La leggenda di Tristano/CXV
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CXV. — A tanto dice lo conto, che quando lo giorno fue venuto e lo re ch’iera dentro ala cittade sí si levoe. E quando fue levato, ed egli sí andò a una finestra del palagio e incominciò a risguardare per lo piano e vide tutta l’oste del conte d’Agippi. E quando lo re ebe veduta tutta l’oste, la quale iera assemblata davanti ala sua cittade, fue tanto doloroso che neuno altro piú di lui. E incontanente andoe ad Isotta dele bianci mani, e quando fue ala sua camera ed egli sí disse: «Ai, dolze mia figliuola, come noi siemo ora tutti morti e auniti, quando lo conte Agippi è venuto qui con tutta sua gente e hanno messo l’assedio dintorno ala nostra cittade! Und’io veggio che noi non potemo combattere co loro, imperciò che Gheddin non potrá combattere co lui, lo quale combattea co lui sovente fiate e mantenea la guerra incontra di lui. Ma ora piacesse a Dio nostro segnore che ora ci apparisse e venisse qua alcuno cavaliere delo reame di Longres, lá dove sono li buoni cavalieri, lo quale ne traesse di cotanto dolore e di cotanto tormento! E vorei che tutto questo reame sí fosse suo per amore dela bella Isotta mia figliuola, la quale io non vorrei ch’ella sostenesse alcuna villania». E quando Isotta dele bianzi mani vide lo re lo quale menava cosí grande dolore, e intendendo le sue parole, incontanente sí incominciò a fare molto grande pianto, e dicea: «Ai Ghedin, come noi siemo ora tutti morti per te! che tu sí solei mantenere la guerra incontra alo conte d’Agippi, e ora non avemo neuno cavaliere, lo quale per noi voglia prendere questa battaglia. Onde noi siemo in aventura del morire tutti quanti». Molto si duole la damigella di questa aventura.
Ma istando in cotale maniera, e Governale lo quale avea udite tutte le parole le quale avea dette lo re e Isotta sua figliuola, ed avea udito tutto lo lamento lo quale eglino aviano fatto, fune molto dolente e parvegline molto grande pecato di loro, vedendo lo grande pianto lo quale eglino faciano. E istando per uno poco, sí disse «Re, io vi priego che voi sí vi dobiate confortare, ché per mia fé voi sí avete in vostra compagnia uno cavaliere, il quale è sí pro d’arme che io no credo che sia al mondo uno cosí pro cavaliere com’egli. E imperciò io so bene che se voi lo pregherete da vostra parte, o dama Isotta che qui èe, io son certo ched egli fará d’arme grandissimi fatti per vostr’amore. E questo cavaliere ond’io vi parlo sí è mio segnore, lo quale Isotta vostra figliuola sí lo tornoe a guarigione. Ma tutta fiata sí vi priego che voi non dobiate dire a lui ched io v’abia dette queste parole».