Istorie fiorentine/Libro settimo/Capitolo 23

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Libro settimo

Capitolo 23

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Vivevasi per tanto in Italia assai quietamente, e la maggior cura di quelli principi era di osservare l’uno l’altro, e con parentadi, nuove amicizie e leghe, l’uno dell’altro assicurarsi. Non di meno, in tanta pace, Firenze era da’ suoi cittadini grandemente afflitta, e Piero alla ambizione loro, dalla malattia impedito, non poteva opporsi. Non di meno, per sgravare la sua conscienza, e per vedere se poteva farli vergognare, gli chiamò tutti in casa, e parlò loro in questa sentenza: - Io non arei mai creduto che potesse venire tempo che i modi e costumi degli amici mi avessero a fare amare e desiderare i nimici, e la vittoria la perdita; perché io mi pensava avere in compagnia uomini che nelle cupidità loro avessero qualche termine o misura, e che bastasse loro vivere nella loro patria securi e onorati, e di più, de’ loro nimici vendicati. Ma io cognosco ora come io mi sono di gran lunga ingannato, come quello che cognosceva poco la naturale ambizione di tutti gli uomini, e meno la vostra: perché non vi basta essere in tanta città principi e avere voi pochi quegli onori, dignità e utili de’ quali già molti cittadini si solevono onorare; non vi basta avere intra voi divisi i beni de’ nimici vostri; non vi basta potere tutti gli altri affliggere con i publici carichi, e voi, liberi da quelli, avere tutte le publiche utilità; che voi con ogni qualità di ingiuria ciascheduno affliggete. Voi spogliate de’ suoi beni il vicino, voi vendete la giustizia, voi fuggite i giudicii civili, voi oppressate gli uomini pacifici, e gli insolenti esaltate. Né credo che sia in tutta Italia tanti esempli di violenza e di avarizia, quanti sono in questa città. Dunque questa nostra patria ci ha dato la vita perché noi la togliamo a lei? ci ha fatti vittoriosi perché noi la distruggiamo? ci onora perché noi la vituperiamo? Io vi prometto per quella fede che si debbe dare e ricevere dagli uomini buoni, che, se voi seguiterete di portarvi in modo che io mi abbi a pentire di avere vinto, io ancora mi porterò in maniera che voi vi pentirete di avere male usata la vittoria. - Risposono quelli cittadini secondo il tempo e il luogo accomodatamente; non di meno dalle loro sinistre operazioni non si ritrassono. Tanto che Piero fece venire celatamente messer Agnolo Acciaiuoli in Cafaggiuolo, e con quello parlò a lungo delle condizioni della città: né si dubita punto che, se non era dalla morte interrotto, che gli avesse tutti i fuorusciti per frenare le rapine di quegli di dentro alla patria restituiti. Ma a questi suoi onestissimi pensieri si oppose la morte; perché, aggravato dal male del corpo e dalle angustie dello animo, si morì l’anno della età sua cinquantatreesimo. La virtù e bontà del quale la patria sua non potette interamente cognoscere, per essere stato da Cosimo suo padre infino quasi che allo estremo della sua vita accompagnato, e per avere quelli pochi anni che sopravisse nelle contenzioni civili e nella infirmità consumati. Fu sotterrato Piero nel tempio di San Lorenzo, propinquo al padre; e furno le sue esequie fatte con quella pompa che tanto cittadino meritava. Rimasono di lui duoi figliuoli, Lorenzo e Giuliano, i quali benché dessero a ciascheduno speranza di dovere essere uomini alla repubblica utilissimi, non di meno la loro gioventù sbigottiva ciascuno.