La capanna dello zio Tom/Capo XXXVIII

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XXXVIII. La vittoria

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Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom (1853)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)
XXXVIII. La vittoria
Capo XXXVII Capo XXXIX
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CAPO XXXVIII.


La vittoria.


Non abbiam provato quasi tutti, come in certi periodi della vita sarebbe più difficile il vivere che il morire?

Quando il martire si fa incontro ad una morte, piena di orrore e di angoscie, trova un sostegno nei dolori stessi della tortura. Prova un fervore, un’esaltazione che lo rinfrancano in mezzo a’ suoi tormenti, ciascun de’ quali sempre più l’avvicina all’ora dell’eterna sua gloria e del riposo.

Ma vivere, consumarsi di giorno in giorno in umiliante e brutale servitù che vi snerva poco a poco e vi toglie perfino la facoltà di sentire, questo lungo, crudele martirio, questo lento, angoscioso vivere che vi uccide, briciolo a briciolo, ora ad ora, questa è la prova più difficile cui possa assoggettarsi creatura umana.

Quando Tom si trovava faccia a faccia col suo carnefice, ne udìa le minaccie e credea giunta la sua ultima ora, il suo animo si invigoriva e la visione del cielo, cui stava già per raggiungere, gli dava forza a sopportare e torture e fuoco e i più orribili maltrattamenti; ma quando il suo persecutore era lontano e venìa meno quella sua momentanea esaltazione di spirito, il povero schiavo sentìa la trafittura delle sue ferite, [p. 383 modifica]l’affievolimento delle sue membra, e comprendeva tutta la miseria della sua condizione senza speranza.

Prima che avesse avuto tempo di guarire dalle sue ferite, Legrée lo mandava a lavorar nei campi, ove egli avea a soffrire continuamente i più duri trattamenti che lo spirito più maligno possa mai concepire. Chiunque si è trovato in circostanze così dolorose, può argomentare quale irritazione se ne generi.

Tom non si facea più meraviglia della costernazione dei suoi compagni, e sentìa quanto fosse difficile sottrarsi all’influenza d’una vita infelicissima. Sperava avrebbe potuto occupare i rimasugli di tempo che avea liberi nel legger la Bibbia, ma anche questo gli fu tolto. Nel più forte del ricolto, Legrée non esitò punto a far lavorare i suoi schiavi nei giorni di domenica, come negli altri giorni della settimana. E perchè no? Si trovava in casa una maggiore quantità di cotone, vincea le scommesse, e se perdea qualche schiavo, morto di fatica, trovava bene con che risarcirsene.

Dapprima, Tom, tornato dalle giornaliere sue fatiche, solea leggere qualche versetto della Bibbia al chiarore del fuoco; ma, dopo le crudeltà patite, si sentiva così rotto in tutta la persona, che nè la testa nè gli occhi potean reggere alla lettura, e prostrato di forze dovea ritirarsi coi suoi compagni.

La fede che sino a quel punto l’avea sostenuto, vacillava sotto la pressione del dubbio, e la mente dell’infelice si perdea tra le tenebre, il più oscuro problema di questa povera vita umana gli stava sempre dinanzi agli occhi e gli affaticava lo spirito: il trionfo del male e il silenzio di Dio.

Corsero parecchie settimane e mesi senza che Tom potesse trovar conforto alla sua tristezza. Pensava alla lettera di miss Ofelia, ai suoi amici del Kentucky, e vivamente pregava Iddio che inviasse alcuno a liberarlo. Stava ogni dì in orecchio, nella vaga speranza di veder comparire alla fin fine il messaggiero incaricato di riscattarlo; ma stanco di aspettar sempre ed invano, fu colpito dall’idea dolorosa che è inutile servir Dio, e che Dio lo aveva dimenticato.

Talvolta vedea Cassy, e spesso, chiamato a casa, avea pur modo di vedere l’infelice Emmelina; ma non potea trattenersi a lungo con esse, come neppure con altre persone.

Una sera, prostrato d’animo e di forze più che mai, sedeva presso alcuni tizzi semispenti, nei quali facea cuocere la sua povera cena. Gettò pochi cespugli sul fuoco per ravvivarne la fiamma, e si trasse di tasca la Bibbia. Avea posto il segno a tutti que’ versetti che avean scossa maggiormente la sua anima — parole di patriarchi, di profeti, di salmisti, di savii, che, da tempi remotissimi, aveano ispirato coraggio all’uomo, voci di que’ mille testimonii che ci rinfrancano alla battaglia di questa [p. 384 modifica]vita. La parola ha perduto forse di sua efficacia, o l’occhio illanguidito, il senso estenuato più non rispondono all’influsso di quella potente ispirazione? Sospirando gravemente, si ripose la Bibbia in tasca. Un feroce scoppio di risa gli suonò a tergo — sollevò gli occhi — e vide faccia a faccia Legrée.

— «Benissimo! vecchio rimbambito — diss’egli — trovi finalmente che la tua religione non funziona più, credo io? sono riuscito a cavartela da quella testaccia lanuta!»

Quel sogghigno crudele fu più amaro del digiuno, del freddo, della nudità. Tom non rispose.

— «Sei un pazzo — riprese Legrée; — perchè io avea buone intenzioni quando ti ho comperato. Potevi essere preferito a Sambo, a Quimbo, darti buon tempo; ed invece di esser battuto ogni due o tre giorni, aggirarti liberamente nei dintorni e flagellar altri negri; e oltre ciò, avresti potuto bere, tratto tratto, un buon punch. Riconsigliati meglio; non vorrai finalmente far senno? Getta sul fuoco quelle vecchie cartaccie, e unisciti alla mia chiesa.»

— «Iddio me ne guardi!» esclamò Tom con fervore.

— «Vedi come Dio viene in tuo aiuto! — disse Legrée, sputandogli addosso e menandogli un calcio. — Ricordati bene che io ti ridurrò a partito; vedrai se ti domerò!» e Legrée volse le spalle.

Quando un peso tremendo ti sta sull’anima e la curva sino a quel punto in cui la pazienza è possibile, v’ha un istante, uno sforzo disperato d’ogni nervo morale e fisico, per rigettarlo da sè; laonde spesso avviene che allo spasimo più crudele succede la reazione della gioia e del coraggio. E questo era il caso di Tom. Le bestemmie empie dello spietato suo padrone depressero la sua anima quanto la si potea deprimere; e quantunque la sua mano stringesse ancora l’eterna roccia della fede, era uno sforzo ultimo e disperato. Tom siedea quasi trasognato presso il fuoco; quando le cose che avea all’intorno dileguarono improvvisamente, e gli sorse innanzi agli occhi la visione di un Uomo, coronato di spine, beffeggiato e sanguinoso. Tom restò compreso di riverenza e di meraviglia alla pazienza maestosa che improntava quel volto; quegli sguardi profondi, affettuosi gli commossero tutte le fibre del cuore; parve che la sua anima si risvegliasse, e le sue ginocchia si piegarono a terra. Quella visione trasfigurò a poco a poco; le spine strazianti si convertirono in raggi di gloria, e circonfuso di una luce ineffabile vedeva quel volto stesso inclinarsi pietosamente verso di lui, e udì una voce — «Chi ha patito mi siederà a fianco sul mio trono, perchè anch’io ho patito ed ora seggo sul trono con mio padre.»

Quanto tempo rimanesse in quello stato, Tom non seppe mai. Quando [p. 385 modifica]riprese i sensi, il fuoco era spento, le sue vestimenta eran cosperse di fredda rugiada; ma la crisi mortale dell’anima era passata, e, nella gioia Che tu sia dannato! esclamò Legrée, e, percuotendo Tom col pugno, lo gittò a terra. Capo XXXVI.


che lo riempieva, non sentìa più la fame, il freddo, l’umiliazione, il degradamento. Col profondo dell’anima rinunziò allora a tutte le speranze più vagheggiate della vita, e offerse un compiuto sacrifizio d’ogni sua [p. 386 modifica]volontà a Colui che è infinito. Tom alzò li occhi verso le stelle del firmamento, stelle eterne, silenziose, imagini delle schiere serafiche che abbassano i loro sguardi sull’uomo; e la solitudine della notte risuonò delle parole d’un inno trionfale, che egli avea cantato in giorni ben più felici, ma non mai con tanta compunzione quanto adesso.

(1) Fia disciolta la terra qual neve,
   Di risplendere il sol cesserà;
   Ma quel Dio che lassù mi riceve,
   Mio tesoro in eterno sarà.
Quando, tronco di vita lo stame.
   Più non battono il polso ed il cor.
   Mi è concessa, oltre il denso velame.
   Una vita di pace e di amor.
Si vedran cento secoli e cento
   Sopra l’alme felici passar,
   E il Dio sommo che tutti ha redento
   Tornerem più festosi a lodar.

Coloro che hanno potuto apprezzare i costumi religiosi dei negri, sanno quanto siano comuni i racconti simili a quello che or ora abbiamo esposto. Noi stessi ne abbiamo intesi dalle stesse loro labbra non pochi commoventissimi. I psicologi ci parlano di uno stato in cui li affetti e le imagini dell’anima diventano così gagliardi, così prepotenti, che giungono a signoreggiare i sensi esterni, e rendon loro quasi palpabili le larve della fantasia. Chi può determinare sino a qual punto lo spirito del Signore degni servirsi delle facoltà umane come mezzi per rivelarsi agli afflitti e rinfrancare il loro coraggio? Se il povero schiavo abbandonato ha per fermo che Gesù Cristo gli è apparso e gli ha parlato, chi vorrà smentirlo? Non ha egli detto che la sua missione sarebbe in ogni tempo di consumare gli afflitti di cuore, di liberare gli oppressi?

Quando i primi albori risvegliarono li schiavi per tornare al lavoro dei campi, uno ve n’era tra quella torma grana, cenciosa, intirizzita, che camminava a viso alzato e sorridente; perchè questi assai più che negli uomini confidava nell’amore dell’Eterno, dell’Onnipotente. Ah Legrèe! fa pure esperimento di tutte le tue forze! L’agonia, i tormenti, l’umiliazione, il bisogno e la perdita di ogni cosa non potranno che accelerare il trionfo di quest’uomo, predestinato ad una corona immortale.

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Da quel punto un’inviolabile atmosfera di pace circondò l’anima del povero oppresso; la presenza continua del Salvatore lo avea santificato come un tempio. Non più li irrequieti desiderii della terra; non più l’alternarsi della speranza col timore — l’umana volontà, già affralita da sì lunghi combattimenti, si era omai unificata affatto in quella di Dio. Gli parea sì breve il pellegrinaggio di questa vita che ancor gli restava — così prossima, così rifulgente la beatitudine eterna — che le peripezie della vita caddero disarmate innanzi a lui.

Tutti si accorsero del cambiamento avvenuto in lui. Avea ripreso quel suo fare allegro, la sua operosità; nè vi era insulto o minaccia che potessero conturbar la sua pace.

— «Che diavolo è capitato a Tom? — chiese Legrée a Sambo. — Or fa qualche giorno era mogio, taciturno, ed ora e vispo come un grillo.»

— «Nol so, padrone; ma forse medita di svignarsela.»

— «Vorrei pure che il tentasse! — disse Legrée con feroce sorriso. — Oh che festa, non è vero, Sambo!»

— «Oh sicuramente! — rispose con aria ossequiosa l’orribile gnomo — sarebbe pur bello vederlo, tra il pantano, aggrapparsi ai virgulti, coi mastini alle calcagna! Oh signore! io mi sbelicai dalle risa quando abbiamo agguantata Molhy. Credea che i cani l’avrebber straziata tutta, prima che si avesse tempo di liberarnela; che porta ancora i segni.»

— «E credo che li porterà alla tomba — disse Legrée. — Ma ora, Sambo, sta ben attento; se quel negro avesse voglia di tentar qualche cosa di simile, dagli subito uno sgambetto.»

— «Ci penserò io, padrone — disse Sambo; — saprò metter la mano sopra il leprotto!»

Questo colloquio ebbe luogo mentre Legrée montava in sella per avviarsi alla città vicina. Quella sera, tornando a casa, credette deviare dal consueto cammino per accertarsi se intorno al quartiere tutte le cose erano in punto.

Facea un magnifico lume di luna, e le ombre dei graziosi alberi della Cina designavansi minutamente sopra l’erba; vi era nell’aria quella serenità trasparente che pare quasi un sacrilegio il conturbare. Legrée trovavasi a poca distanza dai quartieri, quando gli giunse all’orecchio una voce che cantava. Non era solito a udir romori in quel luogo, quindi soffermossi alquanto. Una voce armoniosa da tenore cantava:

Quando io leggo la mia ricompensa
   Scritta a note di fiamma lassù,
   Quella tema, che in cor mi si addensa,
   Caccio, e l’occhio non lacrima più.

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Si scateni il furore del mondo,
   E l’inferno mi vibri il suo stral;
   Non di Satana all’ire mi ascondo,
   E derido ogni rabbia mortal.
Sovra me, qual tempesta infinita,
   Piova orrenda tristezza e dolor;
   Pur che io trovi il conforto e la vita
   Nel mio Dio, nel mio cielo d’amor!

— «Oh! Oh! — disse Legrée tra se stesso; — ecco a che egli pensa! Quanto detesto que’ maledetti inni metodisti! Vieni qua, negro! — proruppe egli, piombando improvvisamente sopra Tom, e levando in aria il frustino — come ardisci schiamazzar tanto, mentre dovresti essere a dormire? chiudi la tua vecchia mascella e ritirati nel tuo giaciglio.»

— «Sì, padrone» disse Tom con ciera allegra, e sorse in piedi per andar via.

Legrée si sentì provocato oltre, ogni credere dall’evidente felicità di Tom; gli corse addosso, e prese a tempestargli di colpi la testa e le spalle.

— «Cane maledetto! — diss’egli; — vedremo, se avrai ancora il tuo buon umore!»

Ma i colpi caddero sull’uomo esterno, e non più, come prima, sul cuore. Tom si sottomise perfettamente; eppure Legrée non potea celare a se stesso che il suo dominio su quello schiavo era svanito. Mentre Tom scompariva nella sua capanna, il padrone voltò altrove il cavallo; ma gli balenò alla mente uno di que’ lampi repentini, di cui spesso è attraversata anche la coscienza più malvagia e più buia. Comprese perfettamente che tra lui e la sua vittima stava Dio, e lo bestemmiò. Quel povero negro, sottomesso, paziente, che nè scherni, nè minaccie, nè crudeltà potean conturbare, suscitò una voce nel cuore di lui, che diceva come quelle del demonio scongiurato dal suo divino Maestro: «Che abbiamo a far con te, Gesù di Nazaret? Sei venuto a tormentarci prima del tempo?»

L’anima di Tom era piena di amore, di compassione verso le infelici creature che lo circondavano. Avresti detto che ei più non sentiva i travagli della vita; bramava compartir loro, per sollevarne i mali, quel tesoro di pace e d’allegria che gli veniva dal cielo. A dir vero, le occasioni eran rade; ma nell’andare al campo, o nel ritornarne, durante le lunghe ore del lavoro, gli accadea spesso di poter stendere una mano soccorrevole al debole, all’afflitto, allo scoraggiato. Quelle povere creature, seminude, affralite, rese quasi bruti, stentarono sulle prime ad intenderlo; ma quando egli proseguì l’opera sua per settimane, per mesi, cominciò a risvegliare nei loro cuori agghiacciati corde da lungo tempo silenziose. Poco [p. 389 modifica]a poco, e quasi impercettibilmente, quest’uomo strano, taciturno, paziente, che era sempre pronto a caricarsi del peso altrui, e non chiedea aiuto da alcuno — che si tenea in disparte, mentre si dispensavano i viveri; non compariva che ultimo a prendere la parte più scarsa, ed era sempre pronto a dividerla con chi avea fame — quest’uomo che, nelle fredde notti, si privava della logora sua coperta, per cederla ad una povera donna tremante dalla febbre; che riempieva, nel campo, il canestro del debole, al tremendo rischio di fallire egli stesso alla misura prescritta — e che, quantunque perseguitato con crudeltà incessante dal comune loro tiranno, non aprìa bocca per lagnarsi, per maledirlo, come facean li altri — quest’uomo cominciò, alla fin fine, ad acquistare una potenza straordinaria sovra essi; e quando la stagione del maggior lavoro era passata, e poteano impiegare come piacea loro il giorno di domenica, molti solean radunarsi intorno a lui per sentirlo a parlar di Gesù. Si sarebbero radunati in qualche luogo per pregare e cantare insieme; ma Legrée nol permise; chè anzi ruppe più che mai in bestemmie, in brutali imprecazioni, quando comunicavansi sommessamente le parole della buona novella. Chi potrebbe esprimere l’innocente allegrezza di questi poveri derelitti, la cui vita era un viaggio sconsolato verso un avvenire sconosciuto, quando intesero a parlare d’un pietoso Redentore e di una casa celeste? I missionari raccontano non esservi razza di uomini che abbia raccolto il Vangelo con tanta docilità quanto l’africana. Il principio della sommessione e di una cieca fede, che ne sono il fondamento, è naturale a questa razza più che ad altra qualsiasi; e spesso avvenne che un germe di verità nato, o gittato, diremo quasi per uno scherzo di vento, nel cuore del più ignorante, ha prodotto frutti, la cui abbondanza costrinse i più alti e colti intelletti ad arrossir di se stessi.

La povera meticcia, che sotto l’enorme peso della crudeltà, delle ingiurie patite, avea sentito venir meno la sua semplice fede, si riebbe in udir li inni e i versetti della sacra Scrittura, che l’umile missionario le andava susurrando all’orecchio, mentre andavano al campo o ne ritornavano; e l’anima stessa di Cassy, sconvolta e traviata, si addolciva, si acquetava alla mite influenza di Tom.

Ondeggiante tra la pazzia e la disperazione generata dalle più opprimenti agonie del suo vivere, Cassy avea spesso meditato un’ora di vendetta, un’ora in cui la sua mano farebbe pagare all’oppressore il fio di quante ingiustizie e crudeltà avea patito o vedute.

Una notte, mentre li altri schiavi eran già tutti addormentati nella capanna di Tom, questo fu scosso improvvisamente da Cassy che si affacciava al pertugio praticato nella parete in forma di finestra. La donna gli accennò tacitamente di uscir fuori.

[p. 390 modifica]Tom venne alla porta: era tra l’una e le due dopo mezzanotte — al freddo, tranquillo lume della luna, che cadeva sui grandi occhi neri di Cassy, Tom vi scoperse un non so che di sinistro, di strano, che rivelava una profonda disperazione.

— «Venite qua, zio Tom» diss’ella, ponendogli sul braccio la sua piccola mano e traendolo con una forza che non avrebbe potuto esser maggiore se quella piccola mano fosse stata d’acciaio.

— «Venite; debbo dirvi qualche cosa.»

— «Che ci è, miss Cassy?» chiese Tom ansiosamente.

— «Tom, volete riacquistare la vostra libertà?»

— «La riacquisterò, quando piacerà a Dio!» rispose Tom.

— «Sì, ma potreste averla di questa notte — soggiunse Cassy, con un movimento repentino di energia; — venite.»

Tom esitava.

— «Venite. — gli mormorò all’orecchio, e fissando i suoi negri occhi su lui. — Venite, è addormentato profondamente. Ho mescolato nella sua acquavite alcun che, che il farà dormire a lungo; se ne avessi avuta maggior dose, non avrei bisogno di voi. Ma venite; la porta di dietro non è chiusa a chiave; vi è un’ascia in pronto; ve l’ho posta io stessa.... la porta della camera è aperta; v’insegnerò la strada. Avrei io stessa tentato il colpo, se il mio braccio non fosse troppo debole. Andiamo!»

— «No, per dieci mila mondi, signora!» disse Tom risoluto e ritraendosi addietro, mentre ella instava perchè la seguisse.

— «Ma pensate a queste povere creature — disse Cassy. — Noi potremmo liberarli tutti, rifugiarci nei paduli, trovar qualche isola, vivervi independenti; intesi d’altri che il fecero; qualunque siasi il modo di vivere, è preferibile a questo.»

— «No! — disse Tom risoluto più che mai. — No! il bene non può mai derivare dal male. Piuttosto mi troncherei la man destra!»

— «Ebbene, farò io» disse Cassy, volgendogli le spalle.

— «Oh, miss Cassy — esclamò Tom, attraversandole il cammino — per amor di quel Cristo che è morto per noi, non condannate per tal modo all’inferno la vostra preziosa anima! Non ne può nascer che male; il Signore non ci chiamò alla vendetta. Soffriamo, aspettiamo che venga la sua ora.»

— «Aspettare! — disse Cassy. — Non ho io forse aspettato? Il mio cervello si è quasi travolto, il mio cuore è ammalato, a forza di aspettare. Che non mi ha fatto soffrire? Quante centinaia di creature infelici non ha egli tormentato! Non siete voi stesso tutto pesto e sanguinolento dalle percosse? Ah, io son eletta a vendicar voi, a vendicar tutti. La sua ora è venuta; avrò il sangue del suo cuore!»

[p. 391 modifica]— «No, no! — disse Tom, stringendo quelle piccole mani che tremavano per violenza spasmodica. — No, povera anima traviata, non dobbiamo vendicarci! L’amato Gesù benedetto non versò mai altro sangue che il proprio, e il versò per noi che eravamo suoi nemici. Egli ci dia forza di imitare il suo esempio, di amare i nostri nemici!»

— «Amare! — disse Cassy con uno sguardo feroce — amare nemici tali! La carne, il sangue vi ripugnano.»

— «No, signora — riprese Tom, levando li occhi al cielo; — Dio ci darà la forza e poi la vittoria. Quando potremo amar tutti, pregar per tutti, allora la battaglia sarà finita, la vittoria sarà nostra — gloria a Dio!» La sua voce era commossa, i suoi occhi, pieni di lacrime, guardavano il cielo.

E questa, o Africa! — ultima chiamata tra le nazioni, chiamata alla corona di spine, a flagello sanguinoso, alle agonie di croce — questa deve essere la tua vittoria; per questa regnerai con Cristo, quando il regno di Cristo verrà sulla terra.

I sentimenti profondamente religiosi di Tom, la debolezza della sua voce, le sue lacrime, caddero, quasi rugiada consolatrice, sullo spirito agitato, incomposto della povera donna. Un lume soave temperò il feroce lampo delle sue pupille; Cassy abbassò gli occhi, e Tom potè sentire che i muscoli contratti delle mani di lei si rallentavano, mentre ella diceva:

— «Non v’ho detto che spiriti maligni mi perseguitano? O zio Tom, io non posso pregare. Non ho mai più pregato da che i miei figli vennero venduti! Ciò che dite è vero; anch’io lo comprendo; ma quando mi sforzo di pregare, non posso che odiare e maledire. Ah! io non posso pregare!»

— «Povera anima! — esclamò Tom con voce compassionevole. — Satana brama possedervi, vagliarvi come frumento. Io prego per voi. O miss Cassy, invocate il nostro caro Gesù. Egli consola i cuori afflitti, solleva coloro che piangono.»

Cassy taceva, mentre grosse lacrime le cadeano dagli occhi abbassati.

— «Miss Cassy — riprese Tom, titubando, e dopo averla considerata alquanto in silenzio — se voi poteste solamente uscir di qua — se la cosa fosse possibile — aiuterei voi ed Emmelina a fuggire — se ciò potesse riuscire senza sparger sangue — non altrimenti.»

— «Verreste con noi, zio Tom!»

— «No! — rispose il negro; — altra volta avrei acconsentito: ma il Signore mi ha dato una missione tra queste povere creature; rimarrò con esse, e porterò con esse la mia croce sino al fine. Ben altro è il vostro caso; voi siete preda d’orribili tentazioni; non potete più lungamente resistere — è meglio fuggire, se potete.»

[p. 392 modifica]— «Non conosco altro scampo che la tomba — disse Cassy. — Non vi è quadrupede, non vi è uccello, che non trovi qualche ricovero: perfino le vipere, li alligatori hanno un covo dove riposarsi; ma per noi non vi è asilo. Anche tra i virgulti di que’ paduli i loro cani ci inseguiranno, ci scopriranno. Uomini, cose, tutto è congiurato a danni nostri, perfino le bestie; dove possiam fuggire?»

Tom stette alquanto pensieroso, e poi riprese:

— «Quegli che ha salvato Daniele dalla fossa dei leoni; che ha salvato i fanciulli dalla fornace ardente — che passeggiava sull’acqua, calmava i venti — è ancor vivo; ed io spero che vorrà liberarvi. Tentate; io pregherò per voi con tutta la mia forza.»

Per qual legge bizzarra dello spirito avvien mai che un’idea lungamente disprezzata, reietta come cosa di nessun valore, ricompare sotto altra forma, e troviamo che la pietra calpestata era un diamante?

Cassy avea ruminato, seco stessa, per ore ed ore, mille disegni di fuga e li avea sempre rigettati, come impossibili ad eseguirsi; ma in quel momento gli brillò alla mente una idea, così semplice, così distinta in tutti i suoi particolari, che si tenne a sicura certezza di buon successo.

— «Zio Tom, farò la prova!» diss’ella improvvisamente.

— «Amen — disse Tom, — Dio vi aiuti?»



Note

  1. La traduzione di questi versi la debbo ad un amico. Il Traduttore.