L'eroina di Port Arthur/7. L'attacco di Port-Arthur

Da Wikisource.
7. L'attacco di Port-Arthur

../6. La squadra del Sol Levante ../8. Il bombardamento IncludiIntestazione 20 dicembre 2016 75% Da definire

6. La squadra del Sol Levante 8. Il bombardamento

7. L'ATTACCO DI PORT-ARTHUR


Allo spuntare dell'alba, l'imponente squadra giapponese, preceduta dalle agili torpediniere, passava al largo dell'isola di Che-fu, avvistando in lontananza le coste coreane ed entrava a tutto vapore nel Mar Giallo, per andare a sorprendere i russi in Port-Arthur.

Il mare era piuttosto mosso, non regnando quasi mai calma completa in quelle regioni che sono poderosamente battute dai gagliardi venti che soffiano dalla Manciuria, nondimeno la squadra filava velocissima, tenendosi il più che era possibile lontana dalle coste coreane e cinesi onde non farsi scorgere dalle navi costiere, fra le quali poteva esservene anche qualcuna russa. Alle sette della sera la squadra rilevava il faro di Wei-hai-wei, che segna l'entrata in quell'importante fortezza inglese, situata quasi all'ingresso del profondo golfo di Liao-tong e che è la rivale di Port-Arthur.

Togo, fatto segnalare alle navi di spingersi al largo e di disporsi su due colonne, colle corazzate in coda, mosse risolutamente verso il settentrione. Nessuno, per un caso fortunatissimo, poteva ancora essersi accorto della presenza in quelle acque delle forze giapponesi. Probabilmente i russi le supponevano ancora a Simonoseki o nei paraggi della Corea, ed erano ben lungi dal sospettare un così grave pericolo.

Alle dieci, mentre apparivano a tribordo le isolette di Mia-Tse, gli equipaggi facevano i preparativi di combattimento, non essendo improbabile che la squadra russa, passato il primo istante di sorpresa, uscisse al largo per impegnare la lotta. A bordo della Morioka tutto ormai era pronto ed i siluri si trovavano già entro i tubi di lancio, dovendo entrare per la prima nell'avamporto onde sbarcare innanzi a tutto Shima.

La fanciulla aveva già compiuta la propria trasformazione, diventando una bella, forse troppo bella pescatrice cinese, costume che doveva metterla al coperto da qualsiasi sospetto, essendovene allora moltissime a Port-Arthur.

— Sono irriconoscibile? — aveva chiesto a Sakya, che aveva raggiunto nella torretta di comando.

— Io credo che Boris stesso, se per caso lo incontrassi a Port-Arthur, non ti riconoscerebbe — aveva risposto il tenente.

— Potessi veramente trovarlo! — aveva subito esclamato la giovane, con accento di odio profondo.

— Se è là che si è rifugiato, Yamaga non lo ignorerà, sii tranquilla, Shima. Quell'uomo conosce tutti i comandanti e gli ufficiali della squadra russa.

— Se Boris si è rifugiato là, me lo dirà subito.

— Che io sappia solo quale nave monta e avventerò la mia Morioka e scaricherò nel ventre del suo vascello tutti i miei siluri.

— Hai qualche speranza che sia stato imbarcato sulla squadra di Port-Arthur piuttosto che su quella di Vladivostok?

— Boris è uomo d'azione ed uno dei più audaci e dei più stimati ufficiali e l'avranno trattenuto a Port-Arthur, affidandogli per lo meno il comando di un incrociatore. A Vladivostok nulla potrebbe fare in questo momento, perché i ghiacci impediranno a quella squadra di uscire da quel porto prima di qualche mese.

— Non lascerò Port-Arthur senza prima aver raccolto notizie certe su Boris — disse la giovane, con suprema energia. — Renderò un gran servizio alla patria, e vendicheremo anche la morte di nostro padre.

— Ah! Shima, guarda dinanzi a noi! — esclamò Sakya prendendola per un braccio.

— Dei punti luminosi.

— I fanali di Port-Arthur.

— Di già?

— Filiamo con una velocità di sedici nodi. Fra mezz'ora noi saremo dinanzi al porto.

— E attaccherete a fondo, è vero, fratello, e farete il maggior male possibile a quella razza maledetta.

— Sì, sorella. May! — chiamò quindi con quanta voce aveva in gola.

Un uomo, che si teneva presso la ruota del timone, accorse.

— È pronta la scialuppa?

— Sì, comandante — rispose il marinaio.

— Quanti uomini?

— Dieci.

— Manovrerai il più presto possibile prima che i russi si possano accorgere della nostra presenza. Tu hai nelle mani la vita di mia sorella.

— Farò il possibile per proteggerla, mio comandante.

— Vieni, Shima — disse Sakya uscendo dalla torretta e conducendola a prora.

— Vedi come i lumi ingrandiscono rapidamente? E nessun fanale elettrico illumina l'avamporto! Noi sorprenderemo i russi.

Si volse e guardò la squadra che procedeva silenziosa, coi fanali spenti. Le corazzate si erano messe in coda, mentre gl'incrociatori, più rapidi e più maneggevoli, formavano la fronte di battaglia per sostenere le torpediniere a cui era stato dato il pericoloso incarico di piombare nel porto e d'impegnare la lotta contro i giganti d'acciaio dei russi.

Su tutte le piccole e velocissime navi che seguivano la Morioka a breve distanza, si udivano i comandanti gridare:

— Tutti al posto di combattimento! I torpedinieri dietro i tubi di lancio!

Port-Arthur non era che ad un paio di miglia, ed essendo la notte dell'8 febbraio fredda sì, ma serena e rischiarata dalla luna, si potevano scorgere abbastanza bene le alte colline circondanti la vasta e profonda insenatura. Sakya, che precedeva tutti, avendo al timone un pilota di Port-Arthur che aveva imbarcato a Simonoseki, non staccava gli sguardi dall'entrata dell'avamporto.

Delle masse enormi, che parevano balene gigantesche, apparivano sullo specchio di acqua illuminato dalla luna. Nessun lume vi brillava sopra, segno evidente che gli equipaggi, ritenendosi perfettamente sicuri, si erano ritirati nelle corsie per riposarvi.

Era il grosso della squadra nemica costituita da sette colossali corazzate che formavano l'orgoglio della marina russa, formidabili mostri d'acciaio, armati di terribili cannoni, e che si ritenevano invincibili. Sul dinanzi, presso il faro, vi era la Petropawlosk, la nave ammiraglia, poi la Pollava, quindi la Sebastopoli, la Peresviet, poi la Czarewitch, la più grossa di tutte, della portata di tredicimila tonnellate, con quattro cannoni da sessanta e dodici da sei, con corazze d'acciaio dello spessore da sette a undici pollici e macchine così colossali da sviluppare sedicimila cavalli di forza e da imprimerle una velocità di diciotto miglia all'ora.

Dietro quelle cinque fortezze galleggianti che si avrebbe creduto dovessero essere invulnerabili, si trovavano altri mostruosi colossi d'acciaio, non meno poderosi e non meno formidabilmente armati: la Rewisan e la Pobieda, cogli incrociatori corazzati Bayan, Diana, Askold e Bogatyr, spalleggiati da dieci torpediniere d'alto mare.

Quantunque i giapponesi non ignorassero di quali forze disponevano i loro avversari e conoscessero la potenza offensiva delle batterie di terra, armate anche d'un gran numero di grosse artiglierie, pure muovevano audacemente all'attacco colle loro piccole torpediniere, semplici gusci d'acciaio in paragone alle corazzate ed agli incrociatori russi.

Si erano tutti votati alla morte, pur di riuscire a dare un colpo mortale alla potenza marinaresca russa e si preparavano a sfidarla freddamente. La fortuna d'altronde era quella sera in loro favore. Mentre si preparavano a distruggere navi ed equipaggi, gli ufficiali della squadra russa, lungi dall'aspettarsi così presto un attacco, quantunque fossero stati informati lo stesso giorno dall'ammiraglio Alexeieff che le relazioni diplomatiche fra i due paesi erano state rotte, erano occupati a festeggiare il genetliaco della moglie dell'ammiraglio Stark. Grave imprudenza che l'indomani dovevano amaramente rimpiangere.

Mancavano pochi minuti alle una, quando la Morioka abilmente guidata, dopo aver rasentato le scogliere esterne del porto, giunse inosservata sotto le rocce della lanterna.

— Presto, Shima — disse Sakya alla sorella. — Le corazzate russe non sono che a cento passi da noi.

Ad un ordine del mastro d'equipaggio una scialuppa, montata da dieci uomini, era stata calata in mare, mentre le altre torpediniere s'accostavano tacitamente per essere pronte a proteggere quella di Sakya.

— Addio, sorella — disse il tenente con voce profondamente commossa.

— Non temere, fratello — rispose la giovane che dimostrava un coraggio straordinario ed un sangue freddo meraviglioso. — Io saprò dove si è rifugiato Boris e vi porterò il piano delle mine sottomarine.

— Che il dio della guerra ti protegga. Domani sera e così tutte le notti aspetterò il segnale.

Si abbracciarono, poi Shima balzò risolutamente nella scialuppa, la quale si allontanò rapida, toccando terra alla base del faro che era formata da scogliere dirupate.

— Tenetevi bene nascosta, signora — disse il pilota della baleniera. — Fra poco il ferro e l'acciaio cadranno dovunque.

Shima risalì prontamente la riva e si nascose in mezzo a due enormi massi da dove poteva assistere all'attacco dei suoi compatrioti senza correre alcun pericolo, avendo alle spalle il massiccio faro che la proteggeva dal fuoco delle batterie di terra e delle corazzate russe.

— All'alba mi mostrerò a Yamaga — mormorò.

Appena la scialuppa fu tornata a bordo e issata, vide la Morioka entrare arditamente nell'avamporto, seguita da tutte le altre torpediniere e muovere risolutamente verso le navi russe, mirando ad accostarsi all'incrociatore Pallade che si trovava all'estremità della seconda linea, un po' dietro alla Czarewitch. Gli incrociatori giapponesi e le grosse corazzate, a loro volta si erano avanzate per proteggere colle loro grosse artiglierie le piccole ed audaci navi. Nessuno fino allora si era accorto di nulla, da parte dei russi. Anzi in lontananza si udiva una fanfara che suonava un allegro valzer. Gli ufficiali probabilmente danzavano nella casa dell'ammiraglio, per festeggiare il genetliaco di sua moglie.

Ad un tratto la Morioka, con una manovra fulminea, accosta la Pallade e le scaglia in piena carena, alla linea di galleggiamento, un siluro di due metri e mezzo di lunghezza, carico di cinquanta chilogrammi di cotone fulminante. Un'esplosione terribile rimbomba nell'aria, rompendo bruscamente il silenzio che regna nell'avamporto, poi una tromba d'acqua si solleva dal fondo del mare e si rovescia impetuosamente, con uno scroscio orrendo, sulla coperta della nave, frangendosi sulle torri e sui mostruosi pezzi d'artiglieria. Un clamore assordante, che irrompe dai cinquecento petti dei marinai che formano l'equipaggio dell'incrociatore, si propaga nelle batterie e nelle corsie, mentre su tutte le navi e sui bastioni le sentinelle urlano a squarciagola:

— All'armi! il nemico!

Dei poderosi fasci di luce elettrica illuminano bruscamente il porto, incrociandosi in tutte le direzioni, mentre la Pallade, che ha gli scompartimenti stagni di babordo squarciati, s'inclina sul suo fianco ferito fra le urla di terrore dei suoi marinari sorpresi nel sonno.

Solo in quel momento i russi s'avvedono della presenza delle torpediniere nemiche che manovrano velocemente per accostare le navi più potenti della squadra ed affondarle.

I fasci di luce elettrica hanno mostrato ai loro sguardi atterriti le bandiere bianche col sole rosso, ondeggianti a poppa delle piccole navi ed ha fatto a loro comprendere il tremendo pericolo che minaccia i loro giganti del mare. Un colpo di cannone rimbomba sulla batteria più vicina, poi un secondo, quindi molti altri.

Dai forti e dalle corazzate si fa un fuoco infernale sull'audace nemico. Tuonano i pezzi mostruosi, i cannoni a tiro rapido ed i cannoni revolvera, coprendo le acque dell'avamporto di obici di ferro e d'acciaio e di granate cariche di melinite, di quell'infernale mistura di acido picrico che non solamente fa saltare in ischeggie le corazze, ma che spande ancora tutto intorno dei fumi che avvelenano l'aria e che fanno cadere gli uomini che lo respirano come le mosche. Le agili torpediniere giapponesi, quantunque ormai si trovino in piena luce e corrano il pericolo di venire interamente distrutte, non lasciano così presto le prede.

La Morioka, che è sempre in testa, ritorna velocemente sui propri passi, scaricando i suoi pezzi a tiro rapido, poi passa veloce come un fulmine dietro la seconda linea degli incrociatori russi e accosta la Czarewitch, che, come abbiamo detto, era la più poderosa e la più temuta delle corazzate russe. Sakya, con un'audacia incredibile ed un sangue freddo meraviglioso, le lancia addosso un siluro alla distanza di trenta metri ed anche quel mostro d'acciaio, dopo essere stato sollevato da una montagna d'acqua che gli strappa le ancore e lo getta verso la costa, s'inchina sul fianco squarciato dal terribile istrumento di distruzione.

Quasi nel medesimo tempo un'altra torpediniera, cacciatasi audacemente fra le due squadre, colpisce sotto la poppa l'incrociatore corazzato Rewisan. Una voce poderosa domina per un istante il rombo assordante delle artiglierie:

— In ritirata!

Era il prode figlio del gran daimio che l'aveva lanciato, onde impedire che le piccole navi terminassero quella vittoria insperata con un disastro a loro danno.

Le piccole navi, uscite quasi miracolosamente da quella grandine di palle, cogli equipaggi ancora quasi al completo, si ripiegano rapidamente e fuggono balzando sulle onde come palle elastiche, mentre dalle tenebre emergono improvvisamente quattro potenti incrociatori, l'avanguardia di Togo, che protegge la loro ritirata.

Con una manovra ammirabile si gettano fra le torpediniere e le navi russe che muovono alla riscossa, per far pagare cara ai figli del Sol Levante la loro temeraria impresa ed impegnano risolutamente la lotta, facendo piovere per venti minuti, sulla città, sui forti e sulle corazzate, una pioggia intensa di obici. Mentre i colpi si succedevano ai colpi, con un rimbombo crescente, la Morioka spintasi al largo abbordava la Idzumo, la potentissima nave ammiraglia che guidava il grosso della squadra.

La scala era stata prontamente abbassata e Sakya l'aveva salita rapidamente. Un uomo di bassa statura, piuttosto tarchiato, cogli occhi piccoli e penetranti come punte di spillo, con una barbetta piuttosto rada, tagliata all'americana, lo aspettava sull'ultimo gradino: era Togo, il vincitore della flotta cinese, distrutta sei anni prima in quello stesso Port-Arthur.

— È fatto, ammiraglio — gli disse Sakya, salutandolo.

— Tu sei degno di tuo padre — gli rispose brevemente Togo. — Sei riuscito a sbarcare tua sorella?

— Sì, ammiraglio.

— È audace quanto bella, Shima. Se potrà portarci il piano delle mine, Port-Arthur ricadrà nelle nostre mani. Sono tutte tornate le torpediniere?

— Tutte e con pochi feriti.

— I nostri dei proteggono il Giappone. Tre navi colpite! Cerchiamo di compiere l'opera di distruzione. Ufficiali di bandiera! Segnalate alla squadra di avanzare sul fronte di combattimento!