Istorie fiorentine/Libro settimo/Capitolo 19

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Libro settimo

Capitolo 19

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Disperato per tanto messer Agnolo di potere impetrare perdono, se ne venne a Roma, e accozzossi con lo Arcivescovo e altri fuori usciti, e con quelli termini potette più vivi si sforzorono di torre il credito alla ragione de’ Medici che in Roma si travagliava; a che Piero con difficultà provide; pure, aiutato dagli amici, fallì il disegno loro. Messer Dietisalvi dall’altra parte e Niccolò Soderini con ogni diligenza cercorono di muovere il Senato viniziano contra alla patria loro, giudicando che, se i Fiorentini fussero da nuova guerra assaliti per essere lo stato loro nuovo e odiato, che non potrieno sostenerla. Trovavasi in quel tempo a Ferrara Giovan Francesco, figliuolo di messer Palla Strozzi, il quale era, nella mutazione del ’34, stato cacciato con il padre da Firenze. Aveva costui credito grande ed era, secondo gli altri mercatanti, estimato ricchissimo. Mostrorono questi nuovi ribelli a Giovan Francesco la facilità del ripatriarsi, quando e Viniziani ne facessero impresa; e facilmente credevono la farieno, quando si potesse in qualche parte contribuire alla spesa; dove altrimenti ne dubitavano. Giovan Francesco, il quale desiderava vendicarsi delle ingiurie ricevute, credette facilmente a’ consigli di costoro, e promesse essere contento concorrere a questa impresa con tutte le sue facultà. Donde che quelli se ne andorono al Doge, e con quello si dolfono dello esilio, il quale non per altro errore dicevano sopportare, che per avere voluto che la patria loro con le leggi sue vivesse e che i magistrati, e non i pochi cittadini, si onorassero: perché Piero de’ Medici con altri, suoi seguaci, i quali erano a vivere tirannicamente consueti, avevono con inganno prese le armi, con inganno fattole posare a loro, e con inganno cacciatigli poi della loro patria; né furono contenti a questo, che eglino usorono mezzano Iddio ad opprimere molti altri che sotto la fede data erano rimasi nella città; e come nelle publiche e sacre cerimonie e solenni supplicazioni, acciò che Iddio de’ loro tradimenti fusse partecipe, furono molti cittadini incarcerati e morti: cosa d’uno impio e nefando esemplo. Il che per vendicare non sapevono dove con più speranza si potere ricorrere che a quel Senato; il quale, per essere sempre stato libero, doverrebbe di coloro avere compassione che avessero la sua libertà perduta. Concitavano adunque contro a’ tiranni gli uomini liberi, contro agli impii i pietosi; e che si ricordassero come la famiglia de’ Medici aveva tolto loro lo imperio di Lombardia, quando Cosimo, fuora della volontà degli altri cittadini, contro a quel Senato favorì e suvvenne Francesco; tanto che, se la giusta causa loro non li moveva, il giusto odio e giusto desiderio di vendicarsi muovere gli doverrebbe.