La leggenda di Tristano/CCXVII

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CCXVII. — A tanto videro venire Erdes, e quando ebbe suo corso finito, elli teneva ancora tutta intera sua lancia, cola quale elli Estor avia abattuto. E quando elli fu venuto a messer T., e elli disse: «Siri cavaliere, ora mi dite: nostri compagnoni sono tutti a terra e noi due semo a cavallo. E perciò, se Dio vi dia buona ventura, facciamo noi bene». E quelli disse: «Che volete voi che noi facciamo?», «Io ve lo dirò» disse Erdes. «Siri, se voi non vi sentiste troppo agravato di giostrare, che noi giostrassimo tanto tra voi e io che l’uno di noi andasse a terra, ed a cui Dio ne derá l’onore sí l’abbia». «Certo» disse messer T. «di questo non mi dovereste voi richiedere, apresso che io ho iij de’ vostri compagnoni abattuti, sí come voi potete vedere». «Certo» disse Erdes «voi dite lo vero, e io non ve ne richiedo niente, se a voi non è a grato. E se vostra volontá non è quello che io vi dico, dite apertamente che non sia, che assai avete fatto [p. 273 modifica] d’abattere iij cavalieri. Ma se voi volete fare cavallaria, fare lo potete». «Certo» disse messer T. «se voi non me n’aveste apellato, io me ne seria sofferto di giostrare. Ma poi che voi me n’avete appellato, io giosterò, perciò che se io nol facesse, voi lo terreste a codardia e se di ciò io vi fallisse. Ora mi fate venire una lancia, perciò che la mia è rotta, e poi incuminceremo la giostra, e a cui Dio ne dá l’onore sí sel prenda». «Ciò mi piace» dice Erdes, e fece aportare una lancia a messer T. E messer T., che bene vede che di grande forza è Erdes, cavaliere novello, e della giostra sapia assai, ascende in terra e riguarda suo cavallo: vidde che no li falla nulla. E quando elli l’ha riguardato, e elli disse a Erdes: «Ugiumai sono io aparecchiato di giostra fare, quando altrementi non puote essere». E cosí incominciano la giostra li due cavalieri, davanti ala fontana. Messer T. sí lassa correre a Erdes e Erdes a lui, e sí si vengono a ferire di sí grande forza, come elli potieno del cavallo traere. E quando venero al giostrare, e le lancie volano in pezzi. Apresso ciò ch’elli hanno rotte loro lancie, elli si vengono a ferire degli scudi, sí duramente che lo piú frale li convenne gire ala terra. Erdes, che non avia tanta forza quanta avia messer T., fu sí duramente incontrato che non avia né forza né valore ch’elli si tenesse in sella, anzi cadde in terra quasi intronato, sí ch’elli non avia membro che no li dolesse, e per ciò fu sí intronato che non sa s’elli fusse giorno o notte. Quando messer T. vide queste cose, elli se ne va per una lancia ch’era apoggiata ad uno albore, per ciò che non si voleva partire senza lancia, s’elli altro potesse fare; quando elli l’ha in sua balia, e elli disse a messer Estor: «Siri, cavalchiamo, s’elli vi piace, ché da quelli cavalieri siamo noi bene diliberati, la Dio mercé». Disse messer Estor: «Ciò è vero, ala Dio mercé e dela bontá vostra».