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La leggenda di Tristano/CXCII

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CXCI CXCIII

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CXCII. — In questa parte dice lo conto, che dappoi che T. fue partito dala fontana dali due compagnoni, ed egli sí incominciò a cavalcare molto fortemente, sí ch’egli pervenne in una valle molto grande e perfonda, e la foresta iera molto ispessa. E T. cavalcava per uno istretto sentiero; e guardandosi innanzi ed egli ebe veduto venire una damigella, la quale cavalcava uno soro palafreno, ed ella andava tutta discapigliata, sí che li capegli l’andavano tutti per le spalle, e andava faccendo lo maggiore pianto che giamai fosse fatto per una damigella. E quando T. vide la damigella, incominciò a cavalcare molto tostamente; e quando fue a lei, salutolla cortesemente, ed ella li rendeo suo saluto. Ed appresso T. sí disse: «Damigella, io vi priego tanto quanto io so e posso, che voi sí mi dobiate dire lo vostro convenentre com’egli èe, tutto sicuramente, ché per mia fé io desidero di sapere perché voi fate tanto dolore». E quando la damigella intese queste parole, fue molto lieta, imperciò ch’ella vedea bene ch’egli era pro cavaliere. E disse: «Cavaliere, sed io piango e meno grande dolore, non è da maravigliare, che sappiate che com’io piango e foe dolore, cosí dovrebbero piangere tutti li baroni e li cavalieri, che sono al mondo e tutte le dame e le damiscelle; imperciò che oggi averanno lo maggiore damaggio e lo maggiore dolore, che avenisse nel mondo giamai. E imperciò io sí vo cercando monsignor Lancialotto, lo quale è lo migliore cavaliere che sia al mondo, il quale io vorrei che venisse co meco; imperciò che non è questa aventura per ogne cavaliere, imperciò che a questo fatto abisogna troppo pro cavaliere d’arme, imperciò che s’egli non fosse pro cavaliere, egli sarebbe morto e anche quegli ch’andasse per diliverallo. Onde io non vi voglio menare a questa aventura, imperciò ch’io non so vostro nome né vostro essere. Ma se voi foste monsignor Lansalotto o foste monsignor T. di Cornovaglia, io vi menerei in questa aventura. Ma se voi non siete neuno di questi due cavalieri e non mi dite vostro nome, io non vi menerei in questa a ventura in nessuna maniera; imperciò che questa è troppo grande aventura e porterebbe [p. 247 modifica] troppo grande damaggio, se voi non foste pro cavaliere. E a tanto sí v’accomando a Dio, imperciò ch’io non voglio piú dimorare in nessuna maniera, perché troppo abo mestiere di andare cercando monsignor Lansalotto per questo diserto, imperciò che io abo molto udito parlare della sua grande prodezza».