La Montagna di luce/19. I misteri della pagoda

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19. I misteri della pagoda

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19.

I MISTERI DELLA PAGODA


Quel corridoio che doveva condurre agli appartamenti abitati un tempo dai sacerdoti della pagoda, era di forma semicircolare, colle pareti adorne di sculture e di colonnette di marmo nero.

Visnù, il dio conservatore degl'indiani, a cui era stata dedicata la pagoda, si vedeva dovunque assieme a Bumidevi dea della terra ed a Latscimi dea della bellezza, entrambe sue spose ed a Moyeni, suo figlio, trasformatosi poi in una donna bellissima per sedurre i giganti e togliere l'amurdon, il prezioso liquore che dava l'immortalità.

Un silenzio profondo regnava sotto quelle arcate, appena rotto dal leggero strofinìo prodotto dai piedi di quei cinque individui.

Toby aveva subito fatto alcuni passi velocemente, credendo di trovare l'uomo che aveva aperta la porta, invece non aveva veduto nessuno.

Quel corridoio pareva assolutamente deserto.

– Questo silenzio m'inquieta – disse a Indri, il quale lo aveva raggiunto con Sadras ed i due montanari. – Avrei preferito trovare qualche resistenza.

– Forse non hanno osato affrontarci – rispose l'ex favorito del guicowar. – Nondimeno diffidiamo Toby, chissà quali sorprese ci preparano.

– Dove metterà questo corridoio?

– Mi pare di scorgere una scala all'estremità – disse Thermati, il quale si era avanzato alcuni passi.

– Allora non conduce nei sotterranei della pagoda – osservò Toby. – Dove avranno rinchiuso Bandhara?

– Vediamo se ci sono delle porte – disse Indri.

– Non ne vedo.

– Andiamo innanzi, Toby.

Proseguirono la via, sempre cautamente e colle armi pronte e giunsero dinanzi ad una gradinata in parte diroccata, la quale saliva tortuosamente.

– Cosa facciamo? – chiese Indri.

– Saliamo – rispose Toby. – Vedremo dove finirà.

– Non si vede nemmeno qui alcuna porta.

– No, Indri.

Salirono quaranta gradini e giunsero in una vasta sala di forma quadrata, col soffitto che terminava a cupola e le pareti ricche di sculture e coperte in parte da vecchi arazzi.

In quel luogo regnava un tanfo d'umidità e di muffa, quantunque lungo le pareti non si scorgesse la più piccola goccia d'acqua.

– Ecco una stanza che non deve essere stata abitata da parecchi secoli – disse Toby.

Stava per farne il giro, quando ai suoi orecchi giunse un lontano gemito.

Credendo di essersi ingannato non vi fece caso, ma pochi istanti dopo lo udì nuovamente e meglio distinto. Retrocesse vivamente verso i compagni, in preda ad una viva emozione.

– Avete udito? – chiese.

– Sì – risposero Indri ed i montanari.

– Che quel gemito lo abbia mandato Bandhara? Quel disgraziato soffre la fame da quaranta ore.

– Da qual parte proveniva? – chiese Indri, profondamente commosso.

– Non so: ascoltiamo.

Si dispersero per la sala e tesero gli orecchi.

Il gemito si ripeté distintamente e pareva che provenisse dall'angolo più oscuro.

– Là – disse Toby.

Si diressero tutti da quella parte, tenendo alte le lampade e si trovarono dinanzi ad una statua enorme raffigurante la quarta incarnazione di Visnù, quando dovette tramutarsi sotto la forma di un mezzo uomo e mezzo leone affine di distruggere il gigante Creniano il quale, avendo ottenuto da Brahma il privilegio di non poter venire ucciso né dagli dei, né dagli uomini, né dalle fiere, si era fatto riconoscere per una divinità.

Quella statua, di proporzioni gigantesche, era incrostata nella parete, impedendo così di poter venire girata.

– Che vi sia qualcuno nascosto entro questa statua? – si chiese Toby.

Un altro gemito s'era udito e questa volta dietro la parete che reggeva il dio.

– Chi siete? – chiese Indri. – Dove siete nascosto? Chiunque voi siate, troverete in noi dei protettori.

Questa volta non fu un gemito che rispose, bensì una voce ben nota a Toby, a Indri ed Sadras; quella di Bandhara.

Sahib – aveva detto. – Muoio!

– Bandhara! – esclamarono tutti.

– Sono io... sahib...

– Dove sei? – chiese Indri.

– Rinchiuso in una piccola cella e muoio di sete.

– Noi non ti vediamo.

– Ma io scorgo un filo di luce entrare nella mia prigione.

– Vi è un foro?

– Sì, padrone, largo quanto una rupia.

– Vi è qualche porta segreta qui?

– Spostate la statua, padrone.

– In quale modo? Ci vorrebbero venti uomini a muovere questa massa.

– Ho veduto Barwani toccare una molla.

– Dove si trova? Parla Bandhara.

– Non rammento se abbia toccata la parete o la statua.

– Amici, cerchiamo! – disse Indri. – Bandhara, puoi resistere alcune ore?

– Sì... quantunque mi senta bruciare lo stomaco... Mi hanno dato da bere... non so quale liquido infernale per raddoppiare le mie sofferenze... padrone, salvatemi... ho dei segreti da svelarvi.

– Hai più riveduto il fakiro?

– Più nessuno è entrato in questa orribile cella.

I due montanari, Sadras e Toby intanto cercavano ansiosamente la molla segreta che doveva spostare la divinità.

Dopo d'aver toccato tutte le sporgenze della parete, d'aver esaminato scrupolosamente il gigante, di aver battuto perfino il suolo in tutti i sensi, dovettero confessarsi vinti.

– Nulla, assolutamente nulla! – aveva esclamato Toby, con accento disperato. – O la molla è stata guastata da quei miserabili onde non potesse più agire o si trova in un luogo così celato da non poterla trovare. Non ci rimane che demolire la parete.

– Un'impresa difficile e lunga – disse Indri. – E poi le piccole scuri dei tuoi uomini s'infrangerebbero contro queste pietre. Qui ci vogliono dei picconi.

– Bandhara!

– Padrone.

– Non v'è nessun'altra apertura?

– Non ne conosco altre.

Sahib – disse Sadras. – A due chilometri da qui vi è la miniera e là troveremo picconi in abbondanza.

– E se nel frattempo i giocolieri giungono e ammazzano Bandhara? – disse Toby. – Forse quel Barwani si è già accorto che noi ci troviamo qui.

– Andrò io coi vostri uomini e voi rimarrete qui. Fra un'ora saremo di ritorno.

– Non possiamo fare diversamente, Toby – disse Indri.

– E se nel frattempo tagliano la fune?

– Rimarrà Poona sulla finestra a guardia della corda.

– Sia – disse Toby. – Se non demoliamo la parete, Bandhara non potrà mai uscire. Andate miei bravi e se trovate la via sbarrata da quei banditi, ritornate senza impegnare la lotta.

– Fidatevi di noi, padrone – disse Thermati. – Io e Sadras andremo alla miniera e Poona rimarrà sul cornicione.

Presero una lampada, impugnarono le rivoltelle e sparvero silenziosamente giù dalla gradinata.

Toby e Indri s'erano seduti presso la statua.

– Bandhara? – chiese Indri.

– Padrone... sono sfinito dal sonno e dal digiuno.

– Puoi riposarti finché noi vegliamo. Fra qualche ora, se tutto va bene, tu sarai libero e andremo a scovare quel dannato fakiro. Durante la tua prigionia hai udito nessun rumore qui?

– Nessuno, sahib.

– Allora i banditi hanno abbandonato questa pagoda.

– Lo ignoro.

– Chiudi gli occhi e non preoccuparti di noi. Siamo armati e non abbiamo paura di quei miserabili.

Non udendo giungere alcun rumore dalla parte della pagoda, erano ormai certi che il ragazzo ed i due montanari avessero già rivarcata la finestra senza aver incontrato né Barwani, né i suoi bricconi.

Se vi fosse stato qualche allarme, lo avrebbero udito, col profondo silenzio che regnava in quel luogo.

Nondimeno né Toby, né Indri erano tranquilli; essi ripensavano sempre alla porticina di bronzo che prima aveva resistito ai loro assalti e che poi si era aperta da sé, senza che alcuno di essi avesse potuto trovare la molla segreta.

Toby, sempre più inquieto, dopo dieci minuti d'angosciosa attesa si era alzato.

– Voglio andare ad assicurarmi coi miei occhi se nulla è accaduto ai nostri uomini – disse.

– Vuoi scendere nel tempio? – chiese Indri.

– È impossibile che io possa rimanere qui. Ho dei tristi presentimenti.

– Se i nostri uomini avessero incontrato qualcuno avrebbero fatto fuoco, Toby, e le detonazioni, centuplicate dall'eco, sarebbero giunte fino a noi.

– Tornerò appena mi sono assicurato che Poona si trova sul cornicione. Al di fuori deve brillare ancora la luna e lo vedrò attraverso la finestra.

– Vuoi la lampada?

– È inutile; conosco ormai la via. Tu veglia su Bandhara.

Toby si diresse verso l'estremità della sala e si fermò sul primo gradino, mettendosi in ascolto.

– Nulla – disse. – Speriamo.

Scese la scala tenendosi appoggiato alla parete e s'inoltrò nel corridoio.

Aveva però fatti pochi passi, quando udì dinanzi a sé un leggero strofinìo.

Pareva che qualcuno trascinasse sulle pietre qualche drappo.

– È l'eco dei miei passi o qualcuno mi precede? – si chiese il cacciatore.

Toby non aveva mai conosciuta la paura; tuttavia nel trovarsi solo in quel corridoio, fra quelle fitte tenebre, e nell'udire quel misterioso fruscìo, aveva provato un colpo al cuore.

Alzò la rivoltella per essere più pronto a far fuoco, e dopo una breve esitazione si spinse innanzi, risoluto a chiarire quel mistero.

Il fruscìo continuava dinanzi a lui e si dirigeva verso la pagoda. Toby si provò ad affrettare il passo, ma anche quell'essere misterioso si allontanava con maggior velocità.

Quando giunse nella pagoda, l'oscurità era molto meno fitta di prima. La luna, raggiunta la sua maggior altezza, proiettava dei fasci di luce attraverso alcune aperture della vasta cupola, permettendo di discernere vagamente le statue che si trovavano lungo le pareti.

Toby guardò in tutte le direzioni e non scorse nulla.

– Che i miei orecchi mi abbiano ingannato? – si domandò. – Eppure giurerei il contrario.

Si era fermato presso la porticina di bronzo, non sapendo se andare innanzi o retrocedere.

Ad un tratto si sentì rizzare i capelli e bagnare d'un gelido sudore.

Una delle statue che decoravano le pareti si era staccata e s'avanzava lentamente verso il centro della pagoda.

Era tutta bianca e di dimensioni gigantesche. Pareva che un immenso lenzuolo la coprisse dal capo ai piedi.

– Sogno od i miei occhi vedono male? – si chiese. – È possibile che delle statue si muovano e che possano passeggiare?

Quell'essere bianco, statua o spettro che fosse, s'avanzava sempre, dirigendosi verso la parte opposta del tempio.

Passò in mezzo ad un raggio di luce, mostrandosi tutto intero, poi rientrò nell'oscurità, scivolando lungo la parete.

– Mi si giuoca? – urlò Toby, furioso. – È un uomo che si burla di me!...

Si slanciò innanzi, puntò la rivoltella e fece fuoco.

Alla luce della polvere accesa aveva veduto quel fantasma scomparire fra due teste d'elefante, le quali pareva che si fossero scostate per fargli largo.

La detonazione rimbombò lungamente nella pagoda, destando l'eco, poi si spense verso la galleria, rumoreggiando per qualche istante ancora.

Allo sparo aveva risposto un riso stridulo, beffardo, seguìto da un fischio acuto.

Toby, doppiamente incollerito d'esser stato così corbellato, si era scagliato verso il luogo dove lo spettro era scomparso.

– Vivaddio! – gridò. – Vedremo se oserai burlarti due volte di me!...

Il suo slancio era andato a rompersi contro le due gigantesche teste d'elefante, le quali avevano ripreso il posto primiero.

Guardò fra le proboscidi che s'incrociavano a mezzo metro dal suolo e non vide dietro di esse che un vano chiuso da una lastra di pietra nera.

– Ancora una porta segreta? – gridò. – Finirò per far minare queste vecchie muraglie e farle saltare coi loro misteriosi abitanti!...