La fuga di Papa Pio IX a Gaeta/Capitolo XXI
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XXI.
Questo era il luogo di rifugio che trovò Papa Pio IX dopo che ebbe abbandonato il palazzo Quirinale, e qui attese egli il risultato della sua lettera al re Ferdinando. Egli prese qualche cibo offertogli dal padre Liebl, poscia noi ci sedemmo a tavola. Appena avevamo terminato comparvero l’ufficiale e il giudice che il comandante aveva mandati ad esplorare. Il padre chiuse l’uscio della stanza nella quale si trovava il Papa; noi altri incominciammo la conversazione col signor giudice e coll’ufficiale. Era una gara chi fosse più scaltro, gli uni nell’occultare, gli altri nello scoprire. Primo parlò il giudice. Il suo proemio spiegò i motivi che dovevano scusare il signor generale e lui stesso per essere stati impediti da affari d’ufficio di venire prima a presentare alla signora contessa Spaur i suoi rispetti. Il generale faceva inoltre sapere che nel mattino appresso sarebbe egli stesso comparso per condurre la signora contessa intorno nella fortezza, poiché aveva potuto sapere che ciò fosse il motivo della di lei venuta. In pari tempo il signor giudice esprimeva la sua sorpresa come una signora potesse trovare diletto in simili cose, ed esporsi perciò agli incomodi che questo albergo doveva al certo offrire in gran quantità. Noi dal nostro canto manifestammo il nostro stupore che un uomo così saggio, come egli sembrava, potesse meravigliarsi dei capricci del bel sesso, di cui si sa bene che è disposto a sopportare ben altre fatiche per simili piaceri e per altri ancora ben più frivoli. Del resto aggiungemmo che se avessimo potuto prevedere un tale incomodo ci saremmo privati volontieri di questo divertimento. Indi il giudice ci richiese con molta grazia del passaporto, col pretesto che in questo modo voleva sollevarci dalla pena di doverlo di nuovo presentare alla partenza, come si pratica nelle fortezze, secondo un’antica usanza che fu assai lodevole in tutti i tempi e specialmente nella presente situazione dell’Europa, e in particolare in quella della vicina Roma. Egli così parlando ci guardò con molta attenzione mostrando una ciera molto afflitta, e noi ci unimmo a’ suoi sospiri, e lamentammo lo stato della nostra povera Roma, e i cattivi tempi, e la perversità che ovunque si pavoneggia.