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La capanna dello zio Tom/Capo XXXVI

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XXXVI. Emmelina e Cassy

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Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom (1853)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)
XXXVI. Emmelina e Cassy
Capo XXXV Capo XXXVII

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CAPO XXXVI.


Emmelina e Cassy.


Cassy entrò nella camera, e vide che Emmelina, pallida di paura, giaceva accovacciata nell’angolo più remoto. La giovanetta, sentendo entrar qualcuno, trabalzò; ma vedendo chi era, le corse incontro, e, pigliandola per un braccio, le disse:

— «Siete voi, Cassy? Oh son pur lieta di vedervi! Temeva che fosse egli. — Non sentiste il fracasso orribile che stanno facendo, tutta sera, a piè della scala?»

— «Debbo saperlo — rispose Cassy bruscamente. — L’ho sentito più volte!»

— «O Cassy, ditemi se vi è modo di fuggirmene — in mezzo ai paduli, tra li serpenti, ovunque sia! Dovunque sarà meglio di qui!»

— «Non vi è rifugio che nel sepolcro» rispose Cassy.

— «Non avete mai tentata la fuga?»

— «Vidi molti che l’han tentata, e so a che sono riusciti.»

— «Vorrei vivere in mezzo ai pantani e nutrirmi di corteccie di albero. Non ho paura dei serpenti! vorrei averne uno accanto, piuttosto che quell’uomo» disse Emmelina tutta tremante.

— «Vi sono molti che dividono la vostra opinione — disse Cassy. — Ma non potrete rimaner nei paduli — i cani vi daran la caccia, vi ricondurranno qui, e allora... allora....»

— «Allora che potrà farmi?» chiese la giovinetta, fissandola in faccia tutta affannosa.

— «Chiedete piuttosto cosa non potrà fare — disse Cassy. — Egli ha imparato il suo mestiere tra i pirati nelle Indie Occidentali. Non potreste più chiuder occhio se io vi narrassi cose che ho veduto, — cose che egli stesso talvolta, celiando, suol raccontare. Udii strida tali che per settimane e settimane mi rintronarono nelle orecchie. Là basso, nel quartiere, vi è un posto, dove vedrete un tronco d’albero annerito, abbrustolato, e tutta la terra sparsa all’interno di ceneri. Chiedete a qualcuno cosa si è fatto in quel luogo, e vedrete se ha coraggio di rispondervi.»

— «Oh, che volete voi dire?»

[p. 372 modifica]— «Non voglio dir oltre; rifuggo dal pensarlo. Sa Dio solo ciò che vedrete domattina, se quel povero negro continua come ha cominciato.»

— «Che orrore! — esclamò Emmelina, e divenne pallidissima. — O Cassy, ditemi che debbo fare?»

— «Ciò che ho fatto io. È il meglio che si può fare; fate ciò che siete costretta a fare, e consolatevi in odiare, in maledire.»

— «Voleva indurmi a bere di quella sua acquavite che detesto — disse Emmelina — ah, la detesto veramente!»

— «Bevetene per vostro meglio — disse Cassy. — Anch’io la detestava; ed ora non posso viverne senza. Qualche distrazione bisogna averla. Certe cose si spogliano del loro orrore a misura che le praticate.»

— «Mia madre — riprese Emmelina — solea raccomandarmi di non gustar mai cose tali.»

— «Solea raccomandarvelo vostra madre! — disse Cassy, premendo sulla parola madre con enfasi amarissima. — E che giovano le raccomandazioni d’una madre? Siete destinata ad esser venduta, pagata, e l’anima vostra appartiene a chi vi compera. Non vi è modo di uscirne. Bevete acquavite, vi ripeto; bevetene più che potete; vi renderà meno intollerabili certe cose.»

— «Oh, Cassy, abbiate pietà di me!»

— «Pietà di voi? Non la sento io forse? Non ebbi anch’io una figliuola? Dio solo sa dove ella si trova e in mano di chi. Percorre, suppongo, la stessa via di sua madre, i suoi figliuoli seguiran quella di lei! È una maledizione senza termine!»

— «Vorrei non esser nata!» disse Emmelina, stringendo le mani.

— «Ho anch’io da gran tempo lo stesso desiderio — disse Cassy: — e questo desiderio è diventato abitudine. Vorrei morire, se ne avessi il coraggio», riprese ella, guardando fra le tenebre, e con quell’espressione di muta ma profonda disperazione che le si era fatta abituale, quando la sua faccia era tranquilla.

— «Oh sarebbe peccato il suicidio!» disse Emmelina.

— «Non conosco il perchè; non sarebbe peggior cosa di tante altre che facciamo quotidianamente. Ma le suore, quando era in convento, mi disser cose che mi fanno temer la morte. Se questa non fosse che un termine dei nostri dolori, oh allora!...»

Emmelina si volse altrove, e nascose la faccia tra le mani.

Mentre le due donne conversavan tra loro, Legrée, sopraffatto dalla crapola, si era addormentato nella camera disotto. Non era solito ubbriacarsi. La sua tempra, rozza e robusta, potea comportare un continuo eccitamento che avrebbe logorata e sfinita una complessione più debole. Ma la sua profonda oculatezza lo avvertiva a non abbandonarsi che raramente ad un eccesso di bere, per cui avrebbe perduto il dominio di se stesso.

[p. 373 modifica]Tuttavia, questa notte, ne’ suoi sforzi febbrili per cacciar di mente quelle funeste memorie, argomento de’ rimorsi, che nel suo cuore risorgevano, avea trincato più del solito; per modo che, accommiatati i due aguzzini, cadde sopra una seggiola e fu subito profondamente addormentato.

Come mai l’anima del malvagio osa avventurarsi nel mondo fantastico dei sogni? in quella regione i cui limiti indefiniti sono così prossimi alla scena misteriosa di un giudizio finale! Legrée sognava. Nel suo letargo, grave, febbrile, gli sorse accanto una forma velata, e stese una mano fredda, leggera sopra di lui. Gli parve di ravvisarla; e quantunque quella faccia fosse velata, il sangue gli si agghiacciò per l’orrore. Gli parve quindi che quella ciocca di capelli gli si avvolgesse intorno alle dita; che lo stringesse, leggerisima, intorno al collo, sempre più lo stringesse, talchè gli venia meno il respiro; che strane voci gli bisbigliassero all’orecchio — voci che lo faceano rabbrividire. Gli parea quindi si trovasse sull’orlo di un abisso spaventevole, che brancolasse, si dibattesse in una mortale agonia, mentre mani nere sorgeano dal profondo, lo afferravano per trarlo giù; e Cassy, sogghignando, gli venla a tergo e gli dava la spinta. Gli levò quindi dinanzi agli occhi quella solenne figura velata, e si trasse il velo da un lato. Era dessa sua madre; si allontanò da lui, e cadde abbasso, abbasso, giù nel profondo, tra un frastuono confuso di grida, di lamenti, di sgangherate risa infernali — e Legrée si svegliò.

La rosea tinta dell’aurora penetrava tranquillamente nella sua camera. La stella mattinale, adorna del solenne, divino suo raggio, guardava, da un cielo serenissimo, sul figliuolo della colpa. Oh come il sollevarsi del giorno e circondato di maestà e di bellezza; quasi volesse dire all’uomo insensato: «Contempla, tu hai ancora una speranza! soffri per la gloria immortale!» Questa voce si manifesta in tutte le lingue; non vi è che il superbo, il malvagio, che non siano capaci d’intenderla.

Legrée, nello svegliarsi, pronunziò una bestemmia, un giuramento. Che erano mai per esso quell’oro, quella porpora, quel portento luminoso del mattino? Che gli importava di quell’astro, che il figliuolo di Dio ha quasi fatto suo emblema? Simile al bruto, vide, ma non intese; si levò vacillando, si versò un bicchiere di acquavite e ne bevè la metà.

— «Che notte infernale ho passato io!» disse egli a Cassy, che entrava, appunto allora, dall’uscio opposto.

— «Ne avrete a passar molte altre consimili» disse quella ruvidamente.

— «Che intendi dire, pettegola?»

— «Lo saprete uno di questi giorni — rispose Cassy, collo stesso accento di voce. — Per ora, Simone, non avrei che a darvi un consiglio.»

— «Tu sei il demonio!»

[p. 374 modifica]— «Vi consiglierei — ripigliava Cassy, fingendo di acconciar qualche cosa nella camera — che lasciaste in pace Tom.»

— «Che te ne importa?»

— «Che me ne importa? A dir vero, non saprei nemmeno io. Se volete sprecar mille duecento ducati per uno schiavo, e poi lo rendete inabile al lavoro nell’urgenza del ricolto, è affare che non mi riguarda; ho fatto ciò che poteva per lui.»

— «Che hai fatto? che motivo hai tu di immischiartene?»

— «Nessuno, sicuramente.»

— «Che motivo hai tu d’immischiarti ne’ miei affari?»

— «Nessuno, sicuramente. Vi ho messo in serbo alcune migliaia di dollari, a più riprese, col darmi pensiero de’ vostri schiavi; ecco il bel guiderdone che ne ricevo! Se il vostro ricolto sarà sul mercato inferiore a quello degli altri, perderete la scommessa, credo io. Tompkins avrà la palma, e voi sborserete il vostro denaro, come una bella signorina; parmi già vedervi!»

Legrèe, come molti altri piantatori, non aveva che una specie di ambizione — di mostrare il più bel ricolto della stagione; ed avea appunto, a questo riguardo, diverse scommesse nella città vicina. Quindi Cassy, col suo femmineo accorgimento, toccava per tal modo l’unica corda che le avrebbe risposto.

— «Ebbene, lo lascerò in pace — disse Legrée; — ma deve chiedermi scusa, e promettermi che saprà meglio condursi per l’avvenire.»

— «Ed egli nol farà» disse Cassy.

— «Nol farà, eh?»

— «No, nol farà» ripetè Cassy.

— «Son curioso di sapere il perchè, signora mia» disse Legrée coll’accento del più amaro disprezzo.

— «Perchè egli ha agito bene ed il sa, nè vorrebbe mai dire di aver fatto male.»

— «Che importa? e’ dirà quanto io gl’impongo, o....»

— «O voi l’impedirete di lavorare in questi momenti di pressa, e perderete la vostra scommessa sul ricolto del cotone.»

— «Oh! egli cederà. Forse ch’io non so come sono fatti questi negri? In poco d’ora sarà più sommesso d’un cane.»

— «V’ingannate di gran lunga: Tom si farà uccidere, non si ritratterà.»

— «Vedremo. Ov’è egli dunque?»

— «Giù nello stanzone del magazzino.»

Quantunque Legrée mostrasse al di fuori tanta fermezza, il suo animo vacillava; la qual cosa era affatto insolita in lui: ma i sogni dell’ultima notte, e le parole di Cassy, l’avevano scosso assai forte. Deliberò parlare [p. 375 modifica]a Tom senza testimonii; e dove nol potesse recare a’ suoi intendimenti colle minacce, procrastinar la vendetta.

I puri raggi dell’alba, passando dalla piccola finestra della stanza, illuminavano il giaciglio di Tom, che steso sul letto de’ suoi dolori, ripeteva mestamente bensì, ma con divina fiducia: Io sono il rampollo e la progenie di Davide, il lume e la stella del mattino.

Le rampogne di Cassy, lungi di abbattere il coraggio dello schiavo, gli avevano invece aggiunto forza novella. Ignorava se quello era il suo ultimo dì, ma nell’interno del cuore lo bramava: Quanta gioia gli avrebbe recato l’essere ormai assunto alla beatitudine eterna, a quei luoghi di luce che aveva così spesso vagheggiati ne’ suoi sogni; veder le corone e le palme; udir i celesti concenti dell’arpe; trovarsi in mezzo ai cherubini; contemplare il trono di Dio; bearsi nell’iride cara del paradiso! La voce del suo persecutore non gli era più cagione di paura.

— «Ebbene, figliuolo, come va la salute? — disse Legrée dopo averlo brutalmente percosso col piede. — Te lo diceva io che t’avrei insegnato a vivere! questa lezione ti basta? o ti trovi ancora del buon umore di ieri, e sei tuttavia disposto a seguitar le tue prediche?»

Tom non fece motto.

— «Sciagurato! vorrai tu alzarti, o ch’io ti fracasso del tutto, maledetto bestione?» Così dicendo, gli dava un nuovo calcio.

Debole per le percosse ricevute, e sanguinante di piaghe, Tom fece grandi sforzi per rizzarsi sulla persona; e Legrée, ridendo sguaiatamente, soggiunse:

— «Alla fè, mio caro Tom, che stamane non se’ troppo faceto! Scommetto che ieri sera ti se’ pigltata un’infreddatura.»

Tom era finalmente in piedi, e guardava il padrone rispettoso, ma sicuro di sè.

— «Bravo; eccoti ancora alzato! — diceva Legrée, squadrandolo dal capo alle piante; — certamente non avesti tutto il dovuto. Ma pazienza! ti si pagherà l’usura un’altra volta. Intanto in ginocchio, e chiedimi scusa della tua impertinenza.»

Tom stette fermo.

— «In ginocchio!» gridò il padrone, menandogli addosso la frusta.

— «È impossibile — rispose Tom; — feci quello che reputava mio debito, e che rifarei all’occasione: avvenga che può, non sarò, nè vorrò mai essere crudele.»

— «Ah! ah! tu non sai ancora, che ti possa fruttare questa tua ostinazione. Credi passartela sempre con qualche frustata? T’inganni forte, mio bel figliuolo: io ti farò attaccare ad un albero, e vi ti farò arrostire a fuoco lento. Che te ne pare?»

[p. 376 modifica]— «Io conosco assai bene di quanto voi siate capace, padrone — rispose Tom, giungendo le mani; — ma il vostro potere non può recarmi che morte, e a me rimane sempre l’Eternità.»

Questa parola, che facea brillare di speranza il volto del negro, produsse su quello di Legrée l’effetto della morsicatura d’uno scorpione: digrignò i denti, e la rabbia gl’interruppe nella strozza il discorso. Tom seguitò con voce ferma e tranquilla:

— «Padrone Legrée, dacchè voi m’avete acquistato, io sarò per voi un fedele servitore; io vi consacrerò tutto il mio tempo e le mie forze, ma non lascerò mai l’anima mia in balìa d’un uomo: i comandamenti di Dio anzitutto, e sia di me che vuole. La morte non la temo, l’aspetto. Frustatemi, negatemi il cibo, abbruciatemi, tutto questo non servirà ad altro che a farmi andare più presto dove io desidero.»

— «Tu andrai dove vorrai, ma prima ti renderai a’ miei voleri.»

— «Giammai: io sarò soccorso.»

— «E da chi?»

— «Da Dio onnipotente.»

— «Miserabile!» urlò Legree, gettando rovescione il povero Tom.

In questo momento una mano fredda e morbida si posò sulla spalla di Legrée: era quella di Cassy. Quel contatto gli richiamò alla mente i paurosi sogni della notte: nel suo cervello si dipingevano orribili fantasmi, e lo ripigliavano i terrori della sera innanzi.

— «Siete voi pazzo? — disse Cassy in francese; — lasciatelo tranquillo. Prendo sopra di me la sua cura e la sua guarigione, e potrà tornare al lavoro... Non ve ’l diceva ch’ei resisterebbe?»

Si dice che l’alligatore ed il rinoceronte, quantunque forniti da natura di una pelle a prova di palla, abbiano una parte del corpo sommamente sensitiva e vulnerabile; così negli uomini senza legge nè fede, la parte vulnerabile è la superstizione.

Legrée deliberò di temporeggiare.

— «Fatene a vostro senno — diss’egli a Cassy. — E tu, disgraziato, attàccati bene all’orecchio, che se non t’accoppo al presente, è perchè ho bisogno di te in questa pressa di lavoro: ma io non dimentico mai; e fra breve, sta certo, verrà il tuo sabato: questa vecchia pelle di negro farà le spese alla mia collera.»

Così dicendo, uscì dalla stanza.

— «Per te pure verrà il tuo sabato — disse Cassy, seguitandolo dell’occhio; e rivolgendosi a Tom, soggiunse: — Ebbene, mio povero amico, come ti trovi?»

— «Iddio sta volta ha mandato il suo angelo, e ha chiusa la bocca del leone: sia ringraziato!»

[p. 377 modifica]— «Per questa volta sì; ma egli è in collera con voi, nè vi lascierà senza vendetta; vi perseguiterà; vi succhierà il sangue a goccia a goccia. Oh! io so pur troppo di che è capace quest’uomo!»