La Gemma del Fiume Rosso/9. Il rifugio degli isolani

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9. Il rifugio degli isolani

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Il rifugio degli isolani


Sun-Pao e Ong, mentre Sai-Sing si riposava all’ombra d’un fronzuto manghiero, si erano messi alacremente all’opera per preparare un accampamento duraturo, non potendo costruire la scialuppa prima d’una settimana, pur lavorando alacremente.

Loro prima cura era stata quella di rizzare una tettoia per riparare la fanciulla dai brucianti raggi solari e di prepararle un comodo giaciglio con alghe ben secche, muschi e foglie di banano.

Ciò fatto, si erano diretti verso il margine della foresta per scegliere l’albero adatto alla costruzione della piroga ed anche per cercare un pranzo più sostanzioso di quello fornito dai molluschi e dalle ostriche che avevano raccolte sulla spiaggia.

La scelta della pianta non era stata difficile perché la foresta non era formata solamente da calambuchi. Vi erano molti sagù, che avendo l’interno ripieno di farina, che è un commestibile eccellente, potevano prestarsi meglio di qualunque altro vegetale per la costruzione d’una scialuppa e ridurre di molto il lavoro di scavo.

Servendosi delle loro scimitarre, che come abbiamo detto erano pesanti ed avevano la lama molto grossa, non tardarono ad abbatterne uno, facendolo cadere su dei triangoli, onde poterlo far scorrere fino alla spiaggia.

L’albero era appena rovinato al suolo schiantando buona parte dei rami, quando videro balzare un enorme granchio marino, una specie di ragno gigantesco, che doveva essere rimasto fino allora nascosto fra il folto fogliame.

Sun-Pao, che sapeva quanto fossero eccellenti quei crostacei, con un rapido colpo della sua scimitarra gli aveva spaccato la corazza ossea, facendolo cadere morto prima che avesse potuto fuggire verso la spiaggia.

Era un birgos latro, specie di gambero di mare che abbonda sulle rive delle isole tonchinesi ed indiane. Questi animali mostruosi forniscono parecchi chilogrammi di carne bianca e deliziosa e vivono più in terra che in mare.

Essendo ghiotti di frutta, specialmente di noci di cocco, alla sera escono dall’acqua e si arrampicano sugli alberi saccheggiandoli completamente.

Quando sono ben pasciuti si sospendono a qualche ramo, stringendolo colle loro robuste branche, e s’addormentano pacificamente.

Assicuratosi il pranzo, Sun-Pao e Ong si erano messi subito al lavoro, sfrondando la pianta e lisciando parte del tronco che contavano di scavare con tizzoni accesi, eccellente sistema usato da tutti gl’isolani perché risparmia molte fatiche ed è più spiccio.

Alla sera, stanchi, avevano fatto ritorno all’accampamento, portando il mostruoso granchio.

La fanciulla, già avvertita di quella fortunata cattura, aveva improvvisato un fornello e acceso il fuoco servendosi dell’acciarino lasciatole da Ong.

Sai-Sing pareva che si fosse subito adattata a quella vita da Robinson.

Aveva anche abbellito la tettoia che doveva servirle da capanna con delle conchiglie raccolte sulla spiaggia e con enormi mazzi di fiori selvatici trovati sul mare o nel bosco.

Per di più aveva preparato, a breve distanza dal suo rifugio, due giacigli formati di foglie, pei due uomini.

– Grazie, Sai-Sing – disse Sun-Pao che aveva subito notato quei due letti. – Tu sei la più brava fanciulla del Fiume Rosso.

Sai-Sing aveva risposto con un lieve sorriso, senza aggiungere una sillaba.

Gettarono sul fuoco il granchio, lasciandolo cuocere nel suo guscio, e si sedettero intorno in attesa che fosse bene arrostito.

Il sole tramontava rapidamente, tingendo le acque del mare di riflessi di fuoco, ed una fresca brezza, carica dei profumi della vicina foresta, soffiava facendo stormire dolcemente il fogliame delle piante.

Una calma completa ed un silenzio quasi assoluto regnavano sull’isola e sulla immensa distesa d’acqua.

Sai-Sing, seduta in faccia al pirata, colle mani incrociate attorno alle ginocchia, teneva gli occhi fissi sul granchio, senza parlare, come se fosse immersa in profondi pensieri.

Sun-Pao pure taceva, ma guardava attentamente la fanciulla come se avesse voluto leggere i suoi pensieri e di quando in quando faceva un gesto d’impazienza, come se fosse irritato dal mutismo e dalla indifferenza della futura regina delle Bandiere Gialle.

Ong invece pareva non si occupasse che della cottura del granchio, ma, quando non si vedeva osservato, lanciava sul pirata degli sguardi d’odio profondo, mormorando fra sé:

– Mia madre un giorno sarà vendicata.

Le tenebre cominciavano a calare quando il giovane spinse fuor dal fuoco il crostaceo che esalava un profumo appetitoso.

Con un colpo di scimitarra lo spaccò in due, mettendo allo scoperto la polpa bianca e delicatissima che conteneva.

– Gemma del Fiume Rosso – disse con voce dolce. – La cena è pronta.

Avevano cominciato a mangiare, sempre in silenzio, quando verso la foresta udirono dei rami spezzarsi violentemente come se qualcuno s’avanzasse di corsa.

Sun-Pao aveva afferrato prontamente il fucile, mentre Ong impugnava la scimitarra.

Un uomo d’alta statura, quasi interamente nudo, colla pelle giallastra a riflessi un po’ rossastri, armato d’un tubo e d’una faretra piena di frecce, giungeva di corsa.

Scorgendo i due pirati e la fanciulla, s’arrestò d’un tratto, come fosse stato inchiodato al suolo, spalancando fino agli orecchi una bocca immensa irta di denti neri come l’ebano, tinta dovuta certo all’uso del betel.

– Un abitante dell’isola – disse Sun-Pao senza manifestare alcuna apprensione.

– Devo ucciderlo? – chiese Ong che aveva preso l’altro moschetto e che l’aveva già armato.

– Io penso che quest’uomo potrebbe esserci più utile che dannoso – disse Sun-Pao. – Hai paura, Sai-Sing?

– Invitalo a cena – rispose invece la fanciulla.

L’isolano rimaneva sempre immobile, guardando ora i tre naufraghi ed ora l’enorme granchio, che doveva esercitare su di lui un fascino irresistibile.

– Puoi avanzarti – gli disse Sun-Pao in malese, lingua che conosceva benissimo e che sapeva essere parlata dagl’isolani di Pulo Condor.

Il selvaggio mandò un grido gutturale e si avanzò lentamente con gesti da animale pauroso, spinto tuttavia da un’ardente curiosità.

I suoi grandi occhi inquieti, d’una tinta oscura, fissavano sempre or l’uno ed or l’altro dei naufraghi, soffermandosi però più a lungo sul granchio.

– Sbrigati – gli disse Sun-Pao. – Non hai nulla da temere da noi.

– Non sarete cattivi come gli altri? – chiese finalmente l’isolano.

– Quali altri? – domandò Sun-Pao.

– Quelli che sono sbarcati sulla riva settentrionale e che vi rassomigliano. Appena a terra ci hanno scacciato a colpi di fucile e hanno disperso la mia tribù.

– Degli uomini che ci rassomigliano! – esclamò Sun-Pao con visibile ansietà. – Sono molti?

– Molti.

– Con che mezzo sono giunti?

– Con una di quelle grosse barche che portano degli alberi e che qualche volta passano in vista delle nostre spiagge.

– E sono vestiti come noi?

– Sì e hanno anche la pelle gialla come voi – disse l’isolano.

– Quando sono giunti?

– L’altra sera.

Sun-Pao stette alcuni istanti silenzioso. Pareva atterrito.

– Sai-Sing – disse poi, volgendosi verso la fanciulla. – Hai compreso ciò che mi ha narrato quest’uomo?

– No – rispose la Gemma del Fiume Rosso.

– Pare che Kin-Lung, invece di essere annegato, sia giunto anche lui su quest’isola e che, più fortunato di me, non abbia perduto né i suoi uomini, né la sua giunca.

Un lampo di gioia, subito represso, balenò nelle profonde pupille della fanciulla. Se Kin-Lung era veramente approdato, era per lei una vera fortuna, poiché la sua salvezza stava nella rivalità dei due capi.

– Sarà proprio lui od un altro? – chiese.

– Ho i miei motivi per credere che si tratti di Kin-Lung. La sua giunca seguiva la nostra rotta ed il vento la spingeva, al pari della nostra, verso quest’isola.

– Ecco una buona occasione per tornare tutti insieme alle vostre isole – rispose Sai-Sing.

– Io mettermi nelle sue mani! – esclamò vivamente Sun-Pao. – Credi tu che non approfitterebbe della mia inferiorità per strapparti a me e poi fors’anche sopprimermi? Conosco troppo bene l’odio di Kin-Lung verso di me, suo rivale, per fidarmi di lui.

– Che cosa farai dunque?

– Fuggiremo, se si accorgono che anche noi siamo qui. Mi seguirai?

– Sì, purché tu mi conduca alle isole.

– Te lo prometto, Sai-Sing.

– È solo là che si deciderà il mio destino e che gli astri, interrogati dal grande tha-ybu, mi diranno se dovrò diventare la regina delle Bandiere Nere o di quelle Gialle.

– Accetto tutto purché tu non ti lasci prendere da Kin-Lung. Solo il tha-ybu pronuncerà la tua sorte, te lo giuro sullo Spirito Marino.

Mentre si scambiavano le loro idee, l’isolano aveva mandato un lungo fischio e tre altri uomini, armati al pari di lui, erano usciti dalla foresta e si erano avvicinati all’accampamento.

Ong aveva offerto loro una parte dell’enorme granchio, che era stato divorato in pochi minuti.

Anche i nuovi arrivati erano d’alta statura e muscolosi e dalle numerose cicatrici che si vedevano sui loro corpi era facile comprendere che erano valenti guerrieri e non già timidi selvaggi.

Terminata la cena, Sun-Pao, che era diventato molto irrequieto, si spinse assieme al capo di quegli isolani fino a metà del bosco, temendo una sorpresa da parte di Kin-Lung, poiché era ormai convinto, dalla descrizione e dalle spiegazioni avute, che si trattasse veramente del rivale.

Quantunque fosse certo che Kin-Lung ignorasse la sorte toccata alle Bandiere Gialle, pure non era tranquillo. Per istinto sentiva che un pericolo lo minacciava.

Nel ritorno domandò al capo se si trovasse nei dintorni qualche rifugio inaccessibile, promettendogli un fucile se fosse riuscito a sottrarlo alle escursioni degli uomini della giunca.

Quel regalo, assolutamente inestimabile per l’isolano, che non aveva mai posseduto un’arme da fuoco, aveva ottenuto un effetto insperato forse.

– Se tu mi dai un fucile – rispose il capo – io ed i miei uomini ti difenderemo meglio che potremo contro quei cattivi marinai, dei quali abbiamo già avuto a dolerci. Tu mi domandi se conosco un rifugio? So dove si trova ed è a poca distanza da qui.

– Qualche roccia?

– Meglio ancora: un’immensa caverna che s’inoltra entro un colle dominante il mare e che ha due uscite note a me solo.

– Domani ci condurrai colà – disse Sun-Pao. – Per questa notte non avremo nulla da temere, spero.

– I miei uomini guarderanno la foresta – disse il capo – così potrai dormire tranquillo. Noi non abbiamo che delle frecce; sono avvelenate però, e chi ne è colpito muore.

Tornarono al campo. Sai-Sing si era già coricata sotto la tettoia ed anche Ong si era addormentato.

I compagni del capo ne avevano approfittato per far sparire gli ultimi avanzi dell’enorme crostaceo.

Il capo mandò due di loro nella foresta, essendo solo da quella parte che poteva giungere qualche pericolo; poi gli altri si coricarono a loro volta, dopo aver spento il fuoco.

Il loro sonno non fu turbato da alcun allarme e poté essere prolungato fino alle nove del mattino.

Stavano per svegliarsi quando videro giungere correndo i due isolani che avevano vegliato nel bosco.

Entrambi correvano spaventati.

– Capo – disse uno dei due, quando giunse all’accampamento. – Presto, fuggiamo.

– Che ci minaccia? – chiese Sun-Pao, alzandosi precipitosamente.

– Gli uomini della grossa barca si dirigono a questa volta.

Sun-Pao divenne livido e gettò uno sguardo smarrito verso la Gemma del fiume Rosso che stava uscendo allora dalla capannuccia.

– Sono molti? – chiese con voce strozzata.

– Una ventina e forse più – rispose l’isolano.

– Sai-Sing, essi vengono – gridò Sun-Pao.

– Chi? – chiese la fanciulla.

– Kin-Lung ed i suoi uomini.

La Gemma del Fiume Rosso rimase impassibile come se la cosa non la riguardasse.

– Seguimi – disse Sun-Pao. – Ti condurremo in un rifugio sicuro e ti difenderemo.

Abbatterono la tettoia, gettando gli avanzi in mare, ma non ebbero il tempo di far scomparire le altre tracce dell’accampamento.

Uno dei quattro isolani, che era tornato nel bosco per sorvegliare le mosse delle Bandiere Nere, si avanzava correndo come una lepre, facendo cenno di fuggire.

– Andiamo – disse il capo.

Partirono con passo rapido, dirigendosi verso una collina che già avevano notata e che salirono quasi di corsa, fermandosi dinanzi ad un’apertura così stretta che permetteva appena il passaggio di una persona.

Lì presso vi era un profondo scavo che Sun-Pao giudicò subito opportuno per una lunga difesa.

– Cacciatevi lì dentro – disse a Ong ed ai tre isolani i quali avevano già preparato le cerbottane e le frecce avvelenate. – Sarete al riparo dai colpi d’archibugio.

Poi entrò nella caverna, preceduto dal capo e da Sai-Sing.

Dietro la spaccatura si apriva uno stretto corridoio che saliva rapidamente per una ventina di passi.

Attraversatolo, si trovarono in una spaziosa caverna che riceveva un po’ di luce da una strettissima apertura, una fessura apertasi nella vôlta.

– Vi sono altre caverne più innanzi – disse il capo. – E questo masso – proseguì indicando una enorme pietra quasi rotonda che si trovava all’estremità del corridoio – ci servirà per chiudere il passaggio se saremo anche noi forzati a rifugiarci qua dentro.

– Hai paura a rimanere qui sola, Sai-Sing? – chiese Sun-Pao.

– No – rispose la fanciulla.

– Raggiungeremo i compagni – disse il capo delle Bandiere Gialle. – Terremo testa finché avremo una scarica di fucile ed una freccia.

Mentre la Gemma del Fiume Rosso, sempre impassibile e fredda, si sedeva su una roccia, i due capi uscirono dalla caverna e balzarono nel fossato dove si tenevano già nascosti i loro compagni.

La colonna di Kin-Lung in quel momento stava salendo la collinetta, seguendo le tracce lasciate dai fuggiaschi.

Il pirata aveva lasciato indietro la vecchia Man-Sciù, sotto la guardia di uno dei suoi banditi e aveva dato agli altri il comando di avanzarsi.

Sun-Pao, scorgendo il rivale, aveva mandato un urlo di furore.

– Il maledetto ci ha scoperti! – esclamò. – Come ha fatto a trovarci? Ma non tieni ancora in tua mano né la mia vita né la Gemma del Fiume Rosso.

Gl’isolani, ad un ordine del capo, avevano accostato alle labbra i loro tubi, in ognuno dei quali avevano messo una freccia avvelenata, e avevano soffiato vigorosamente, mentre Ong e Sun-Pao scaricavano i loro moschetti. Come abbiamo veduto non tutti i proiettili erano andati perduti.