La miseria di Napoli/Parte I - Gl'ipogei/Capitolo IV. Condizione speciale di Napoli

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Parte I - Gl'ipogei - Capitolo IV. Condizione speciale di Napoli

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CAPITOLO QUARTO.

Condizione speciale di Napoli.


Quanto torna facile scoprire e rivelare i mali esistenti in una società altrettanto parmi difficile suggerire i rimedii specifici, e più difficile in Napoli che altrove.

Pochi Italiani, e forse nessuno straniero non residente in questa bella e singolare città, conoscono la coesistenza di due genti affatto distinte, quanto l’inglese e l’irlandese, e oserei affermare la nera e la bianca.

Si assevera che le distinzioni fra Lazzaroni e Galantuomini appartengono al passato, che la parola lazzarone rimonta al tempo dei Vicerè spagnoli, e indicava in quel tempo la gente soggetta, la quale sotto quell’infamissimo governo, e sotto il feudalismo, discese ad uno stato di miseria indescrivibile; e da ultimo che questa gente, in battaglia perpetua coi dominatori o galantuomini, non esiste più e si confuse con essi.

Noi invece ci accertammo che essa persevera tuttora di fatto e perfettamente individuata. In altre parti [p. 45 modifica]d’Italia il Comune ha assimilato le classi sociali, ma in Napoli il sentimento del Comune non mise mai radice nel popolo. I Vicerè ed i Borboni per regnare si appoggiavano ora ai galantuomini, ora ai lazzaroni, e imperarono dividendo. La sollevazione di Masaniello ebbe nemici i nobili. La congiura del Macchia (nobile) non fu secondata dai lazzaroni, benchè invitati e bramosi di vendicarsi degli Spagnuoli, assassini del loro Masaniello, tuttavia oggetto di culto fra loro: lo Championnet fu combattuto dai lazzaroni, e le orde del cardinal Ruffo componevansi di lazzaroni.

Il solo Garibaldi riuscì a produrre una momentanea fusione, ma anch’egli fu avvertito che, se non assistesse al miracolo di San Gennaro, avrebbe tutti i popolani contro. E da quel momento gli odii, l’intensa inimicizia, l’assoluta incompatibilità delle due genti scemarono al punto da sottrarsi all’occhio che si appaghi di contemplare la superficie della società.

Ma chi guarda più addentro, scorge che ancora oggidì differenze fisiologiche, differenze di gusto nel cibo, nel vestire, dividono le due genti.

Pochi popolani vivono nei quartieri alti, ma quei pochi non perdono la loro specialità. Il popolano agiato mangia la stessa qualità di cibo del povero; maccheroni, pesce, legumi crudi, e abbiamo avuto occasione nell’Asilo infantile di Sant’Aniello di osservare l’immensa difficoltà di assuefare i piccirilli al cibo dei galantuomini: minestra di riso, pasta al brodo, zuppe di legumi, ec. — Se andiamo fra gli operai, ci si affacciano subito due classi: gli artigiani e i lazzaroni. Non accade mai che un galantuomo si faccia tagliare i [p. 46 modifica]capelli da un popolano, nè viceversa questo da quello: al barbiere del primo paghi mezza lira, e del secondo venti o venticinque centesimi. Non troverete un lazzarone tra le fonderie di ferro, non uno all’arsenale; pochissimi falegnami, muratori, calderari, sartori; nessuno commesso di commercio, d’orefice, nessun giovine di bottega, toltane la bottega di commestibili.

I principali mestieri del popolano sono: cappellaio, saponaio, maruzzaro (venditore di lumache), pizzaiuolo, venditore di fiammiferi, acquaiuolo, carnecottaro (venditore di carni cotte), fruttivendolo, venditore di commestibili per il proprio quartiere, venditore di lupini, di pine, cantiniere, carbonaro, tintore, ciabattino, che di rado si eleva al grado di calzolaio; fabbricatore di cannelli da pipa e di mattoni; venditore di roba vecchia, materassaio, pescatore, cocchiere, facchino. Esclusi gli spazzatori di strada, nessuno fa parte delle guardie e degl’impiegati municipali.

La differenza fra queste classi mi si rendeva sensibile ogni di più, nel continuare le mie ricerche nel sottosuolo. E domandando spiegazioni a due intelligentissime persone che per modestia non vogliono esser nominate, riseppi molti di questi particolari, senza dubbio esattissimi.

Ora quei mestieri, molti dei quali equivoci, richiedono poco studio, poca intelligenza, poca attività, se non della gola per urlare lungo le strade — a guisa di fedecommesso trasmettonsi fedelmente dalle une alle altre generazioni.

E quando manca il lavoro, i lazzaroni non si dànno per perduti: un fazzoletto o una catenella scippata, [p. 47 modifica]qualche frutto sottratto alla vigilanza del contadino che conduce al mercato il suo asino, qualche soldo guadagnato portando fagotti alla Stazione, qualche elemosina avuta dai guaglioni, basta per campare la vita senza cura del domani, ed allegramente. Se non si ha casa propria, ci sono le locande di 1ª, 2ª e 3ª categoria; e se non si posseggono i due soldi per il letto, vi sono i portici e il lastrico. Spensierati e senza l’idea elementare dell’onestà, quando trovano lavoro lavorano molto e sono mal pagati. I soli facchini della Dogana e della Stazione hanno una tariffa fissa: i galantuomini non pagano ai cocchieri lazzaroni più di mezza lira la corsa, mentre il forestiere paga settanta centesimi, secondo la tariffa; i fabbricanti di pipe debbono dare pipe compite quattro per un soldo; i facchini che sbarcano il carbone guadagnano da settanta a settantacinque centesimi al giorno; e ne guadagnano settantacinque quegl’infelici costretti, come una volta i condannati in Inghilterra, di girare tutto il giorno la macchina medioevale per torcere e ammatassare il cotone. Difficilmente troverete un lazzarone che sappia leggere e scrivere. Ed abbastanza strane sono le sue nozioni di moralità.

Sarebbe calunniare Napoli segnalandola con giudizio sommario più immorale delle altre grandi città; ma quando scendiamo fra i popolani nei quartieri bassi, non si esagera affermando totalmente ignota la nozione del bene e del male.

In amore il lazzarone è gelosissimo, e sfregia col rasoio la donna infedele alla sua promessa; sfregia pur quella, con la quale i genitori impediscono il [p. 48 modifica]matrimonio, anche se questa rifiuti altro sposo. E la donna va orgogliosa della cicatrice: segno che fu amata!

Ma per i lazzaroni la terribile piaga della prostituzione non riveste quel carattere vergognoso, che in altre parti del mondo, e anche nel mondo dei galantuomini di Napoli stessa, segrega le prostitute dal resto della convivenza cittadina, e le costringe a menar vita e dà loro costume e abitudini e gusto a parte.

La prostituzione nelle infime classi è un mestiere come un altro; non ha nulla di particolare; permette perfino di essere buona madre di famiglia.

Di giorno le prostitute vivono come tutte le altre donne: lavorano un po’, ciarlano, hanno famiglia, hanno figli, e non sono punto sfuggite dalle non prostitute. Il mestiere notturno è in coscienza loro onesto, quanto onesto il furto.

E come possedere idee di moralità? Vivono nelle stesse camere varie famiglie: dormono nello stesso letto padre, madre, fratelli, sorelle. Al teatro anatomico, ove si sezionano i cadaveri dei poveri che non pagarono il mortorio, fra le ragazze dai dodici anni in se non si notò nessuna vergine.

Questo stato di cose, il fatto che nessun galantuomo-sposerebbe e nemmeno sedurrebbe una lazzarona (fatto non verificatosi nemmeno fra schiavi e bianchi in America, ove invece il solo nome del bianco negavasi alla negra e alla creola), spiega la deteriorazione della stirpe. Chi non passeggia che per Toledo e per Chiaia, esclama: «Che superba stirpe questi Napolitani, siano essi poveri o ricchi, operai o signori!» Ma ove [p. 49 modifica]si scenda nei quartieri bassi, avvertonsi subito il colore linfatico, le glandule enfiate, cicatrici di piaghe, nasi rosicchiati: i quali segni indicano che il temperamento linfatico traligna in iscrofoloso.

V’ė differenza persino nella struttura ossea. Mi fu fatto osservare, e realmente osservai, che gli uomini dei quartieri bassi hanno le gambe storte in dentro; mentre quelli dei quartieri alti sono diritti e ben piantati. E nelle donne, mentre quelle dell’alto sono sempre snelle e ben formate, hanno la vita proporzionata, il petto ampio; quelle dei quartieri bassi sono goffe, con spalle curve, petto angusto, collo incassato.

Mi servo delle parole quartieri alti e bassi come generalità. — Per verità alcuni lazzaroni vivono nei quartieri alti, specialmente a Montecavallo e San Giuseppe, e diversi mercanti galantuomini tengono botteghe e vivono nei quartieri inferiori, specialmente nelle località chiamate dei Mercanti, dei Lanzieri, degli Orefici, della Giudeca e dei Materazzari; e molti poveri dei galantuomini, a causa delle pigioni e con immensa ripugnanza, abitano anche le strade più brutte dei quartieri bassi, ma non per ciò le due classi si mischiano o si confondono, e nell’abisso che le separa, nessuno finora ha tentato di gettare un ponte.

I precedenti Municipii non pensarono, o ci pensarono poco, a migliorare la condizione dei poveri in genere; e il poco operato si ristrinse a favore dei poveri o degli operai della classe dei galantuomini, che somiglia a tutti gli altri operai d’Italia. E codesti operai guadagnano discretamente, vivono civilmente e non mancano alla propria dignità e ai proprii doveri: e [p. 50 modifica]frequentando le scuole e costituendosi in associazioni, si vengono progressivamente illuminando nei proprii diritti.

Nei miglioramenti, onde i Municipii antecedenti bonificarono la città, non vi compresero che la Via del Duomo, la quale traversa i quartieri superiori, Forìa, la Marina, il Corso Vittorio, i nuovi quartieri del Museo, di Mergellina, il nuovo Rione Principe Amedeo. Furono all’opposto trascurati tutti i quartieri infelici degl’infelicissimi.

Anche le case economiche, promosse da Marino Turchi, si costrussero nella parte più ridente di Capodimonte, e non sono economiche, ne potrebbero essere pagate dai popolani. Le cucine economiche avviate dalla egregia signora Ravaschieri ebbero buon esito, credo, a Montecavallo e a Chiaia, quartieri nobili; non però al Pendino e alla Vicaria, perchè nella scelta dei cibi non si tenne conto del gusto della bassa gente.

Tutto dunque rimane a fare, nè si tornerà, speriamo, all’eterna disputa, se si debba risolvere prima la questione dell’istruzione o quella del miglioramento materiale; dacchè l’una deve procedere di pari passo coll’altra, se si vogliono evitare convulsioni morali paragonabili a quelle del Vesuvio.

«Che volete, — domanda il Villari, — che faccia dell’alfabeto colui, a cui manca l’aria e la luce, che vive nell’umido e nel fetore, che deve tenere la moglie e le figlie nella pubblica strada tutto il giorno? Non otterrete mai nulla.

» E se un giorno vi riuscisse d’insegnare a leggere ed a scrivere a quelle moltitudini, lasciandole nella [p. 51 modifica]condizione in cui si trovano, voi apparecchiereste una delle più tremende rivoluzioni sociali.

»Non è possibile che comprendendo il loro stato restino tranquille.»

Verissimo.

Dall’altra parte, se per una malintesa filantropia si facessero un giorno, come in Inghilterra, grandi sforzi per migliorare le condizioni fisiche, stabilendo per legge che atti o inetti al lavoro abbian diritto ad essere mantenuti dallo Stato, aprendo Case di ricovero senza scuole, Case di lavoro senza insegnamento industriale, l’Italia ben presto avrebbe, come l’Inghilterra ebbe un dì, una classe di grassi, oziosi e viziosi pitocchi, che si moltiplicano come i conigli e divorano la sostanza dei laboriosi e di chi sdegna stendere la mano per l’elemosina.

Trovare il modo di costruire le due strade, parallele per un po’ di tempo, e gradualmente convergenti al punto obbiettivo di un popolo consapevole dei diritti e dei doveri proprii, that is the question, sulla quale il Governo riparatore e i Municipii progressisti, e ogni individuo che vuol essere tenuto buon cittadino, debbono darsi la mano per rinvenire la risposta fruttuosa.

E in quanto a Napoli, il primo passo è di trovare il modo di fare scomparire il fenomeno delle due caste.