L'eroina di Port Arthur/11. Un colloquio terribile

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11. Un colloquio terribile

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10. Fra la ghesha e Shima 12. Sulla lanterna di Port-Arthur

11. UN COLLOQUIO TERRIBILE


Quell'apparizione improvvisa e non certo aspettata, pareva che avesse fulminato il tenente.

Vedendo la fanciulla, che supponeva si trovasse ancora nella patria dei crisantemi, si era appoggiato ad un tavolino, guardandola cogli occhi sbarrati, nei quali si leggeva un profondo terrore.

— Sogno! — aveva esclamato con voce soffocata. — No, non è possibile, io sogno!

Shima, calma, fredda, si era fatti innanzi, guardandolo con profondo disprezzo, colle braccia strettamente incrociate sul petto.

— No, Boris — aveva detto con tono ironico. — Voi non sognate.

— Shima!

— Sì, quella fanciulla che tu certo non ti aspettavi di vedere qui, in Port-Arthur, ed a cui hai infranto per sempre il cuore e causata la morte di suo padre, il più grande daimio dell'Impero del Sol Levante.

Boris, cogli occhi sempre sbarrati, il viso alterato da un terrore inesprimibile, la guardava ancora senza parlare, come se la sua lingua si fosse paralizzata. Certo stentava a credere alla realtà.

Anche Shima, dal canto suo, lo fissava cogli occhi sfolgoranti, come godesse dello spavento e della sorpresa del suo ex-fidanzato.

— Siete stupito di trovarmi qui, nella casa della ghesha. E... — disse con un accento così ironico che sul russo produsse l'effetto di un colpo di scudiscio — che cosa volete? Noi, figlie di un popolo barbaro, come voi le chiamate con supremo disprezzo, non sappiamo dimenticare così presto come le vostre donne e non lasciamo le nostre prede, né perdoniamo, capite Boris, non perdoniamo soprattutto!

Non dava più del tu all'ex-fidanzato; e quel voi era terribile sulle labbra della figlia del gran daimio.

— Shima! — aveva ripetuto il tenente, asciugandosi la fronte che si era imperlata di un freddo sudore.

— Sì, quella Shima a cui voi, russo, avevate giurato un giorno eterno amore; quella Shima che s'era degnata scendere fino a voi dimenticando che la vostra razza vorrebbe veder sterminata la nostra; quella Shima che voi avete trattata come una spregiata musmè ed a cui avete ucciso il padre.

— Io non l'ho ucciso — disse Boris, che a poco a poco riprendeva il suo sangue freddo.

— Si è squarciato il ventre per lavare la macchia gettata sulla nostra casa colla speranza che voi avreste avuto tanto coraggio di imitarlo.

— Sono costumi del vostro paese che non mi riguardano, signora, avanzi di barbarie che non dovrebbero più sussistere.

— Per chi ha paura della morte, è vero, Boris — disse Shima con terribile ironia.

— Sono qui che l'aspetto, signora — rispose il tenente facendo un gesto d'impazienza ed anche di collera, — e non l'avrò che dai vostri compatrioti; così vostro padre sarà vendicato.

— Da Sakya l'avrete! — gridò Shima resa furiosa dal tono freddo, quasi sdegnoso del russo.

— Sì, se uscirà vivo dalla guerra.

— L'avrete prima che finisca e qui in questo Port-Arthur che è la vostra piazzaforte e che quelli che voi chiamate ironicamente i piccoli giapponesi vi strapperanno come l'hanno strappata ai figli del Celeste Impero.

Un sorriso beffardo comparve sulle labbra di Boris.

— Vi stimate molto forti — disse poi con ironia. — Voi non conoscete ancora la potenza immensa dell'Impero russo, e me ne direte qualche cosa quando noi vi avremo spazzati tutti in mare.

— Se sarete allora vivo.

— Vostro fratello non mi ha ancora ucciso.

— Egli non è così lontano come supponete e vi spia dalla sua torpediniera.

Boris aveva guardato Shima con una espressione che tradiva una viva preoccupazione.

— Ah! È qui? — chiese.

— Colla sua Morioka ed è stato lui a torpedinare le vostre due più grosse navi.

— Sì, di sorpresa — disse Boris con collera.

— Tanto peggio per voi se non vegliavate.

Il tenente si era messo a passeggiare per la stanza con viva agitazione, poi, fermandosi bruscamente dinanzi alla fanciulla, le chiese con voce sorda:

— E Naga, dov'è? Come siete entrata qui voi, Shima? Vi siete scordata che voi oggi siete una straniera e che qui i giapponesi che si sorprendono vengono senz'altro tradotti dinanzi al Consiglio di guerra e condannati alla fucilazione come spie?

— Naga ha lasciata questa casa — rispose la fanciulla. — Vedendomi è fuggita credendo ch'io volessi ucciderla.

— E dov'è ora?

— Non lo so e nemmeno me ne occupo di saperlo. Se vi preme, cercatevela.

— Se essa fosse andata a denunciarvi?

— Mi si arresti pure.

— Disgraziata, sarebbe la morte sicura! — esclamò Boris.

— Che mi fucilino — rispose la fanciulla col medesimo tono calmo.

— Io nulla potrei fare per salvarvi.

— Non accetterei la vita da voi.

— Insomma, che cosa volete da me, signora? Che cosa siete venuta a fare qui nella nostra piazzaforte? A sorprendere forse i nostri segreti per comunicarli a vostro fratello od a Togo? In tale caso vi avverto che avete fatto male i vostri calcoli, perché voi non uscirete più da Port-Arthur finché la guerra non sarà finita.

— Come, voi osereste arrestarmi? — gridò Shima furente.

— Ossia, signora, impedisco ai miei compatrioti di scoprirvi e di farvi fucilare. Un altro, al mio posto, vi avrebbe già denunciata per non esporsi al pericolo di passare per vostro complice, ma io questo non lo farò, signora, perché non ho dimenticato che un giorno io vi ho amata.

— Per passatempo, è vero, signor Boris?

— Non giudicatemi male, Shima. Io ho troncato con voi ogni relazione perché la vostra razza era diventata nemica della mia e mi sarei trovato in una condizione estremamente difficile.

— Ciò non vi ha impedito di affezionarvi ad un'altra donna dell'Impero del Sol Levante.

— Quella... non è la figlia di un gran daimio.

— Pure si dice che voi la sposerete.

— Eh! Chissà, dopo la guerra... quando avremo schiacciato completamente il vostro Impero.

— E la vostra flotta sarà spazzata via dalle nostre squadre o affondata — disse la fanciulla.

— L'ultima parola non è stata ancora detta e questa guerra può causare delle brutte sorprese ai vostri compatrioti.

— È ciò che si vedrà, signor Boris.

— Signora — disse il tenente, cambiando bruscamente tono — io non posso lasciarvi più libera, essendovi di mezzo gli interessi della mia patria che io amo con pari affetto con cui voi amate la vostra e vi consiglio di lasciarvi condurre dove io voglio, senza mandare un grido, perché allora non risponderei della vostra vita. Qui vige la legge marziale e vi condannerebbero inesorabilmente come una spia di Togo.

Shima si era fatta pallida; con quell'arresto vedeva la rovina della sua ardita impresa, ossia di portare all'ammiraglio il piano delle mine subacquee. Era bensì vero che Yamaga rimaneva libero, che avrebbe potuto surrogarla, ma ignorava se avrebbe avuto agio di lasciare la fortezza, dove colla sua presenza rendeva alla patria così grandi servizi.

— Ebbene — disse finalmente dopo un silenzio piuttosto lungo, — dov'è che volete tradurmi?

— Nella batteria N. 4; io ho la mia stanza dove nessuno potrà entrare, fuorché il mio domestico. Nulla vi mancherà, signora, e voi dovete impegnarvi di non fare alcun tentativo di fuga perché, ve lo ripeto, se si accorgessero che voi siete una giapponese sbarcata di recente, non vi risparmierebbero.

— E dovrò rimanere colà prigioniera fino alla fine della guerra?

— È necessario.

— O fino al giorno in cui i miei compatrioti daranno l'assalto alla piazza — disse Shima.

— Non speratelo mai, signora.

S'affacciò alla finestra e mandò un fischio.

Poco dopo un marinaio, che era avvolto in un gabbano pesantissimo, che la neve aveva ormai imbiancato, entrò salutando militarmente.

— Conduci questa fanciulla nella mia stanza della batteria N. 4; non parlerai con nessuno, né la farai vedere a nessuno. Hai la chiave della porta di ferro?

— Sì, mio tenente.

— La tua rivoltella?

— Anche.

— Va': io ti seguo a corta distanza.

Shima non aveva pronunciato una sola parola. Si coprì il capo, s'avvolse nel cappotto e seguì silenziosamente il marinaio, lasciando la casa della ghesha.