e ne i riposi pallida veniva
a lavarmi con l'acque aspre di sale
su 'l petto e su la faccia le ferite!


VI

Tu, madre, che da i tristi occhi preganti
mi vigilavi pallida ne 'l viso
e per l'onda felice de' miei canti
abbandonata rifiorivi a 'l riso;

5tu che le angosce mie tumultuanti,
s'io ne 'l silenzio ti guardava fiso,
indovinavi, e le braccia tremanti
a 'l collo mi gettavi d'improvviso;

tu che per me in segreto avevi sparse
10tante lacrime e ròsa lentamente
senza di me languivi di desìo:

tu non questo credevi! Tu, con arse
le pupille, quel dì, ma pur fidente
ne 'l mio destino, mi gridasti addio.


VII

Le barbariche strofe io, ne le prime
armi, scagliavo in alto a la ventura,
ed elle, come falchi da le cime,
seguitavano a vol senza paura.

5Ne lo stridulo gioco de le rime
or crudelmente io cerco una tortura
ed i versi sottili come lime
odo segarmi i nervi aspri in misura.

A lo spasimo rido io con un roco
10riso, stringendo i denti, impallidendo
qual sotto il taglio un milite ferito.

Ma ne la prova di quel chiuso foco
mi si tempra il sonetto; ed io lo rendo
come un pezzo d'acciar terso e brunito.


VIII

Quando io mi adagio, tristo e sonnolente,
poi che più nulla al fine ora m'illude,
a marcir come un sughero cadente
ne le melmosità de la palude,

5una forma di donna lentamente
da la fredda ombra come un fior si schiude,
e sorge a l'alto; ed il gran fior vivente
mi raggia il lume de le membra ignude.

Io sollevo la fronte: ne 'l torpore
10un insensato d'odio impeto immane
mi soffoca, d'infranger quella muta

forma, quella pietrosa erma d'amore
che solitaria a contemplar rimane
la selva de' miei venti anni abbattuta.