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La botte di sidro/Per ingrandirsi

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Octave Mirbeau - La botte di sidro (1919)
Traduzione dal francese di Anonimo (1920)
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Le anime semplici Le bocche inutili


Il signor Giulio Pasquain, antico merciaio, e la signora Sidonia Pasquain, sua sposa, trovandosi troppo ristretti nella loro piccola casa di piazza della Chiesa, comprarono una più vasta proprietà che vagheggiavano da gran tempo. Le due signorine Pasquain, due zitelle allampanate quantunque mature, ne furono incantate. E c’era ben di che ! Pensate. Una cancellata di ferro battuto, dei vecchissimi alberi, un viale di carpini, un frutteto, e, in mezzo a una nicchia di conchiglie rovinata, i resti d’una antica fontana : non era mica una cosa tanto banale e che si vedesse tutti i giorni !

L’abitazione sopratutto era notevole : bianca e bassa con grandi finestre centinate, col suo alto tetto di ardesia, dalla strada offriva agli occhi dei passanti un aspetto comodo, imponente e quasi « signorile », come diceva la signorina Geltrude, la maggiore delle signorine Pasquain, la quale aveva dei gusti « aristocratici » e pativa molto di abitare in una piccola casetita somigliante a tutte le casette del paese.

Infatti, l’acquisto di quello stabile che era appartenuto un tempo all’intendente di una nobile famiglia, nobilitava ed elevava i Pasquain d’un grado al disopra dei minuscoli borghesi non gerarchicizzati. Le signorine Pasquain assunsero subito delle arie più altezzose, delle maniere più complicate e posarono da gran dame, cosa che i vicini giudicarono, del resto, naturale e obbligatoria. Bisognava ben fare onore a una così bella proprietà. Esse speravano così — speranza formalmente condivisa da tutta la famiglia — di scovare, col prestigio di quella specie di castello, un prossimo e conveniente matrimonio.

Ma tutto questo non si era compiuto senza lunghe riflessioni, senza lunghe, commoventi, angoscianti esitazioni. Per mesi e mesi si era pesato su tutte le bilance della saggezza il pro e il contro : erano state sollevate infatti formidabili obiezioni, molti conti arruffati, misurata l’altezza dei soffitti, la larghezza delle finestre, la profondità degli armadi a muro — giacchè di armadi a muro ve ne erano in tutte le stanze, ciò che è molto comodo —, provata la solidità delle muraglie, osservato il tiraggio dei camini.

Cosa curiosa, fu proprio la signora Pasquain a sollecitare le trattative. Per solito essa mancava in ogni cosa di decisione ; non poteva risolversi a prendere un partito, neanche negli atti più consueti della vita domestica ; e per cambiare di posto una tavola, per comperare un abito, un mazzo di navoni, un gomitolo di filo, non perveniva mai a decidersi, se non spinta dall’urgenza. Erano profondi aggrottamenti di ciglia, lunghi sospiri e degli « ah, se io avessi saputo ! » che non finivano mai.

Ma la casa le piaceva. La signora Pasquain aveva ideato come avrebbe potuto meglio distribuirla e voleva prenderne possesso subito.

Concluso l’affare, firmato il contratto di vendita, la signora Pasquain fu come schiacciata dalla sua arditezza. No : non era possibile... Quella risoluzione irreparabile, che tagliava corto alle riflessioni, alle obiezioni, alle esitazioni, ai ma, ai se, ai perchè, le parve una sorpresa violenta, una criminosa effrazione della sua volontà, qualche cosa come una catastrofe terribile, improvvisa, che era impossibile aspettarsi. E gemeva continuamente :

— Una casa così grande !... Forse ci sarà dell’umidità... Le serrature che non vanno !... E tutto quel terreno !... Non me la potrò cavare da me ! Ah ! mio Dio ! che cosa faremo là dentro ?

Il pensiero d’una nuova installazione, tuttavia discussa, prevista nei suoi più meticolosi particolari, l’accasciò come un compito troppo pesante per lei, le ruppe le braccia, le schiacciò il cervello. Essa escogitò dei mezzi bizzarri per rompere il contratto.

— Ma dal momento che è firmato, registrato, pagato... — diceva il signor Pasquain — ... se ormai hai firmato !

— Ho firmato... ho firmato... — badava a ripetere la signora desolata. — ... Ebbene, non è mica una ragione sufficiente ! Posso essermi ingannata... Ci debbono esser bene dei motivi d’annullamento... Prima di tutto io non ho firmato con molto transporto... eppoi, ammetti il caso che domani sfondi il tetto. Giacchè in fondo...

— Ebbene ?

— Ebbene, ti dico che non è giusto... che si sarebbe potuto attendere... e che se tu volessi...

E perchè, impazientito, il signor Pasquain alzava le spalle :

— Oh ! tu, lo so — rimproverò la signora. — tu non hai mai conosciuto che cosa sia danaro...

Ci vollero diverse settimane prima che la signora Pasquain si abituasse a questa schiacciante idea che il contratto è irrevocabile, che non ci si può ritornar sopra, come suo marito pazientemente le spiegava col codice alla mano.

— Il codice, il codice !... — tentava ancora di discutere. — Gli si fa dire tutto quello che si vuole, al codice. Tu stesso sai che lo dici sempre.

Ma la sua resistenza diventava più blanda. Un bel giorno, finì per dichiarare :

— Dopo tutto, siamo stati tanto tempo a disagio e ristretti, che possiamo ben pagarci il piacere di stare un po’ comodi !...

— Ma sì — appoggiò il signor Pasquain — Eccoti finalmente ragionevole !... Dio mio! La vita non è lunga... Un po’ di buon tempo, via... non fa male, quando si può...

— Questo è vero !...

La signora Pasquain si intenerì :

— Dal momento che le ragazze son contente... Che cosa domando io, se non che le nostre figliuole siano felici ?... Tutto il resto è nulla. Confesserai ad ogni modo che siamo stati troppo precipitosi : non è stata una cosa prudente... E poi, in questa casa enorme, non potranno mai bastare i nostri due domestici !...

— Ma sì, ma sì ! interruppe il signor Pasquain. — Tu ti fai di tutto uno spauracchio. Ebbene ! Prenderai una ragazzetta di più, una servetta da dieci lire al mese.

— Mah ! Purchè siamo contenti ! Purchè ci si trovi bene !

Da quel momento la signora Pasquain, seria e attiva, andò tutti i giorni a vagabondare nella casa, soffermandosi davanti a ciascun oggetto, intavolando con ogni cosa degli strani colloquî.

Una mattina, a colazione, ella disse con aria molto seria :

— Bisognerà fare delle grandi economie. Ho riflettuto bene... Così per esempio, il salotto ! Noi non ne abbiamo bisogno, d’un salotto ! Vediamo così poca gente, noi !... Si potrebbero vendere i mobili del salotto.

— Oh, mamma ! — esclamò Geltrude — Ed io che pensavo che lo avremmo accomodato anche meglio !

— Sei tu che paghi ? — le domandò la signora Pasquain con lo sguardo duro e la voce secca — Taci... Così è pure per il pianoforte... non lo sonate mai... A che serve il piano, domando io ! Sì, sì... niente ingombri, niente cianfrusaglie !... Le ho in orrore ! Ho in orrore le cose inutili.

— Ma, mammina — osò rispondere Geitrude, cocciuta — ... il pianoforte, tu l’hai comperato con le nostre piccole economie e con le nostre piccole strenne di capo d’anno. Se non soniamo, è perchè tu non permetti che l’accordatore venga a ripararlo... insomma... è nostro, il piano...

— Niente è vostro, qui, capite ? — rimproverò la signora Pasquain.

E rivolgendosi a suo marito, che non diceva nulla :

— Così, il cavallo e la carrozza... domando un poco, che bisogno abbiamo di tutto ciò... Noi non usciamo quasi mai... Credo che potremmo venderli... questa sì che sarebbe una sonora economia !...

Il signor Pasquain osservò con tono irritato :

— Ma accidenti ! Non ai può pertanto vendere tutto !... Non abbiamo mica comprato questa casa per poi privarci di tutto quanto ci fa comodo !

L’indomani, fu ancor peggio. E quando la signora Pasquain ebbe dichiarato :

— Licenzieremo i domestici... Le ragazze accudiranno alla casa, io alla cucina... Prenderemo un mezzo servizio per le fatiche più grossolane... — tutti sobbalzarono.

Il signor Pasquain intervenne, molto fermo e digntoso :

— Come ! Ma tu stessa dicevi che non avresti potuto badare alla casa con le due sole persone di servizio... Questa è pazzìa !... E il giardino ? Ci pensi tu, al giardino ? Io, lo sai bene, ci tengo molto ai miei legurni, ai miei alberi, ai miei frutti !...

— I tuoi frutti  !... Ah ! Fai proprio bene a parlarne. Abbiamo avuto venti pere quest’anno... Non ho potuto fare neanche un poco di conserva di mele, quest’anno, coi tuoi frutti ! No, no... non più spreconerie, non più superfluità !... Non siamo mica milionari, noialtri... Tu farai col tuo giardino come farò io con la mia casa... prenderai un uomo a giornata, una volta alla settimana.

— Non valeva allora la pena di comprare una casa più grande se tu devi vender tutto, licenziar tutti, privarci di tutto... di tutto !

La signora Pasquain ebbe uno sguardo di trionfo e gridò :

— Ah ! Non te l’avevo detto ? Te lo avevo cantato io che facevi una sciocchezza, una pazzia !

— Ma sei stata tu, che hai avuta l’idea di quella casa ! Questo è il colmo, poi !... Tu, che qui ti sentivi troppo ristretta... Siamo giusti, poi !...

— Bravo ! Ecco che sono io, adesso !... Ah ! senti... son mortificata di dovertelo dire... ma tu menti... e questo non è bello per un uomo della tua età !

Queste scenate si rinnovarono spesso.

Fu deciso che non si sarebbe acceso più il lume, la sera, nel corridoio ; che si sarebbe soppresso un piatto alla cena, e abolito l’abbonamento al giornale di mode ; si sarebbe sostituito al fuoco di legna il fuoco di coke, che insomma niente più si sarebbe conservato di tutto quello che formava il loro piccolo benessere e il loro modesto lusso.

E una mattina, nella grande casa, quasi vuota, essi entrarono silenziosi e malinconici, prima la signora Pasquain, quindi suo marito e poi le due figliole.

Le aste pubbliche avevano sparpagliato ai quattro angoli del paese il loro mobilio, le loro abitudini, le loro piccole comodità quotidiane... Qua e là non restava che qualche cassettone, qualche sedia, una tavola, due letti. Ed era così squallida, quella casa, quegli stanzoni freddi e arcigni, quelle ampie finestre nude, da cui si scorgeva il giardino con le aiuole pelate e i viali in abbandono, ch’essi si misero a piangere, come quattro povere bestie...