L'isola del tesoro/Parte IV/XIX
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Traduzione dall'inglese di Angiolo Silvio Novaro (1932)
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Vedendo la bandiera, Ben Gunn si fermò trattenendomi per un braccio, e sedette.
«Ecco là i tuoi compagni», disse, «non c’è dubbio.»
«È più probabile che siano i rivoltosi», feci io.
«Che? In un sito come questo, dove non approdano se non pirati, Silver spiegherebbe la bandiera nera, stai pur certo. Sono i tuoi compagni, ti dico. C’è stata battaglia, e credo che loro se la siano cavata bene, e ora stanno a terra nel vecchio fortino costruito anni e anni fa da Flint. Ah, ci aveva una testa, quel Flint! Rum a parte, un uomo di quello stampo non fu mai visto Nessuno gli faceva paura — nessuno eccetto Silver — Silver sì, aveva quel privilegio.»
«Bene», dissi io, «può essere così, e così sia: ragione di più, allora, perché io m’affretti a raggiungere i miei compagni.»
«No, camerata», rispose Ben, «niente affatto. Tu sei un buon ragazzo, se non m’inganno, ma non sei che un ragazzo, per dirla in una parola. Ora Ben Gunn sa. Neanche per del rum mi si tirerebbe dove tu vai, neanche per del rum, finché non abbia visto il tuo gentiluomo di nascita e ottenuto la sua parola d’onore. E non dimenticare le mie parole: “Di gran lunga più fiducia” (questo hai da dire) “di gran lunga più fiducia”: e qui tu lo pizzichi.»
E una terza volta, con la stess’aria di uomo che la sa lunga, mi pizzicò.
«E quando ci sia bisogno di Ben Gunn, tu sai dove trovarlo, Jim. Esattamente dove lo trovasti oggi. E chi verrà tenga in mano qualcosa di bianco, e venga solo. Oh! E tu dirai: “Ben Gunn” — dirai — “ha le sue proprie ragioni”.»
«Bene», dissi io. «Credo d’aver capito. Voi avete una proposta da fare, e desiderate vedere il cavaliere o il dottore, e vi si troverà dove io vi ho trovato. È questo tutto?»
«E a quale ora, di’?», aggiunse. «Ebbene, mettiamo da mezzogiorno alle tre, all’incirca.»
«Siamo intesi. E ora posso andare?»
«Non ti dimenticherai mica?», chiese ansiosamente «”Di gran lunga più fiducia” e ”le sue proprie ragioni” — questo è l’essenziale: te lo dico da uomo a uomo. Ebbene, allora», e seguitava a trattenermi, «puoi andare, Jim. E, Jim, se per caso vedessi Silver, non lo tradiresti mica Ben Gunn? Neanche a tirarti con gli argani lo tradiresti. No, non è vero? E se i pirati si accampano a terra, Jim, che dirai tu se l’indomani ci saranno delle vedove?»
A questo punto una forte detonazione lo interruppe, e una palla di cannone arrivò squarciando la macchia e andò ad affondarsi nella sabbia a meno di cinquanta metri dal luogo dove stavamo discorrendo. E noi fuggimmo a gambe levate, ciascuno per la sua strada.
Durante un’ora buona frequenti colpi seguitarono a scuoter l’isola e le palle a sforacchiar con fracasso la boscaglia, mentre io passavo da un nascondiglio all’altro perseguitato sempre, almeno così mi pareva, da quei tremendi proiettili. Ma verso la fine del bombardamento, pur non osando ancora avventurarmi dalla parte del fortino, dove le palle battevano di preferenza, cominciai in certo modo a riprender animo, e dopo un lungo giro verso Est, strisciando fra gli alberi, scesi alla riva.
Il sole era appena tramontato: la brezza marina si levava destando sussurri nella selva e arruffando la superficie opaca della baia; la marea s’era ritirata, scoprendo larghi tratti di sabbia, e l’aria fredda, succeduta alla calura del giorno, mi pungeva attraverso il camiciotto.
L’Hispaniola era sempre ancorata al medesimo posto; ma alla cima dell’albero maestro sventolava il Jolly Roger, il vessillo nero dei pirati. Mentre stavo guardando, un altro lampo rossastro balenò con un tuono che risvegliò il coro degli echi, e un’altra palla tagliò l’aria sibilando. Era la fine del bombardamento.
Rimasi qualche tempo a osservare il trambusto che succedeva all’attacco. Sulla spiaggia vicino alla palizzata alcuni stavano demolendo qualcosa a colpi d’ascia: il nostro piccolo disgraziato canotto, come più tardi scoprii. Più in là, presso l’imboccatura del fiume, un gran fuoco avvampava in mezzo agli alberi, e rischiarava una delle imbarcazioni che faceva la spola tra quel punto e la nave. Gli uomini che già avevo visti così abbattuti, ora vogando schiamazzavano allegri come ragazzi. Ma quelle voci sgangherate tradivano il rum.
Mi parve finalmente di potermi incamminare verso il fortino. Io mi trovavo assai lontano, sulla lingua di terra bassa e sabbiosa che chiude l’ancoraggio a Est e a mezza marea rimane congiunta con l’isolotto dello Scheletro; ed ecco che rizzatomi in piedi vidi un po’ più in là su quella striscia di terra sorgere tra i bassi cespugli, assai alta nel cielo, e d’un candore abbagliante, una rupe isolata: e pensai che fosse la rupe di cui Ben Gunn mi aveva parlato, dicendo che se un giorno o l’altro vi fosse bisogno d’un canotto avrei saputo dove cercarlo.
Camminando rasente la boscaglia raggiunsi la parte posteriore della palizzata, dal lato della riva, e fui subito festosamente accolto dai fedeli camerati.
La mia storia fu presto raccontata, dopo di che cominciai a guardarmi intorno. La casa — cioè tetto, muri, pavimento — era fatta di rozzi tronchi di pino. Il pavimento sovrastava qua e là di un piede, un piede e mezzo, il livello della sabbia. La porta dava in un vestibolo dove la piccola sorgente scaturiva brillando entro una vasca alquanto bizzarra formata nient’altro che d’una caldaia di ferro, da nave, privata del suo fondo e interrata nel suolo.
Poco rimaneva oltre la carcassa della casa; solo in un canto si vedeva una lastra di pietra che serviva da focolare, e un vecchio e rugginoso corbello di ferro destinato a contenere il fuoco.
I pendii del monticello e tutto l’interno della palizzata erano stati liberati dagli alberi per costruire la casa; e i ceppi stessi mostravano quale superbo e splendido bosco fosse stato distrutto. Dopo l’abbattimento degli alberi, quasi tutto il terreno vegetale era stato asportato dalle acque o seppellito sotto la duna; soltanto dove il piccolo rivo, diramandosi dalla caldaia, scorreva, una spessa pelliccia di muschio, alcune felci e certi piccoli serpeggianti cespugli mettevano ancora tra la sabbia una nota verde. Addossato alla palizzata — troppo addossato per la difesa, dicevano essi — il bosco lussureggiava ancora alto e denso, esclusivamente formato di pini dalla parte del monte, e mescolato di querce sempreverdi dalla parte del mare.
La fresca brezza vespertina della quale ho parlato, fischiava attraverso le fessure della rozza costruzione e seminava il pavimento di una incessante pioggia di sabbia fine. Dappertutto era sabbia: sabbia nei nostri occhi, sabbia tra i nostri denti, sabbia nelle nostre minestre, sabbia danzante nella sorgente al fondo della caldaia, simile a una zuppa quando comincia a bollire. Un buco quadrato nel tetto faceva da camino: ma una parte appena del fumo vi trovava sfogo; il resto turbinava per la casa costringendoci a tossire e lacrimare.
Aggiungete che Gray, la nuova recluta, aveva la testa fasciata per una ferita riportata nello strapparsi agli ammutinati, e quel povero vecchio Tom tuttora insepolto giaceva lungo il muro, rigido sotto l’«Union Jack».
Fossimo rimasti oziosi, la malinconia ci sarebbe saltata addosso; ma il capitano Smollett non era uomo da lasciare il tempo per ciò. Chiamatici, ci divise in due squadre; da una parte il dottore, Gray e io; dall’altra il cavaliere, Hunter e Joyce. Malgrado la stanchezza generale, due furono mandati a raccogliere legna nel bosco, altri due messi a scavar la fossa per Redruth; il dottore ebbe il posto di cuoco; io di guardia alla porta, e lo stesso capitano andava dall’uno all’altro incoraggiandoci tutti e dando una mano dove occorreva.
Di tanto in tanto il dottore veniva alla porta a respirare un po’ d’aria e a riposare i suoi occhi irritati dal fuoco; e sempre aveva una parola per me.
«Questo Smollett», mi disse una volta, «vale più di me. E ciò significa qualcosa, Jim.»
Un’altra volta, dopo un silenzio, piegò la testa da un lato e mi fissò chiedendo:
«Questo Ben Gunn che uomo è?»
«Non saprei, signore. Non sono sicuro che sia sano di mente.»
«Se hai qualche dubbio di’ pure che non lo è», riprese il dottore. «Un uomo rimasto tre anni a rosicchiarsi le unghie sopra un’isola deserta non potrà mai apparire sano di mente come uno di noi. Non è conforme a natura. Ma tu mi dicevi che sospirava un pezzo di cacio, no?»
«Sì, signore, cacio.»
«Ebbene, Jim, vedi che a qualcosa giova essere ghiotto. Tu conosci la mia tabacchiera, no? E mai mi vedesti prender tabacco. O sai perché? Perché nella tabacchiera tengo un pezzo di cacio parmigiano: un cacio fatto in Italia, assai nutriente. Ebbene, sarà per Ben Gunn.»
Prima di metterci a tavola seppellimmo il vecchio Tom nella sabbia, e per alcuni momenti restammo raccolti intorno a lui a capo scoperto, nel vento. Un bel mucchio di legna era stato radunato, ma non bastevole a giudizio del capitano, che scosse il capo, e disse che l’indomani mattina bisognava rimettersi al lavoro «con un po’ più di accanimento». Dopo di che, mangiato il nostro lardo, e bevuto ciascuno un buon bicchiere di grog all’acquavite, i tre capi si riunirono in un angolo a esaminare la situazione.
Io credo che non sapessero come uscirne essendo le provvigioni così scarse che la fame ci avrebbe costretti ad arrenderci prima che l’aiuto arrivasse. Il miglior partito — così conclusero — era di far dei vuoti nelle file dei filibustieri fino a deciderli ad abbassare la bandier o a scappare con l’Hispaniola. Da diciannove essi erano già ridotti a quindici; altri due erano feriti, e uno, almeno — il marinaio colpito presso il cannone — in gravi condizioni, se pure non morto. Nessuna buona occasione di far fuoco dovevamo trascurare, e star bene attenti a risparmiarci. A parte ciò, avevamo due potenti alleati: rum e clima.
Quanto al primo, pur attraverso mezzo miglio di distanza, sentivamo quei dannati strepitare e cantare fino a notte alta; e quanto al secondo, il dottore scommetteva la sua parrucca che, accampati com’erano nel pantano e sprovvisti di medicine, non sarebbe passata una settimana che metà di loro sarebbe caduta come mosche.
«Sicché», aggiunse, «se non siamo noi ammazzati prima, non gli parrà vero a loro di svignarsela con l’Hispaniola. È sempre un bastimento, e potranno riprendere il loro mestiere.»
«Sarà il primo bastimento che perdo», proferì il capitano.
Io ero morto di stanchezza come si può immaginare; e quando mi coricai, il che non fu se non dopo un lungo andare e venire, dormii come una marmotta.
Gli altri erano in piedi da un pezzo, e avevano già fatto colazione e accresciuto di un’altra buona metà il mucchio della legna, quando fui svegliato da un trambusto e rumore di voci. «Bandiera bianca!», intesi dire; e subito appresso con un grido di sorpresa:
«Silver in persona!»
Allora saltai giù, e stropicciandomi gli occhi corsi una feritoia.