La fabbrica/XI

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XI. Forza d'amore

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X XII


Appena smesso il lavoro, Bitossi si era avviato verso casa e giungeva poco dopo in via San Pietro in Gessate, insieme a Martinelli. Essi trovarono sull’uscio lo stormo dei monelli irritati contro quel birbante di Carlino che li aveva traditi e minchionati in quel modo.

Ma né Diego, né Francesco non si sentivano di ascoltare le comiche invettive dei birichini; avevano altro da fare. Si separarono subito con un cordiale saluto; e lo scultore corse verso la sua Sofia, che l’aspettava sull’uscio dello studio. Bitossi salì le scale di corsa. Luisina non era più sulla ringhiera; ma Bitossi vide con gioia l’uscio della camera aperta e vuota la seggiola bassa sulla quale sedeva di solito la vedova Terragni. Egli si ricordò subito del mezzo servizio che teneva la Virginia fuori di casa in quelle ore, e poichè desiderava vivamente di parlare con Luisa da solo a sola, pensò di cogliere l’occasione.

La Virginia vedeva sempre di mal occhio quel nuovo aspirante all’amore di sua figlia; e nulla valeva a vincere quella paurosa antipatia.

- Lo so che non è cattivo - diceva essa a Luisina - lo so che ti vuol bene sul serio; ma è stato in prigione, e vi ritornerà, perchè ha certe idee e un brutto temperamento; e poi è un disfortunato; ti porterebbe sfortuna, tanto più che tu gli somigli... Non ti devi mettere con lui: non voglio... non devi... ti prego, Luisina mia!

E il comando, divenuto preghiera, moriva in un lamentoso sospiro.

Luisa voleva obbedire, perchè la sua mamma aveva un grande potere sopra di lei, ed anche perchè avendo molto sofferto le mancava l’energia necessaria ad affrontare nuovi turbamenti. Voleva obbedire e in parte obbediva: vale a dire che sfuggiva le occasioni di trovarsi sola con Francesco; ma non riusciva a custodire il proprio cuore, né a combattere il sentimento delicato che tutta di sè la riempiva. Forse non vi pensava neppure. Le pareva di essere abbastanza obbediente dacchè non s’impegnava col muratore: la mamma non poteva chiederle altro. E tra sè pensava:

- Finchè gli voglio bene in segreto, povero giovine, non rischio nulla e non faccio nulla di male!

Buona e ardente, capace di ogni sacrificio e dotata di una intelligenza assai viva, disgraziatamente punto coltivata, Luisina intuiva vagamente ciò che le era mancato, e aveva aspirazioni superiori, bisogni occulti di poesia, di elevatezza. Tutto ciò forse non serviva che a renderla più debole. Dacchè il bambino era morto a Santa Caterina, e dacchè lei amava Francesco, non le restava più neppure quella baldanza apparente, quella facilità di ridere e di stordirsi che, male o bene, l’aveva sostenuta traverso tante miserie. Sentiva di più la propria inattitudine a combattere nella lotta per la vita - inattitudine che lei chiamava disfortuna - e i terrori della madre s’insinuavano nella sua coscienza. Da tale disposizione sconfortata veniva poi quella rassegnazione apatica, quel nuovo bisogno di solitudine e la cura che metteva nel sottrarsi alle amorose sollecitudini del suo vicino. Ella si diceva:

- Un giorno o l’altro Bitossi perderà la pazienza, mi metterà al muro e io dovrò prendere una risoluzione che mi farà disperare... poichè dovrò respingerlo!...

Ella credeva veramente che l’avrebbe respinto, povera Luisina! Epperò ella taceva ogni sforzo per non arrivare a quella estremità, e cercava di mantenere la sua relazione col giovine nei limiti di una fraterna amicizia.

Così, lei, che era tutta naturalezza e spontaneità, metteva ogni studio nell’infingersi, forzando il suo pensiero semplice a dei movimenti tortuosi che la faticavano.

Talvolta però il suo naturale vinceva, e lei si augurava che Francesco perdesse davvero la pazienza e la passione scoppiasse in tutto il suo ardore; sì che lei fosse costretta a difendersi con i pugni e le unghie... o cadesse anelante sotto l’urto poderoso del vincitore.

Quando Bitossi si presentò sulla soglia domandando il permesso di entrare, la giovine impallidì e tremò tutta. Avrebbe voluto negarglielo quel permesso, ma non trovò così subito parole adatte. Prima che ella avesse aperto bocca, il muratore era entrato e aveva richiuso l’uscio.

- No, Luisina, non vada in collera! Ho tante cose da dirle...

- E sì che ci vediamo tutti i giorni! - esclamò lei, riavuta, cercando di buttare la cosa in ridere.

- È vero, ma sempre davanti alla gente o alla sua mamma, che, per dire la verità, mi ha caro come il fumo negli occhi.

- Povera mamma!... Bisogna compatirla. Sta sempre poco bene; ha avuto troppi dispiaceri.

- Lo so; e teme che io gliene procuri degli altri: capisco. È stata ingannata una volta...

Luisina sospiro e impallidì.

- L’ho offesa, Luisina?!... Mi perdoni... mi perdoni!... Se sapesse quanto ho sofferto oggi...

- Essa lo guardò interrogandolo.

Quell’uomo è stato alla fabbrica...

- Il vinaio?

- Sì, lui. Pareva che volesse comperarla... ma non comprerà nulla perchè è troppo astuto. Il Piloni dovrà cercare altri merli.

Tutto a un tratto, mutando tono, Bitossi proruppe.

- È proprio vero che è stato lui?

Ella chinò la fronte.

- Maledetto!... O Luisina, Luisina... Quando ho risaputo che lei aveva un bambino a Santa Caterina - lei non ne faceva un mistero - pensai con gioia che potevo esserle utile, poichè se mi accettava, io avrei dato al bimbo il mio nome. Ma poi, quando lei stessa mi raccontò che il poverino era morto... Si ricorda? Quel giorno in camera mia... Ho provato un dolore grande per lei, ed anche per me, perchè fino a tanto che potevo riconoscere quella creatura come se fosse stata mia, mi pareva più facile che lei mi accettasse e che la sua mamma chiudesse gli occhi sulla mia prigionia. Così quella morte allontanava la mia più cara speranza. Le parerà strano, ma pure è vero; fino a quel momento io non avevo pensato al vero padre di quell’infelice; non potevo credere che fosse un traditore. Mi pareva impossibile che un uomo amato da lei l’avesse abbandonata di propria volontà. Mi figuravo che fosse morto o emigrato per miseria... Non ero punto geloso di quell’amore giovanile e infelice. Ma dacchè ho saputo - e fu quel giorno stesso per il gran parlare che si faceva di lei nella corte dopo la scena della sora Rosa - quando ho saputo che era stato quello strozzino, e tutte le angherie, tutti i raggiri che le aveva fatti... ho creduto di morire... ma l’ho amata ancora di più... perchè in fondo lei non può avere amato il vinaio... lei non può che essere stata sedotta... ingannata!... Il suo cuore doveva essere vergine e io l’avrei destato al vero amore per la prima volta... Ma quando più ho amato lei, tanto più ho odiato colui... E se oggi, trovandomelo vicino, non l’ho ammazzato, non l’ho fatto precipitare da una scala o da un ponte... è stato soltanto perchè ho pensato che m’avrebbero preso e incarcerato e che non ti avrei più vista, Luisina mia!... Ma se tu non mi ami, e quella canaglia mi capita un’altra volta tra i piedi, chi potrà trattenermi?

La stiratrice, che si era lasciata cadere sulla seggiolina bassa e aveva ascoltato piangendo, questo discorso, scattò sotto l’impulso del terrore che s’impadroniva di lei:

- No, Francesco, per amor di Dio! No!... Non voglio che tu vada in prigione... non voglio che tu sia condannato!...

Il muratore non parlò; la commozione gli serrava la gola in modo che soltanto un grido rauco potè uscirne e uno scoppio di singhiozzi. Essa lo amava! Dio! quale gioia divina in mezzo alla più crudele angoscia. Quale visione di paradiso tra le fiamme infernali che lo bruciavano! Gli pareva che il cuore gli si spezzasse, inetto a sostenere tale immensità di gaudio e di spasimo.

Con un movimento rapido, quasi incosciente, egli afferrò la giovine che gli stava dinanzi in atteggiamento supplichevole, e se la strinse al petto... E le lagrime, i baci, tutti i loro desideri, tutta la loro vita - essenza e materia - passato e avvenire - si confusero, si scambiarono, si identificarono in un istante di delirio, di estasi.