La Scimitarra di Budda/38. I malesi

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38. I malesi

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38.

I MALESI


La città di Pegù, capoluogo della provincia di Talong e un tempo capitale dell'impero peguano, è fabbricata sulla riva sinistra del Bagò-Kiup, a sole quindici leghe dalla foce. Nel XV secolo Pegù era stata una grande, una popolosa e splendida città. Aveva palazzi reali grandiosi, monumenti innumerevoli, fortificazioni robustissime, centinaia di templi e ben centocinquantamila anime. Dopo la sua resa, avvenuta nel 1757, era caduta con una rapidità vertiginosa, malgrado gli sforzi tentati dai vincitori per rialzarla. Nel 1858 era, si può dire, una città in rovina. Non contava che sette od ottomila abitanti, pochi palazzi e pochi monumenti in piedi. Appena rizzata la tenda, il Capitano trasse i compagni verso il fiume che in quel momento era percorso da pochissime barche e additò loro un'alta piramide che sorpassava di gran lunga tutti i palazzi e i templi della città.

– È lo Scioè-Madù – diss'egli, dopo aver gettato un rapido sguardo al disegno datogli dal birmano ad Amarapura.

– In venti minuti lo si può raggiungere – disse James, che lo divorava cogli occhi. – Ma, ora che ci penso, non sarà cosa facile scalarla senza attirare l'attenzione dei peguani.

– Aspetteremo una notte oscura e poi seguiremo un certo progetto...

– Buttatelo fuori! – esclamarono gli altri avventurieri.

– Ascoltatemi, amici. Se ben vi ricordate, il birmano ci ha detto che presso la piramide si elevano numerosi monasteri abitati da una legione di sacerdoti. Sarà quindi difficile tenere testa a tutta quella gente, se dovessimo venire scoperti.

– Siamo quattro uomini solidi, Giorgio.

– Lo so, ma quattro uomini, siano pure coraggiosi e ben armati, non ne possono affrontare cinquecento, seicento, forse mille.

– Diavolo! – esclamò James, grattandosi furiosamente la testa. – Ma dove trovare degli uomini che ci aiutino nell'ardua impresa?

– A Rangun, James.

– Ma quella città è abitata dai peguani, Giorgio – disse James.

– È vero, ma ci sono anche dei malesi e voi sapete che questi diavoli d'uomini, marinai oggi e pirati domani, sono sempre pronti a prestare il loro braccio a chi li paga.

– E chi andrà a Rangun a raccogliere quelle brave persone?

– Voi e Min-Sì.

– Vi ringrazio di avermi affidato una missione così importante. Vi condurrò un drappello di persone capaci di tutto, anche di assaltare la città.

– Andiamo a riposarci, ora – disse Giorgio. – Ne abbiamo il diritto.

All'indomani, dopo una notte tranquillissima, James e Min-Sì salivano sui due migliori cavalli, onde recarsi a Rangun.

– Le vostre istruzioni? – chiese lo yankee al Capitano.

– Sono brevi – disse l'interpellato. – Noleggiare una barca, un praho possibilmente, e assoldare una quarantina di malesi di buona e solida tempra.

– Fidatevi di me.

– Andate, adunque e che Dio vi aiuti.

I due cavalieri, stretta la mano ai compagni, si allontanarono di galoppo dirigendosi verso il sud. Correvano tanto, che dieci minuti dopo non erano che due punti neri.

– Riusciremo, Capitano? – chiese il polacco.

– Riusciremo, Casimiro. Fra tre giorni la Scimitarra di Budda sarà in nostra mano.

Il Capitano, vedendo in quel momento una barca attraversare il fiume, chiamò il barcaiolo.

– Che fate? – chiese il polacco sorpreso.

– Mi reco alla città – disse il Capitano. – Sta bene conoscere il terreno prima di operare.

– Ed io?

– Rimarrai a guardia dei cavalli.

Il Capitano si cacciò un paio di pistole nelle saccocce e saltò nella barca, che prese subito il largo.

– Che brav'uomo! – esclamò il marinaio, seguendolo collo sguardo. – Perché la mia patria non ha mille di quegli uomini? Basterebbero per scuotere il duro giogo dei russi.

Il degno marinaio sospirò profondamente e stette alcuni minuti immerso in profondi pensieri. Poi, estratto il bowie-knife, tagliò dei vigorosi rami e costruì una solida capanna, foggiata a cono, capace di riparare comodamente una mezza dozzina di persone.

A mezzodì il Capitano era di ritorno.

– Buone nuove, Capitano? – gli chiese Casimiro.

– Lascia prima che ti ringrazi pel riparo preparatomi. Poi ti dirò che sono contentissimo dell'ispezione.

– Avete visitata la piramide?

– Sì, e l'ho trovata superba.

– Avete guardato attentamente la mezza torre?

– Sì, e ti dirò che quantunque sia molto alta, ho scorto le tracce di una muratura.

– Una parola ancora, Capitano.

– Cento, se vuoi.

Il bravo ragazzo parve imbarazzato. Guardava il Capitano di traverso e si grattava la testa.

– Di', dunque, Casimiro.

– Ma... orsù, ditemi, mio Capitano; è vero che lo Scioè-Madù è dedicato al dio dell'oro?

– Sì, la piramide fu dedicata al dio dell'oro.

– Corpo di una pipa rotta! Allora diventeremo tanto ricchi da comperare tutti i vascelli della Cina.

– E come mai, Casimiro?

– Per Bacco! Sir James mi ha detto che è piena d'oro.

– Mi dispiace dirtelo, ma la piramide è invece piena di pietre e di calce.

Il polacco fece un'orribile smorfia.

– Che colpo! – mormorò. – Ah, questo non me lo aspettava! Non mi consolerò mai più.

Il resto del dì lo passarono cacciando sotto i boschi e così pure passarono la giornata seguente, uccidendo parecchi pavoni e anche un piccolo babirussa, animale che ha del maiale e del cervo.

Il pomeriggio del terzo giorno, mentre sonnecchiavano, furono improvvisamente destati da un colpo di cannone. Entrambi balzarono in piedi guardandosi in viso. Giorgio si spinse sulla riva del fiume e guardò verso il sud. Un grido gli irruppe dalle labbra.

– Guarda, Casimiro! Guarda!

– Una gran barca! – esclamò il polacco.

– Il praho, amico mio, il praho.

– Urrah! Urrah! Urrah!

Una fiamma balenò a prua del legno, seguita da una forte detonazione.

– Urrah per sir James! – urlò il marinaio.

Caricarono in fretta i fucili e li scaricarono. Un uomo apparve sulla prua del legno, agitando la stellata bandiera della gran repubblica americana.

– È James! – gridò il Capitano.

– Viva la Scimitarra! – tuonò l'americano, con quella sua vociaccia che udivasi a mezzo miglio di distanza.

Il praho si avanzava rapidissimo con le sue immense vele spiegate al vento. Era una grande barca malese, solidissima, bassa di scafo, munita di bilanciere e di casotto, una vera barca da corsa, capace di sfidare uno dei più veloci steamer. Sul suo ponte si scorgeva una quarantina di malesi, di colore scuro, piccoli ma tarchiati, armati di fucili, di sciaboloni d'abbordaggio e di kriss, lunghi pugnali di finissimo acciaio, a lama serpeggiante, tinta nell'upas, veleno potentissimo che uccide in brevi istanti anche un pachiderme. Il legno in meno di un quarto d'ora approdò. L'americano e il cinese corsero incontro ai loro compagni e si precipitarono nelle loro braccia.

– La Scimitarra di Budda è nostra! – gridò l'americano.

I malesi sbarcavano per essere passati in rivista. Erano quarantadue, tutti nativi di Perah, un po' marinai e un po' pirati. Alla loro testa stava il capitano, un ometto grosso, vigoroso quanto un toro, di carnagione assai oscura, col naso schiacciato, gli occhi grandi e giallastri, i capelli lunghi, ruvidi, cadenti sulle spalle. Giorgio gli strinse la mano e passò in rivista l'equipaggio.

– Siete contento, Giorgio? – chiese l'americano.

– Contentissimo, James – disse il Capitano. – La Scimitarra di Budda è ormai in nostra mano.

Fece rompere le righe e condusse il capitano malese nella capanna. Si sturarono alcune bottiglie di whisky, che il previdente americano aveva portate con sé, e s'aprì la conversazione.

– Sai perché ti ho fatto assoldare? – chiese Giorgio al malese.

– Per assalire la piramide dello Scioè-Madù, mi fu detto.

– Hai udito parlare della Scimitarra di Budda?

– No, ma, se la volete in vostra mano, vi giuro che l'avrete.

– Che brav'uomo è questo pirata! – esclamò l'americano. – Udite come parla!

Il malese, che parlava perfettamente l'inglese, si mise a ridere mostrando due file di formidabili denti, anneriti dall'uso del betel1.

– Sì, – disse Giorgio – si tratta d'impadronirsi della Scimitarra di Budda. Ed è molto probabile che ci sia bisogno del fucile.

– Del kriss – corresse il malese. – Quella Scimitarra ha un gran valore?

– Nessuno – s'affrettò a dire Giorgio.

– E allora?... Siete buddista?

– No, essa ci occorre per vincere una scommessa.

– Comprendo. Chi vigila sull'arma?

– Dei talapoini e dei raham.

Oracan! Li macelleremo tutti – disse il malese.

– Bravo! – esclamò l'americano entusiasmato.

– È probabile però che accorrano i peguani – disse il Capitano – e tu sai che i peguani hanno fucili e cannoni.

– Peuh! – fe' il malese, alzando le spalle. – Mille peguani non mi fanno paura. Quando daremo l'assalto alla piramide?

– Questa notte, prima del tocco. La procella verrà in nostro aiuto; ecco là delle nere nubi che nulla di buono pronosticano.

– E dato l'assalto?...

– Ci imbarcheremo e tu ci condurrai a Batavia. Ti conviene il prezzo che ti fu offerto?

– Quattrocento sterline sono molte. Oracan! Voi pagate come un rajah.

– Aggiungo altre cento sterline.

Il malese si stropicciò le mani, sorridendo.

– Voi siete generoso e io sarò leale. Quando voi l'ordinerete, i miei uomini si slanceranno contro la piramide e, se non basta, anche contro la città.

– A mezzanotte, dunque. Trentadue uomini ci seguiranno, e gli altri resteranno a guardia del praho. Chissà! Il cannone potrebbe occorrerci.

– A mezzanotte – rispose il malese, allontanandosi.


Note

  1. Specie di noci assai aromatiche, che le popolazioni indo-malesi usano masticare.