Istorie fiorentine/Libro quinto/Capitolo 32

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Libro quinto

Capitolo 32

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Mentre che queste cose in questa maniera in Toscana si travagliavano, e con poco acquisto per la gente del Duca, in Lombardia non erano quiete, ma con perdita e danno suo. Perché il conte Francesco, come prima lo consentì il tempo, uscì con lo esercito suo in campagna; e perché i Viniziani avevano la loro armata del lago instaurata, volle il Conte, prima che ogni cosa, insignorirsi delle acque, e cacciare il Duca del lago, giudicando, fatto questo, che l’altre cose gli sarieno facile. Assaltò per tanto, con l’armata de’ Viniziani, quella del Duca, e la ruppe, e con le genti di terra le castella che al Duca ubbidivano; tanto che l’altre genti ducali, che per terra strignevano Brescia, intesa quella rovina, si allargorono: e così Brescia, dopo tre anni che l’era stata assediata, dallo assedio fu libera. Apresso a questa vittoria, il Conte andò a trovare li nimici che si erano ridotti a Soncino, castello posto in sul fiume dello Ollio, e quelli diloggiò, e li fece ritirare a Cremona; dove il Duca fece testa, e da quella parte i suoi stati difendeva. Ma stringendolo più l’uno dì che l’altro il Conte e dubitando non perdere o tutto o gran parte degli stati suoi, cognobbe la malvagità del partito da lui preso, di mandare Niccolò in Toscana; e per ricorreggere lo errore, scrisse a Niccolò in quali termini si trovava e dove erano condotte le sue imprese: per tanto, il più presto potesse, lasciato la Toscana, se ne tornasse in Lombardia. I Fiorentini, in questo mezzo, sotto i loro commissari avevono ragunate le loro genti con quelle del Papa, e avevano fatto alto ad Anghiari, castello posto nelle radice de’ monti che dividono Val di Tevere da Val di Chiana, discosto al Borgo a San Sepolcro quattro miglia, via piana, e i campi atti a ricevere cavagli e maneggiarvisi guerra. E perché eglino avieno notizia delle vittorie del Conte e della revocazione di Niccolò, giudicorono con la spada dentro e sanza polvere avere vinta quella guerra; e per ciò a’ commissari scrissono che si astenessero dalla giornata, perché Niccolò non poteva molti giorni stare in Toscana. Questa commissione venne a notizia a Niccolò, e veggendo la necessità del partirsi, per non lasciare cosa alcuna intentata, deliberò fare la giornata, pensando di trovare i nimici sproveduti e con il pensiero alieno dalla zuffa. A che era confortato da messer Rinaldo, da il conte di Poppi e dagli altri fuorusciti fiorentini, i quali la loro manifesta rovina cognoscevano se Niccolò si partiva, ma venendo a giornata, credevono o potere vincere la impresa, o perderla onorevolmente. Fatta adunque questa deliberazione, mosse lo esercito donde era, intra Città di Castello e il Borgo; e venuto al Borgo sanza che i nimici se ne accorgessero, trasse di quella terra dumila uomini, i quali confidando nella virtù del capitano e nelle promesse sue, desiderosi di predare, lo seguirono.