Istorie fiorentine/Libro quarto/Capitolo 12

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Libro quarto

Capitolo 12

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Era castellano nella rocca di Monte Petroso Biagio del Melano. Costui, sendo affocato intorno dai nimici e non vedendo per la salute della rocca alcuno scampo, gittò panni e paglia da quella parte che ancora non ardeva, e di sopra vi gittò duoi suoi piccoli figliuoli, dicendo a’ nimici: - Togliete per voi quelli beni che mi ha dati la fortuna e che voi mi potete torre: quelli che io ho dello animo, dove la gloria e l’onore mio consiste, né io vi darò, né voi mi torrete! - Corsono i nimici a salvare i fanciulli, e a lui porgevano funi e scale perché si salvasse, ma quello non le accettò, anzi volle più tosto morire nelle fiamme, che vivere salvo per le mani degli avversarii della patria sua. Esemplo veramente degno di quella lodata antichità! e tanto è più mirabile di quelli quanto è più rado. Furono a’ figliuoli suoi da’ nimici restituite quelle cose che si poterono avere salve, e con massima cura rimandati a’ parenti loro; verso de’ quali la republica non fu meno amorevole, perché mentre vissero furono publicamente sostentati. Al contrario di questo occorse in Galeata, dove era podestà Zanobi del Pino; il quale, senza fare difesa alcuna, dette la rocca al nimico, e di più confortava Agnolo a lasciare l’alpi di Romagna e venire ne’ colli di Toscana, dove poteva fare la guerra con meno pericolo e maggiore guadagno. Non potette Agnolo sopportare la viltà e il malvagio animo di costui, e lo dette in preda a’ suoi servidori i quali, dopo molti scherni, gli davano solamente mangiare carte dipinte a biscie, dicendo che di guelfo, per quel modo, lo volevono fare diventare ghibellino; e così stentando, in brievi giorni morì.