La leggenda di Tristano/LIX
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LIX. — Essendo una notte li figliuoli di Dialicies tutti nel letto, si prese una ispada e taglioe la testa a tutti e dodici e gittogli nela piazza per assempro, che ogne persona avesse paura di lui, e perch’egli potesse ricoverare sua terra. Allora ebe la gente tutta quanta grande paura, veggendo la forza di Dialicies e la niquitade sua. Allora fece uno grande parlamento e disse che qualunque persona credesse in Giuseppo, si farebe di lui sí come egli fece de’ figliuoli. Allora si fece una molta grande oste e prese Gioseppo e tutta la sua gente e fecegli tutti dicollare. E poscia incomincioe questo castello e sí lo fece fondare in sull’ossa ed in su le corpora di tutta questa gente e deli suoi figliuoli altresie; e cosí ricoverò la sua terra in cotale modo e in questa maniera. E perciò che gli istrani l’avevano fatto questo danno, e perciò ordinò e comandoe che tutti gli stranieri ch’arrivassero a questo porto, si fossero presi e messi in pregione in questo castello e non ne dovessero mai uscire, salvo se infra loro avesse alcuno sí prode cavaliere che vincesse lo segnore dell’isola, e la sua donna fosse piú bella che quella del segnore dell’isola. «E qualunque è vincitore si rimane segnore dell’Isola e desi tagliare la testa a qualunque donna dele due è piú sozza. E in tale maniera 10 vincitore rimane segnore dell’isola ala somigliante costumanza e giamai non [deve] partirsine, E in tale maniera potreste voi campare, se ci avesse cavaliere che col nostro re combattesse, e donna che fosse piú bella che la nostra.»
Allora disse T. a madonna Isotta: «Venite avanti». E mostrala al cavaliere e disse: «Che vi pare dela donna?». E li cavalieri dissero dela donna: «Bene si puote passare». E T. disse: «E io combattente col vostro segnore per diliveramento di me e di miei compagni». E li cavalieri dissero: «E come è? ché al mondo non è uomo che col nostro segnore istesse fermo a battaglia, salvo Lancialotto». E T. disse: «Io per me non vieterei bataglia a Lancialotto. E ora sí m’avete fatto dire una grande villania». E allora sí fue messo T. e madonna Isotta in uno palagio e fue fatto loro agio. Allora sí n’andonno li cavalieri al signore dell’isola e dissero: «Blanor, a te si conviene di mantenere nostro usato, ché tra 11 pregioni che noi prendemmo ieri si ha uno cavaliere che vuole combattere al’usanza dell’isola». E Blanor sí disse: «Anche per me la vostra usanza non fosse fatta, io vi dico ch’io per me la voglio mantenere a tutto il mio podere». E li cavalieri dissero: «Depardio, al matino al suono del corno si sarete fuori delo castello co vostra dama». A tanto si partono li cavalieri e danno a T. tutta sua arme, salvo la spada ch’egli avea, che l’apiattoe madonna Isotta. Al matino or vengono T. e madonna Isotta al campo, e lo corno si suona e esce fuori Blanor e la sua dama. Lo conto si dice che la donna di Blanore síi era grande e bella, sí come donna ch’iera tratta e ritraea da giogante, ma non si potea aparegiare ale bellezze di madonna Isotta. E la moglie di Blanor si diventoe tutta palida di paura. Sí che data fue la sentenzia che madonna Isotta iera piú bella. Ed a tanto istando ambodue le donne allato, e la battaglia sí si incomincioe tra li due cavalieri. Or si danno del campo, Blanor, il sire dela lontana isola e padre del buono Galeotto lo Bruno e T. Allora sí si vegnono a fedire insieme dele lancie sopra le targie ed istringosi insieme e sono a petto a petto co’ loro civagli, e li cavalieri sono visaggio contra visaggio e sono sí duramente serrati insieme, che li cavagli e li cavalieri sono caduti in due monti. Allora si rilevano intrambi li cavalieri con loro targie in braccio e cole ispade in mano, e cominciano lo primo assalto, sí duramente che ciascheduno si ne fae grande maraviglia di T., sí promente e sí bene la fae; ché Blanor sí è vie maggiore di lui bene uno grande gomito e segnoreggia T. assai, sí come uomo ch’è vie maggiore di lui. Ma T., sí come cavaliere ch’iera savio combattitore, la fae sí bene che ciascheduno si riposa volontieri del primo assalto, per prendere buona lena e forza. Ma ciascheduno sí si fae grande maraviglia di T., quand’egli sí puote reggere con Blanor. Or sí si rilevano li cavalieri e ricominciano lo secondo assalto, e quando sono riposati sí si rilevano e cominciano lo terzo assalto, sí forte e sí duro che molte maglie d’asberghi vanno per terra, e madonna Isotta si cambia lo suo viso in palido, sí com’ella vede cambiare la battaglia. Ma qui dice lo conto di T., ch’egli è savio combattitore ed è di grande durata; e dappoi si viene menando Blanor a destra ed a sinestra. E T. conosce bene ch’egli hae lo meglio dela battaglia ed hae dato uno colpo a Blanor sopra l’elmo, sí che Blanor non potea sofferire lo colpo: lasciasi cadere in terra rivescione, sí come cavaliere ch’avea perduto molto sangue. E T. sí gli disse allora: «E com’è, compagnone? e non combatteremo noi piú?». E Blanor disse di non, «imperciò ch’io sono molto presso ala morte». E a tanto non parlano piú, imperciò ch’a Blanor sí gli è uscito lo fiato di corpo ed è passato. Allora dice T.: «E son io diliverato per questa battaglia?». E queglino c’hanno a giudicare la battaglia si dissero di no, «dinfino a tanto che voi non tagliate la testa ala moglie di Blanor». E T. disse: «E come, taglierò io la testa a femina?». E que’ dissero: ««Cosí vi conviene pur fare, se voi volete essere diliverato».