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L'Unico e la sua proprietà/Parte seconda/III. L'unico

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Parte seconda - III. L'unico

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II. Il proprietario - 3. La conoscenza di me stesso
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III.


L’UNICO.

L’êra precristiana e la cristiana perseguono due fini opposti: la prima vuole idealizzare il reale; la seconda vuole realizzare l’ideale. L’una cercò lo «Spirito Santo»; l’altra la «glorificazione del corpo». Perciò la prima terminò con l’insensibilità in riguardo al reale, col «disprezzo del Mondo»; mentre la seconda si chiuderà con l’abbandono dell’ideale, col «disprezzo dello spirito».

Il contrasto tra il reale e l’ideale è inconciliabile; l’uno non potrà mai divenire l’altro: se l’ideale si mutasse in reale, non sarebbe più l’ideale; e se il reale diventasse ideale, sarebbe l’ideale e non più il reale. La contraddizione dei due termini non può essere risolta se non si annientano entrambi. È in questo , in questo terzo, che tale contraddizione si dissolverà; altrimenti, ideale e reale non si immedesimeranno mai. L’idea non può essere realizzata e resterà ancora idea; bisogna che come idea essa perisca. E la stessa cosa, quindi, deve avvenire per il reale.

Gli antichi rappresentano per noi i seguaci dell’idea; i Moderni quelli della realtà. Nè gli uni nè gli altri però sanno liberarsi dal contrasto che li tormenta e si limitano a sospirare ciascuno verso la loro mèta: gli Antichi aspirarono allo Spirito, e dal giorno in cui parve che il tanto atteso Spírito fosse finalmente apparso e che il desiderio del mondo antico fosse soddisfatto, ecco che i Moderni incominciarono ad aspirare alla realizzazione di questo Spirito; realizzazione che deve rimanere eternamente un «pio desiderio».

Il pio desiderio degli Antichi era la santità; quello dei Moderni è il corporeo. Ma, come l’Antichità doveva soccombere il giorno in cui i suoi voti furono esauditi (poichè essa non esisteva che per essi), così è impossibile giungere al corporeo senza uscire dal cerchio del Cristianesimo. Al soffio di purificazione o di santificazione che attraverso il mondo antico (abluzioni, ecc.) fa seguito e corrisponde la corrente [p. 378 modifica]d’incarnazione che traversa il mondo cristiano: Dio si precipita in mezzo a questo mondo, si fa carne e vuole redimerlo; cioè compenetrarlo e riempirlo di se stesso; e siccome egli è l’«Idea» o lo «Spirito», si finisce (Hegel, per esempio) per introdurre in ogni cosa lo spirito e per dimostrare «che l’Idea, la Ragione è in tutto». A quello che gli Stoici del paganesimo proclamarono come il «Saggio» corrisponde nella cultura odierna l’«Uomo»; l’uno e l’altro due esseri senza carne. Il «saggio» irreale, questo «santo» incorporeo degli Stoici, è divenuto una persona reale e un «santo» corporeo nel Dio «che si è fatto carne»; ebbene, l’Uomo irreale, l’Io incorporeo, diverrà reale nell’Io corporeo in me.

Al Cristianesimo è connessa la questione dell’«esistenza di Dio»: tale questione, sempre e incessantemente ripresa e dibattuta, prova che il desiderio dell’esistenza, della corporalità, della personalità, della realtà, era per i cuori angosciati causa di febbrili indagini e di costante preoccupazione, perchè non potevano mai trovare una soluzione, soddisfacente a tale riguardo. Finalmente la questione dell’esistenza di Dio cadde, ma per rialzarsi tosto sotto una nuova forma, cioè nella dottrina dell’esistenza del «divino» (Feuerbach), Ma neanche il divino potè reggersi a lungo; e il suo ultimo rifugio, la realizzazione del «puramente umano», non potrà più offrirgli alcun asilo. Nessuna idea ha un’esistenza, perchè nessuna idea è suscettibile di corporalità. La controversia scolastica del Realismo e del Nominalismo non ebbe altro oggetto: in breve, questo problema che attraversa da un punto all’altro la storia cristiana non può trovare in essa la soluzione.

Il mondo cristiano si affatica per realizzare delle Idee nelle varie circostanze della vita individuale, in tutte le istituzioni e nelle leggi della Chiesa e dello Stato; ma queste Idee resistono sempre ai suoi tentativi, perchè in esse è sempre qualche cosa che non è possibile rendere corporeo (d’irrealizzabile); e per qualunque sforzo si faccia per renderle corporee, esse rimarranno quasi senza realtà tangibile.

«Il realizzatore» d’idee si cura delle realtà solamente quando queste realtà incarnano un’idea; perciò esamina instancabilmente se l’idea che. deve essere il nocciolo d’ogni cosa sia insita in esse; indagando il reale egli indaga nello´ [p. 379 modifica]stesso tempo l’idea, e constata se essa è, come egli crede, realizzabile, o se invece non è pensata da lui che a torto e per conseguenza irrealizzabile.

Quali esistenze, la Famiglia, lo Stato, ecc., non interessano più il Cristiano: i Cristiani non devono, come gli Antichi, sacrificarsi per queste «cose divine»; al contrario esse devono essere adoperate unicamente per far vivere in esse Io Spirito, La famiglia reale è divenuta indifferente, e una famiglia ideale (veramente reale) deve da quella nascere: famiglia santa, benedetta da Dio, o, secondo il concetto liberale, «ragionevole» o razionale. Per gli Antichi, la Famiglia,, la Patria, lo Stato, ecc., erano cose attualmente divine; per i Moderni, esse attendono la divinizzazione, e non sono, sotto la loro forma presente, che colpevoli e terrestri; quindi debbono essere «redente»; e sarà questa redenzione che le farà realmente reali. In altre parole, non sono nè la Famiglia, nè lo Stato, ecc., il presente e il reale, ma il divino, l’idea; la questione però è di sapere se tale famiglia potrà divenire reale, per opera del «vero reale», dell’idea. L’individuo non ha, dunque, per compito di servire la famiglia come una divinità, bensì di servire il divino e di innalzare sino ad esso la famiglia non ancora divina; cioè di asservire ogni cosa all’idea, di inalberare su tutto il vessillo dell’idea e di so’ spingere l’idea a una reale ed efficace attività.

Siccome tanto il Cristianesimo quanto l’Antichità hanno sempre avuto di mira il divino, l’uno e l’altra finiscono per ritrovarsi, benché procedano da opposte vie, al medesimo punto. Al tramonto del Paganesimo il divino diventa extramondano; alla Fine del Cristianesimo, intramondano. Ma siccome l’Antichità non riuscì a porlo completamente fuori del mondo, ecco che non appena il Cristianesimo si accinge a questo compito, il «divino» è di nuovo assillato dal desiderio di compenetrare il mondo, che vuol «redimere». Ma se il Cristianesimo fa il divino intramondano, tuttavia esso non può certamente essere nel medesimo tempo il mondano stesso, perchè il cattivo, l’irrazionale, il fortuito, l’egoista, che sono il «mondano» nel senso cattivo della parola, sono e rimangono ostili e chiusi al divino. Il Cristianesimo incomincia con l’incarnazione di Dio che si fa uomo, e prosegue nella sua opera di conversione e di preparazione allo scopo di introdurre Dio in tutti gli uomini, in tutto l’umano, e di penetrare tutto dello Spirito. Egli vuole insomma preparare una sede allo «Spirito». Se [p. 380 modifica]si pervenne alla fine a poter affermare il concetto dell’Uomo o dell’Umanità, con ciò si «eternizzò» di nuovo l’Idea: «L’uomo non muore!» Si credette cosi dì aver trovato la realtà dell’idea: l’Uomo è l’io della storia; è lui, questo ideale, che si sviluppa, cioè si realizza. Egli è veramente reale e corporeo, perchè la storia è il suo corpo, del quale gli individui non sono che i membri.

Cristo è l’io della storia del mondo, anche di quella che precede la sua apparizione sulla terra. Per la filosofia moderna, questo io è l’Uomo; l’immagine di Cristo è divenuta l’effigie dell’Uomo; e l’Uomo, come tale, l’Uomo» è il «centro» della storia. Con l’Uomo riappare il principio immaginano, perchè l’Uomo è come Cristo, un essere immaginario, L’Uomo, l’io della storia del mondo, chiude il ciclo del pensiero cristiano.

Il cerchio magico del Cristianesimo sarebbe infranto se cessasse il conflitto tra l’esistenza e la vocazione, cioè tra l’Io quale io sono e l’Io quale debbo essere; il Cristianesimo non sussiste che nell’aspirazione dell’idea verso la corporeità, e scomparirà il giorno in cui il conflitto che li separa verrà risolto. Dunque il Cristianesimo sussiste soltanto a condizione che l’idea rimanga idea (e Uomo e Umanità sono appunto delle idee incorporee).

L’idea diventa corporea, lo Spirito incarnato o «perfetto» si agita dinanzi agli occhi del Cristiano e rappresenta nella sua immaginazione l’«ultimo giorno» o la «mèta della storia»; essa non è per lui la realtà del presente.

All’individuo è solo permesso di prender parte alla edificazione del regno di Dio; o, per adoperare lo stile moderno, allo sviluppo della storia dell’umanità, ed è in causa e a seconda della sua partecipazione che gli si riconosce un valore cristiano; o, nel senso moderno, umano; per il resto, egli non è che un mucchio di cenere o un alimento per i vermi.

Ma che l’individuo sia per se stesso una storia del mondo, e che il resto della storia non sia che sua proprietà, tale è un concetto che oltrepassa le vedute del cristiano. Per il cristiano la storia è superiore all’individuo, poiché essa è la storia di Cristo, ossia dell’«Uomo»; per l’egoista, invece, soltanto la propria storia ha un valore, poiché egli non intende svolgere che se stesso e non i progetti di Dio, i disegni della Provvidenza, la Libertà, [p. 381 modifica]ecc. L’egoista non si considera quale uno strumento dell’Idea, o un vaso di Dio; egli non si riconosce alcuna vocazione; egli ritiene di avere un’altra ragione d’essere, invece di contribuire allo sviluppo dell’umanità, e non crede di essere obbligato a portarvi il proprio contributo; egli vive la propria vita, per se stesso, senza curarsi se alla umanità ne deriva una perdita o un utile. Se fossi certo di non essere frainteso, facendo credere che io voglia esaltare lo «stato naturale», mi piacerebbe ora ricordare «I tre zingari» del Lenau. - E che! Sono io forse al mondo per realizzarvi delle idee? per apportare col mio civismo la mia pietra alla realizzazione dell’idea di «Stato», o, col matrimonio, dare esistenza, quale sposo e padre, all’idea di Famiglia? Che m’importa di tale vocazione? Io non vivo secondo una vocazione, così come il fiore non germoglia e non esala il suo profumo per dovere.

L’Ideale «Uomo» sarà realizzato solo quando il concetto cristiano si trasformerà e diventerà: «Iol’Unico ~ io sono l’Uomo». La domanda «Che cos’è l’Uomo?, si muterà allora in questa: «Chi è l’Uomo?». E sarai tu stesso che dovrai rispondere. «Che cosa», significa il concetto da realizzare; cominciando da «Chi è», la domanda non ha più ragione di esistere, perchè la risposta è personalmente presente in chi interroga: la domanda è la sua propria risposta.

Si dice di Dio: «I nomi non ti definiscono». Così è pure di me: nessun concetto può esprimermi; nessuna cosa di ciò che si esibisce quale mia essenza può definirmi, poiché essi non sono che dei nomi. Si dice ancora di Dio che egli è perfetto e che quindi non ha alcuna vocazione d 1 aspirare verso la perfezione. Ebbene, la stessa cosa si deve pur dire di me.

Io sono il proprietario della mia potenza; e tale divento appunto nel momento stesso in cui acquisto la coscienza di sentirmi Unico. Nell’Unico il possessore ritorna nel Nulla creatore dal quale è uscito. Qualunque essere superiore a me, sia esso Dio o Uomo, deve inchinarsi davanti al sentimento della mia unicità, e impallidire al sole di questa mia coscienza. Se io ripongo la mia causa in me stesso, l’Unico, essa riposa sul suo creatore effimero e perituro che da se stesso si consuma; quindi potrò veramente dire: - Io ho riposto la mìa causa nel nulla,

FINE.