Istorie fiorentine/Libro quinto/Capitolo 6

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Libro quinto

Capitolo 6

../Capitolo 5 ../Capitolo 7 IncludiIntestazione 31 agosto 2009 75% Storia

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I Genovesi, veggendo come il Duca, sanza avere loro rispetto, aveva liberato il Re, e che quello de’ pericoli e delle spese loro si era onorato, e come a lui rimaneva il grado della liberazione e a loro la ingiuria della cattura e della rotta, tutti si sdegnorono contro a quello. Nella città di Genova, quando la vive nella sua libertà, si crea per liberi suffragi uno capo, il quale chiamano Doge non perché sia assoluto principe, né perché egli solo deliberi, ma come capo preponga quello che dai magistrati e consigli loro si debba deliberare. Ha quella città molte nobili famiglie, le quali sono tanto potenti che difficilmente allo imperio de’ magistrati ubbidiscono. Di tutte l’altre, la Fregosa e la Adorna sono potentissime: da queste nascono le divisioni di quella città, e che gli ordini civili si guastono; perché, combattendo intra loro, non civilmente, ma il più delle volte con le armi, questo principato, ne segue che sempre è una parte afflitta e l’altra regge; e alcuna volta occorre che quelli che si truovano privi delle loro dignità, alle armi forestiere ricorrono, e quella patria che loro governare non possono allo imperio d’uno forestiero sottomettono. Di qui nasceva e nasce che quelli che in Lombardia regnono, il più delle volte a Genova comandono, come allora, quando Alfonso d’Aragona fu preso, interveniva. E tra i primi Genovesi che erano stati cagione di sottometterla a Filippo era stato Francesco Spinula; il quale, non molto poi che gli ebbe fatta la sua patria serva, come in simili casi sempre interviene, diventò sospetto al Duca. Onde che egli, sdegnato, si aveva eletto quasi che uno esilio voluntario a Gaeta; dove trovandosi quando e’ seguì la zuffa navale con Alfonso, ed essendosi portato ne’ servizi di quella impresa virtuosamente, gli parve avere di nuovo meritato tanto con il Duca, che potessi almeno, in premio de’ suoi meriti, stare securamente a Genova. Ma veduto che il Duca seguitava ne’ sospetti suoi, perché egli non poteva credere che quello che non aveva amato la libertà della sua patria amasse lui, deliberò di tentare di nuovo la fortuna, e ad uno tratto rendere la libertà alla patria, e a sé la fama e la securtà, giudicando non avere con i suoi cittadini altro rimedio se non fare opera che donde era nata la ferita nascessi la medicina e la salute. E vedendo la indegnazione universale nata contro al Duca per la liberazione del Re, giudicò che il tempo fusse commodo a mandare ad effetto i disegni suoi; e comunicò questo suo consiglio con alquanti i quali sapeva erano della medesima opinione, e gli confortò e dispose a seguirlo.