Io vi voglio fare ora un mappamondo
Questo testo è completo. |
La conversazione
Capitolo
Io vi voglio fare ora un mappamondo
di tutta quanta la conversazione,
vo’ che vediate questo fiume in fondo.
Ella è composta di certe persone,
5che discorron di tutto a maraviglia,
ed han tutte studiato il Pecorone.
V’è uno che tra sé sempre bisbiglia,
gestisce largo e al naso altrui fa vento,
stringe le labbra e inalza ambe le ciglia:
10- Io brucio, o bella, come un lume spento -
dicea tra’ denti, - e morirò, se vuoi,
ma non vorrei morir sì mal contento!
Orsù, moia Sanson con tutti i suoi;
ma prego Amor che questa morte mia
15a te faccia quel pro’ che il maglio ai buoi -.
Indi pieno di rabbia e bizzarria
si mette a correr come indemoniato,
né si cura di noi, ma passa via.
Io dissi volto agl’altri: - Oh che peccato
20che costui sia sì pazzo e sia sì bello:
vedete, chi l’avrebbe indovinato!
Quanto lo compatisco il poverello:
la sua dama per esser troppo onesta
lo avrà forse cavato di cervello -.
25A questo dir vidi scrollar la testa
a donna Lidia, che dovunque appare
vuol esser la tiranna della festa.
Indi così si messe a ragionare:
- S’io vi potessi dir liberamente
30quello che non si può né dir, né fare;
e come a lume di candele spente…
il pover’uomo… voi direste certo:
egli è impazzito ragionevolmente.
Non dico: ell’è una dama di gran merto,
35ma è troppo scaltra in far la babbalea,
e questo giovinetto è poco esperto;
ed ella in fatti, che lo conoscea:
basta (non vo’ dir male di nessuno),
di tal semplicità si prevalea;
40il conte della Valle di Malpruno
era il suo favorito; oh basta, basta!
quel ch’io non dico può pensarlo ognuno -.
Qui raffrenò la lingua intatta e casta
questa nemica della maldicenza,
45dal dolce labro e dolce cuor di pasta.
Uno starnuto senza riverenza
qui si sentì sonar: tra quello e un tuono
direi che non vi fosse differenza.
Io mi riscossi tutto a quel frastuono,
50mi volto in dietro e vedo un uom nasuto,
che incominciava un più giocondo suono.
- Signor - diceva a quel dello starnuto
- auguro una mazzuola criminale
sopra cotesto capaccio canuto,
55sicché egli impari ad esser men bestiale,
né starnutisca più con quel rumore
che ‘l terremoto nol farebbe eguale.
Non v’è rispetto per queste signore?
Viene in veste da camera e in pianelle,
60e poi lor fa questo armonioso onore -.
Io son fatto così - rispose, - e quelle
che non amano questa libertà,
o non sono graziose, o non son belle.
Io amo al sommo la commodità,
65amo le donne ancor, non però tanto
ch’io mi voglia guastar la sanità;
e se non potess’io di tanto in tanto
sbadigliar loro in faccia e starnutire,
al mio star lieto potrei fare il pianto.
70E poi s’io non avessi il mio tossire,
il mio star sbraculato, e a dirittura
su questa sedia russare e dormire,
io certo qui non ci farei figura,
dove ora mostro un tal maraviglioso,
75che fa parlar di me fino le mura -.
E qui tacque, che ansante e polveroso
giunse tra noi un certo giovinotto,
che un occhio guercio avea, l’un lagrimoso,
e disse: - Io son venuto qui di trotto
80per darvi nuova, come di Gineva
il tanto fumo ed il rigoglio è rotto:
quando il secol fu d’oro e il ciel ridea,
vestiva proprio come una regina,
nobil conversazion sempre teneva;
85preziosa cioccolata ogni mattina,
accademie di suon, rinfreschi e cene
le avevan dato il titol d’eroina.
Ma il ben va dietro al male, e il male al bene,
alla fortuna al fine ha lei voltato
90con riverenza il fondo delle rene:
morto è il di lei marito, e il primo nato
l’ha cacciata di casa. Io sì l’ho vista
che da se stessa bolliva il bucato.
Io mi credea trovarla afflitta e trista,
95ma lieta la trovai nel suo cadere,
che né meno in Olanda un ateista -. / E si può creder che la faccia vista -.
- Eh - disse il Fiotta, - ella vuol darci a bere
d’esser donna di cuor romano e forte,
ma son tutte fantastiche chimere -.
100O voi, che aprite a cortesia le porte,
ditemi: questa gente velenosa
non tira d’arco peggio della morte?
Or ve ne voglio dire una curiosa:
voi conoscete ben quell’arfasatto,
105che parla sempre in voce dispettosa.
Sappiate dunque come questo matto
s’è messo in capo di voler parere
in tutti i fari il conte di Cerviatto;
e perché quel nel mettersi a sedere
110suol dir stiticamente - Ohimei, ohimei -,
e poi lascia di piombo ir giù il messere,
così fa questo: dopo il grande ahimei
lo vedi piombar giù, seggiole addio;
fino a ora n’ha rotte cinque o sei.
115S’è però messo per consiglio mio
giù nella sedia un certo spuntoncino,
che foreralli quel che m’intend’io.
Ieri in tanto li feci questo inchino,
li andai di dietro e con un pugno orrendo
120quasi li smantellai quel bel bocchino.
Si voltò verso me d’ira fremendo,
e di volermi dar si pose in atto;
allora io mi salvai così dicendo:
- Oh, la credeva il conte di Cerviatto;
125di dietro è tutto lui, e tra di noi
questo scherzo più volte ci vien fatto -.
Ed egli allora: - Eh via, non se ne annoi,
m’ha fatto troppo onor, viva pur lieta,
perché io son servitor di tutti duoi! -
130Con sua faccia da parte alida e vieta
qui ci si fece innanzi Don Vulcano,
che camminando rappresenta un zeta,
che ci disse: - Venite giù pian piano,
se volete veder donna pierica
135amoreggiar col greco ciarlatano -.
Noi lo seguimmo, e smisurata chierica
vedemmo da lontan su capo nero
candidamente aprirsi in forma sferica.
Ell’era fatta con tal magistero
140che io dissi tra me con divozione:
- Ell’è d’un patriarca bello e intero -.
Noi ci appressammo adagio e soppiattone,
poi tra-lle frasche nell’erbette nuove
sentimmo sibilar questo sermone:
145- Ah, mira il pianto che nel sen mi piove,
tu che il cuor mi mettesti a sangue e a fuoco,
tu che infiammi nel ciel Saturno e Giove.
Io salto in qua e in là, né trovo loco;
Amor mi dice al cuore: «Osa, o fedele;
150giovine donna ha in odio un uom da poco».
Per correr maggior acqua alzo le vele
(piacerosa è la donna): in te mi getto,
bella Pieria dalle bianche mele;
io ti regalo il corpo e l’intelletto,
155e se amabil tu sei disgiunta e sola,
qual poi se teco i’ sarò unito e stretto!
Addosso avrai tutta l’antica scuola
de’ filosofi greci; il grande Omero,
il grande Omero sol non ti fa gola?
160Non son, qual io ti sembro, un uom del clero,
sotto questo lungo abito s’asconde
Achille, l’implacabile guerriero -.
La matera si volge e si confonde:
ecco chierco gentil, vago ed onesto
165chi già del Zanto fè sanguigne l’onde.
- M’è rimasto però di quel rubesto
Achille del vigor: per te, mia bella,
voglio tutto impiegar quel po’ di resto.
Ifigenia tu sei, sì tu sei quella:
170ah, ch’io ti veggio al grand’altar d’avante,
colla camicia sopra la gonnella;
e col coltello in mano il fier Calcante
vibrare il colpo. Ah, mi si spezza il core
in vederte sì pallida e tremante!
175Fate pioggia di pianto e di dolore,
o greche schiere; l’impudica Elèna
è cagion che una vergin se ne muore.
Ecco il vento turbar l’aria serena,
ecco agitarsi il mar: pàrtiti Ulisse,
180che ti possa ingollare una balena! -
Qui chiuse i labri, e i torbidi occhi fisse
di pïerica in volto. Un’altra volta
vi saprò dir quel che la donna disse.