Istorie fiorentine/Libro sesto/Capitolo 37

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Libro sesto

Capitolo 37

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Pareva per tanto che fussero posate le armi in Italia, e il Pontefice si ordinava a muovere la cristianità contro a’ Turchi, secondo che da Calisto era già stato principiato, quando nacque intra i Fregosi e Giovanni signore di Genova dissensione, la quale maggiori guerre e più importanti di quelle passate raccese. Trovavasi Petrino Fregoso in uno suo castello in Riviera. A costui non pareva essere stato rimunerato da Giovanni d’Angiò secondo i suoi meriti e della sua casa, sendo loro stati cagione di farlo in quella città principe: per tanto vennono insieme a manifesta inimicizia. Piacque questa cosa a Ferrando, come unico rimedio e sola via alla sua salute; e Petrino di gente e di danari suvvenne, e per suo mezzo giudicava potere cacciare Giovanni di quello stato. Il che cognoscendo egli, mandò per aiuti in Francia, con i quali si fece incontro a Petrino, il quale, per molti favori gli erano stati mandati, era gagliardissimo; in modo che Giovanni si ridusse a guardare la città. Nella quale entrato una notte Petrino, prese alcuni luoghi di quella; ma venuto il giorno, fu dalle genti di Giovanni combattuto e morto, e tutte le sue genti o morte o prese. Questa vittoria dette animo a Giovanni di fare la impresa del Regno; e di ottobre, nel 1459, con una potente armata partì di Genova per alla volta di quello; e pose a Baia, e di quivi a Sessa, dove fu da quel duca ricevuto. Accostoronsi a Giovanni il principe di Taranto, gli Aquilani e molte altre città e principi; di modo che quel regno era quasi tutto in rovina. Veduto questo, Ferrando ricorse per aiuti al Papa e al Duca; e per avere meno nimici, fece accordo con Gismondo Malatesti. Per la qual cosa si turbò in modo Iacopo Piccinino, per essere di Gismondo naturale nimico, che si parti da’ soldi di Ferrando e accostossi a Giovanni. Mandò ancora Ferrando danari a Federigo signore di Urbino, e quanto prima poté, ragunò, secondo quelli tempi, uno buono esercito; e sopra il fiume di Sarni si ridusse a fronte con li nimici, e venuti alla zuffa, fu il re Ferrando rotto, e presi molti importanti suoi capitani. Dopo questa rovina rimase in fede di Ferrando la città di Napoli con alcuni pochi principi e terre: la maggiore parte a Giovanni si dierono. Voleva Iacopo Piccinino che Giovanni con questa vittoria andasse a Napoli e si insignorissi del capo del Regno; ma non volse, dicendo che prima voleva spogliarlo di tutto il dominio e poi assalirlo, pensando che, privo delle sue terre, lo acquisto di Napoli fusse più facile. Il quale partito, preso al contrario, gli tolse la vittoria di quella impresa; perché egli non cognobbe come più facilmente le membra seguono il capo che il capo le membra.