Istorie fiorentine/Libro settimo/Capitolo 13

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Libro settimo

Capitolo 13

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Non erano accettate queste ragioni, e le nimicizie cominciorono a mostrarsi aperte, e ciascheduna delle parti di notte, in diverse compagnie conveniva, perché gli amici de’ Medici nella Crocetta, e gli avversarii nella Pietà si riducevano i quali, solleciti nella rovina di Piero, avevono fatto soscrivere come alla impresa loro favorevoli, molti cittadini. E trovandosi, tra le altre volte, una notte insieme, tennono particulare consiglio del modo di procedere loro; e a ciascuno piaceva diminuire la potenza de’ Medici, ma erano differenti nel modo. Una parte, la quale era la più temperata e modesta, voleva che, poi che gli era finita l’autorità della balia, che si attendessi ad obstare che la non si riassumesse; e fatto questo, ci era la intenzione di ciascuno, perché i Consigli e i magistrati governerebbono la città, e in poco tempo l’autorità di Piero si spegnerebbe; e verrebbe, con la perdita della reputazione dello stato, a perdere il credito nelle mercatanzie, perché le sustanze sue erano in termine che, se si teneva forte che e’ non si potessi de’ danari publici valere, era a rovinare necessitato; il che come fusse seguito, non ci era di lui più alcuno pericolo, e venivasi ad avere, sanza esili e sanza sangue, la sua libertà recuperata; il che ogni buono cittadino doveva desiderare. Ma se si cercava di adoperare la forza, si potrebbe in moltissimi pericoli incorrere; perché tale lascia cadere uno che cade da sé, che, se gli è spinto da altri, lo sostiene. Oltra di questo, quando non si ordinasse alcuna cosa straordinaria contro a di lui, non arebbe cagione di armarsi o di cercare amici; e quando e’ lo facessi, sarebbe con tanto suo carico, e genererebbe in ogni uomo tanto sospetto, che farebbe a sé più facile la rovina e ad altri darebbe maggiore occasione di opprimerlo. A molti altri de’ ragunati non piaceva questa lunghezza, affermando come il tempo era per favorire lui e non loro: perché, se si voltavano ad essere contenti alle cose ordinarie, Piero non portava pericolo alcuno, e loro ne correvono molti, perché i magistrati suoi nimici gli lasceranno godere la città, e gli amici lo faranno, con la rovina loro, come intervenne nel ’58, principe. E se il consiglio dato era da uomini buoni, questo era da uomini savi; e per ciò, mentre che gli uomini erano infiammati contro a di lui, conveniva spegnerlo. Il modo era: armarsi dentro, e fuori soldare il marchese di Ferrara, per non essere disarmato; e quando la sorte dessi di avere una Signoria amica, essere parati ad assicurarsene. Rimasono per tanto in questa sentenza: che si aspettasse la nuova Signoria, e secondo quella governarsi. Trovavasi intra questi congiurati ser Niccolò Fedini il quale tra loro come cancelliere si esercitava. Costui, tirato da più certa speranza, rivelò tutte le pratiche tenute da’ suoi inimici a Piero, e la listra de’ congiurati e de’ soscritti gli portò. Sbigottissi Piero, vedendo il numero e la qualità de’ cittadini che gli erano contro, e consigliatosi con gli amici, deliberò ancora egli fare degli amici suoi una soscrizione; e dato di questa impresa la cura ad alcuno de’ più suoi fidati, trovò tanta varietà e instabilità negli animi de’ cittadini, che molti de’ soscritti contro di lui ancora in favore suo si soscrissono.