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La leggenda di Tristano/CCIX

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CCIX. — Ma in questa parte dice lo conto, che quando monsignore T. fue partito, sí come detto è, egli cavalcoe inverso lo diserto, molto allegro di ciò ch’egli avea avuto sí alta aventura. Ma dappoi ch’egli fue ala fontana, egli ismontoe da cavallo e tolsesi lo scudo da collo e l’elmo di testa, e lo cavallo sí lascioe pascere appresso di lui; e fece suo proponimento e disse: «Certo io no mi partiroe giamai di qui, dinfin a tanto ch’io non troverò lo cavaliere, lo quale mi diede cosí grande colpo; imperciò ch’io credo ch’egli sia pro cavaliere. E imperciò voglio cercare di lui, imparciò ch’io so ch’egli sí verrae a questa fontana». E a tanto sí comiticioe a posare, a piede ad uno albore. Ma tanto dimoroe in cotale maniera, che lo giorno fue trapassato e la notte fue venuta, nera e scura. E quando la notte fue venuta, e monsignor T. incomincioe a posare, imperciò ch’a lui abisognava, e dormio dinfino alo giorno, e quando gli augelli isvernano [p. 266 modifica] su pegli albori e faciano molto dolci canti. E quando monsignor T. uditte isvernare gli augelli, fue molto allegro, e incontanente si levoe e andoe ala fontana e lavossi le mani e ’l viso, e aspettava che alcuno cavaliere venisse ala fontana, ch’egli potesse fare d’arme. Ma io voglio che voi sappiate che monsignore T. istette ala fontana per uno giorno e due notte, sanza trovare neuna aventura di neuna cosa.