Istorie fiorentine/Libro settimo/Capitolo 4

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Libro settimo

Capitolo 4

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Fu questa qualità di governo, per otto anni che durò insopportabile e violento; perché Cosimo, già vecchio e stracco e per la mala disposizione del corpo fatto debole, non potendo essere presente in quel modo soleva alle cure publiche, pochi cittadini predavano quella città. Fu Luca Pitti, per premio della opera aveva fatta in benifizio della republica, fatto cavaliere; ed egli, per non essere meno grato verso di lei, che quella verso di lui fussi stata, volle che, dove prima si chiamavano Priori dell’Arti, acciò che della possessione perduta almeno ne riavessero il titulo, si chiamassero Priori di Libertà: volle ancora che dove prima il gonfaloniere sedeva sopra la destra de’ rettori, in mezzo di quelli per lo avvenire sedesse. E perché Iddio paressi partecipe di questa impresa, feciono publice processioni e solenni offizi per ringraziare quello de’ riassunti onori. Fu messer Luca dalla Signoria e da Cosimo riccamente presentato, dietro ai quali tutta la città a gara concorse; e fu opinione che i presenti alla somma di ventimila ducati aggiugnessero. Donde egli salì in tanta reputazione, che non Cosimo ma messer Luca la città governava. Da che lui venne in tanta confidenza che gli cominciò duoi edifici, l’uno in Firenze l’altro a Ruciano, luogo propinquo uno miglio alla città, tutti superbi e regii; ma quello della città al tutto maggiore che alcuno altro che da privato cittadino infino a quel giorno fusse stato edificato. I quali per condurre a fine non perdonava ad alcuno estraordinario modo; perché, non solo i cittadini e gli uomini particulari lo presentavano e delle cose necessarie allo edifizio lo suvvenivano, ma i comuni e popoli interi gli sumministravano aiuti. Oltra di questo, tutti gli sbanditi, e qualunque altro avesse commesso omicidio, o furto o altra cosa per che egli temesse publica penitenzia, purché e’ fusse persona a quella edificazione utile, dentro a quelli edifizi sicuro si rifuggiva. Gli altri cittadini, se non edificavano come quello, non erano meno violenti, né meno rapaci di lui, in modo che, se Firenze non aveva guerra di fuori che la distruggesse, dai suoi cittadini era distrutta. Seguirono, come abbiamo detto, durante questo tempo, le guerre del Regno, e alcune che ne fece il Pontefice in Romagna contro a quelli Malatesti; perché egli desiderava spogliarli di Rimino e di Cesena, che loro possedevano; sì che, infra queste imprese e i pensieri di fare la impresa del Turco, papa Pio consumò il pontificato suo.