La saggezza di Padre Brown/IV
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Traduzione dall'inglese di Gian Dàuli (1930)
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Due uomini comparvero simultaneamente alle due estremità di una specie di passaggio che si stende lungo il teatro Apollo, nel quartiere Adelphi. Nelle strade era un chiarore serale, diffuso e vivo, opalescente e vago.
Il passaggio era relativamente lungo e buio, cosicchè ciascuno dei due vide l'altro nella penombra profilarsi in nero, all'altra estremità. Ma anche dal semplice profilo, come schizzi all'inchiostro, si riconobbero a vicenda, perchè entrambi avevano un aspetto che colpiva e si odiavano scambievolmente.
Quel passaggio coperto sboccava a un'estremità sopra una delle ripide vie del quartiere Adelphi, e all'altra, sopra una terrazza dominante il fiume colorato dal tramonto.
Un lato del passaggio era costituito da un muro bianco perchè la costruzione che lo reggeva era un vecchio e sfortunato teatro-ristorante ora chiuso. L'altro lato del passaggio aveva due porte, una a ciascuna estremità, le quali non potevano dirsi comuni ingressi di palcoscenico, ma erano piuttosto porte speciali e private ad uso di specialissimi attori, quali, per esempio, il primo e la prima attrice del dramma shakespeariano del giorno.
Spesso, infatti, piace a persone di tale levatura avere simili entrate ed uscite segrete per incontrare amici o per sfuggirli.
I due uomini in questione appartenevano certamente alla categoria di tali amici, ed evidentemente conoscevano le dette porte e contavano sulla loro apertura; perchè ciascuno si avvicinava alla porta dell'estremità superiore con pari disinvoltura e fiducia. Non però con uguale fretta; l'uomo che veniva dall'altra estremità camminava più rapido cosicchè i due giunsero davanti all'uscio segreto quasi nello stesso tempo. Si salutarono con cortesia e ristettero un po' l'uno di fronte all'altro; poi quello che aveva camminato più vivacemente e che sembrava aver meno pazienza bussò alla porta. In questa, come nelle altre contingenze, i due agivano all'opposto, senza che si potesse dire che l'uno fosse inferiore all'altro.
Nella loro vita privata essi erano tutt'e due galantuomini, bravi e popolari: come persone pubbliche ambedue erano di prim'ordine sociale. Ma ogni cosa riguardante la loro persona, dalla reputazione al loro buon aspetto, era diversa ed eterogenea.
Sir Wilson Seymour era, per chi lo conosceva, uomo di notevole importanza. Più voi penetrerete nell'intimità degli ambienti professionali e più trovate Sir Wilson Seymour. Egli era il solo uomo intelligente in venti stupidi comitati per ogni specie di questione, dalla riforma della Reale Accademia al progetto di bimetallismo per la Gran Bretagna. Nelle arti, specialmente era onnipotente, anzi unico, al punto che nessuno avrebbe potuto giudicar bene se egli fosse un grande aristocratico che s'interessava di arte o un grande artista di cui si era interessata l'aristocrazia. Ma bastava parlare con lui cinque minuti, per avere l'impressione di rimanerne dominato per tutta la vita. Il suo aspetto era distinto nel senso preciso della parola; ed era nello stesso tempo convenzionale ed originale.
Secondo la moda non si sarebbe potuto trovare nessun difetto nel suo alto cappello di seta il quale era tuttavia dissimile dal cappello di tutti gli altri – un po' più alto forse – e aumentava un po' la già alta statura di Lord Seymour.
La sua alta ed esile persona aveva un leggero incurvamento, eppure egli appariva tutt'altro che debole. I capelli erano d'un grigio-argento, ma egli non sembrava vecchio; erano più lunghi dell'ordinario, eppure non lo facevano sembrare effeminato; erano ricci, ma non sembravano arricciati. La sua barba tagliata accuratamente a punta gli dava un aspetto virile, un po' militaresco, come è di certi vecchi ammiragli di Velasquez, per i cui scuri ritratti la sua casa era celebre. I suoi guanti grigi erano un po' più azzurrini, il pomo d'argento del suo bastone un pochino più lungo dei molti guanti e bastoni simili che si vedevano in giro e facevano mostra di sè nei teatri e nei ristoranti.
L'altro uomo non era come questo, ma non si poteva dir basso, bensì soltanto forte e bello. La sua capigliatura era anch'essa riccia, ma bionda e raccolta sopra una testa forte e massiccia, una testa con la quale si sarebbe potuto sfondare una porta, come dice Chaucer di quella di Miller. I baffi militari ed il movimento delle spalle gli conferivano l'aspetto di un soldato; ma egli aveva quei singolari occhi celesti schietti e penetranti che, comunemente, si vedono nei marinai. Aveva la faccia alquanto quadrata, e il mento quadrato, e quadrate le spalle ed anche la giacca. Difatti, secondo lo strano stile caricaturale allora in voga, Mr. Max Beerbohm lo aveva rappresentato come una proposizione del quarto libro di Euclide. Dappoichè anche lui era un uomo in fama sebbene per tutt'altro genere di successo. Chiunque avesse frequentato infatti la migliore società non poteva infatti non aver sentito parlare del Capitano Cutter, dell'assedio di Hong-Kong e della grande marcia attraverso la Cina. Dovunque, si sentiva parlare di lui; il suo ritratto era diffuso sulle cartoline postali; i suoi piani e le sue battaglie erano in ogni giornale illustrato, le canzoni in suo onore facevano parte di ogni programma di caffè concerto, ed erano suonate da ogni organetto. La sua fama, sebbene forse più precaria, era dieci volte più larga, più popolare e più spontanea di quella dell'altro uomo.
In mille case inglesi egli appariva quale l'enorme dominatore dell'Inghilterra, come Nelson, benchè in Inghilterra egli avesse un potere infinitamente minore di quello di Sir Wilson Seymour.
La porta fu loro aperta da un anziano servo di scena, o «vestiarista», dalla faccia e dalla figura disfatta, dall'abito nero logoro, dai lunghi calzoni, che formavano uno strano contrasto col brillante interno del gabinetto di toilette della grande attrice. Il quale era ornato e ricoperto da specchi che rifrangevano la luce, cosicchè sembrava l'interno di uno smisurato diamante dalle cento faccette – ammesso che si possa entrare dentro un diamante. Le altre apparenze di lusso: qualche fiore, qualche cuscino colorato, qualche pezzo di costume di scena, erano moltiplicate da tutti gli specchi in una specie di fantasmagoria da notti arabe, e danzavano e cambiavano continuamente posto, quando il silenzioso inserviente spostava uno specchio verso l'esterno o lo respingeva contro il muro.
I due uomini parlarono al sudicio vestiarista chiamandolo per nome, Parkinson, e chiesero della signora Miss Aurora Rome. Parkinson rispose che l'attrice era nell'altra camera e che sarebbe andato ad avvisarla.
Un'ombra passò tra le ciglia dei due visitatori, perchè l'altra camera era la camera privata del grande attore col quale miss Aurora lavorava, e l'attrice era tale, che suscitava insieme ammirazione e gelosia. Ma dopo appena mezzo minuto la porta interna si aprì ed essa si presentò, com'era solita presentarsi anche nella vita privata, in modo che anche il perfetto silenzio pareva uno scroscio d'applausi, e ben meritato.
Indossava un vestito alquanto strano di raso verde e bleu pavone, che mandava riflessi metallici verdi e bleu; aveva una chioma di caldo color marrone che incorniciava uno di quei visi incantevoli che sono pericolosi per tutti gli uomini ma specialmente per i ragazzi e per l'uomo che incomincia a diventar grigio. In compagnia del collega maschio, il grande attore americano Isidoro Bruno, essa si produceva in una speciale interpretazione poetica e fantastica del Sogno di una notte di estate, con particolare rilievo artistico dato ad Oberon e Titania o in altri termini a Bruno e a lei. Nello sfondo di un chimerico e squisito scenario, muovendosi in mistiche danze, il verde costume, simile a corruscanti ali di scarabeo, esprimeva la illusoria apparenza di una regina di fate. Ma, alla luce del giorno, un uomo si sentiva attratto solamente dal viso di Aurora.
La donna salutò i due visitatori col radioso e sconcertante sorriso che manteneva tanti uomini alla stessa giusta distanza pericolosa. Accettò da Cutler dei fiori che erano tropicali e stravaganti come le sue vittorie e da Sir Wilson Seymour un altro genere di regalo offerto dopo e con maggiore noncuranza da questo gentiluomo. Perchè contrastava con l'educazione di costui il mostrare eccessiva premurosità, e con la sua convenzionale originalità, l'offrire doni appariscenti come sono i fiori. Egli aveva scelto un gingillo, diceva lui, che era un oggetto di curiosità: un antico pugnale greco dell'Epoca Micenica, che poteva benissimo appartenere al tempo di Teseo e di Ippolito. Era di ottone, come tutte le armi eroiche, ma, per caso strano, affilato abbastanza da ferire mortalmente. Gli era piaciuto perchè aveva la forma di una foglia, ed era perfetto come un vaso greco. Egli sperava che Miss Rome mostrasse qualche interesse per l'oggetto, e lo giudicasse utile nella rappresentazione.
La porta interna si aprì ed apparve una grossa persona che contrastava più col suddetto Seymour, che col capitano Cutler. Alto quasi sei piedi e con tendini e muscoli più che teatrali, Isidoro Bruno, in una pelle di leopardo e nel vestito bronzo dorato di Oberon, sembrava un dio barbarico. Egli si appoggiava ad una specie di lancia che in teatro sembrava una sottile bacchetta di argento, ma lì, nella camera piccola e relativamente ingombra, aveva l'aspetto minaccioso di una vera picca.
I vivaci occhi neri dell'attore roteavano e fiammeggiavano vulcanicamente. Sulla sua abbronzata e bella faccia appariva in rilievo in quel momento, una forte mascellatura con una fila di denti bianchi che facevano ricordare certe ipotesi americane intorno alle sue origini nelle piantagioni del Sud.
— Aurora, – incominciò con quella voce profonda, simile a un appassionato rullar di tamburo, che aveva commosso tanti uditori, – volete... – Ma si fermò indeciso, perchè una sesta persona era improvvisamente apparsa nel vano della porta; una persona che stonava talmente con quella scena, da sembrare quasi comica.
Era un minuscolo uomo nel nero vestito del clero secolare cattolico, e sembrava (specialmente fra figure come quelle di Bruno e di Aurora) una specie di Noè di legno fuori dell'arca. Egli però parve non accorgersi di alcun contrasto, e disse con discrezione e cortesia:
— Credevo che Miss Rome avesse mandato a cercarmi.
Un sagace osservatore avrebbe potuto osservare qualche turbamento a quella scialba interruzione. In realtà, il contrasto di un celibe per professione sembrava rivelare agli altri il fatto che essi stavano intorno alla donna come un cerchio di rivali in amore; così come un estraneo che entrasse col viso gelato darebbe vivo risalto, per contrasto, al calore d'una camera.
La presenza di quell'uomo che, solo, non si curava di lei, accrebbe in Miss Rome la sensazione che tutti gli altri fossero innamorati di lei e ciascuno in modo alquanto pericoloso: l'attore con tutto il desiderio di un selvaggio o di un fanciullo viziato; il soldato, col semplice egoismo di un uomo di volontà più che di mente; sir Wilson, con quella costante e tenace applicazione con la quale i vecchi edonisti si dànno ad una passione; e infine, l'abietto Parkinson che aveva conosciuto lei prima dei trionfi, e che la seguiva nella camera con gli occhi e coi piedi, con la tacita e fedele devozione di un cane.
Una persona sagace avrebbe potuto osservare anche un'altra cosa. L'uomo simile ad un nero Noè di legno (che non era sprovvisto di acume), considerava ciò con un notevole ma represso senso di divertimento. Era evidente che la grande Aurora, benchè per nulla indifferente all'ammirazione dell'altro sesso, aveva bisogno in quel momento di levarsi d'attorno tutti gli uomini che l'ammiravano e di esser lasciata sola con l'uomo che non l'ammirava, almeno come maschio, perchè il piccolo prete ammirava e godeva la sicura diplomazia femminile con la quale essa perseguiva il suo scopo. C'era forse una cosa sola nella quale Aurora Rome era esperta e quella era una metà dell'umanità – l'altra metà.
Il piccolo prete osservava, come seguendo una campagna napoleonica, la rapida precisione di tatto ch'ella usava per mandar via tutti senza licenziarli. Bruno, il grande attore, era così infantile, che fu facile far sì che si allontanasse di malumore, sbatacchiando brutalmente la porta.
Cutler, l'ufficiale inglese, era pachidermico nelle idee, ma puntiglioso nel modo di comportarsi. Egli non avrebbe dato peso ad alcun accenno, ma sarebbe morto anzichè non tener conto del preciso desiderio di una signora.
Quanto al vecchio Seymour, andava trattato diversamente e doveva esser lasciato per ultimo. Il modo migliore di smuoverlo consisteva nel fare appello a lui in confidenza, come ad un vecchio amico, facendolo partecipe del segreto dell'allontanamento.
Il prete ammirò realmente il modo con cui Miss Rome ottenne questi tre intenti, agendo con fine garbo.
Essa si avvicinò al capitano Cutler e disse con la più dolce maniera:
— Io apprezzo tutti questi fiori, perchè debbono essere i vostri fiori prediletti. Ma perchè siano completi, occorre, voi capite, il mio fiore prediletto. Andate a cercare nella bottega d'angolo, procuratemi qualche mughetto e farete cosa assolutamente amabile.
Il primo scopo della sua tattica, l'uscita del furioso Bruno, fu subito ottenuto. Questi aveva già consegnata la sua lancia, in modo signorile, come uno scettro, al misero Parkinson ed era sul punto di occupare una poltrona come un trono; ma, udendo quell'esplicito appello rivolto al rivale, mostrò subito, nel fiammeggiar delle pupille, tutta la sua eccitabile insolenza di schiavo. Stretti per un momento i suoi enormi pugni color di bronzo e poi aperta furiosamente la porta, disparve nel suo appartamento. Intanto, però, il tentativo di miss Rome per mobilitar l'esercito inglese non era riuscito con tanto facile semplicità. Cutler, veramente, si era alzato di scatto, con durezza e si dirigeva verso la porta senza cappello, come ubbidendo ad un ordine. Ma forse nella languida figura di Seymour che si appoggiava ad uno specchio, egli scorse qualcosa di ostentatamente elegante, che lo indusse a fermarsi sulla soglia, volgendo la testa di qua e di là, come un buldog sbalordito.
— Debbo mostrare a quello stupido uomo dove deve andare – sussurrò Aurora a Seymour, e corse fuori dalla soglia per prendere tenero commiato dall'ospite che s'allontanava.
Seymour, che sembrava ascoltare con elegante estraneità, come soleva, parve sollevato quando udì la signora gridare le ultime istruzioni al capitano e poi ritornare svelta e gaia per il passaggio, verso l'altra estremità, quella della terrazza sul Tamigi.
Ma un secondo o due dopo, il ciglio di Seymour si oscurò ancora. Come uomo che, pel suo stato sociale, aveva tanti rivali, ricordò che l'altra estremità del passaggio corrispondeva all'ingresso nelle camere private di Bruno. Non perdette la sua dignità: scambiate alcune parole cortesi col Padre Brown circa il risorgimento dell'Architettura bizantina nella cattedrale di Westminster, con perfetta naturalezza, uscì e si diresse verso l'estremità superiore del passaggio. Padre Brown e Parkinson rimasti soli, non erano di quelle persone che hanno il gusto delle conversazioni inutili. Il vestiarista girava per la camera tirando fuori e respingendo gli specchi, e col suo scolorito abito nero dai lunghi calzoni pareva più lugubre, dacchè teneva ancora in mano la festosa lancia fatata del Re Oberon. Ogni qualvolta egli tirava fuori la cornice di un altro specchio, appariva un altro nero Padre Brown: la strana camera di specchi era piena di Padri Brown come angeli, che, su e giù per l'aria facevano salti da acrobati e volgevano le spalle a tutti ed a ognuno, come scortesissime persone.
Padre Brown sembrava completamente indifferente a quella torma di apparizioni, ma seguiva Parkinson con un occhio indolente e attonito insieme, finchè l'altro, con la sua strana lancia, non si recò nella camera più lontana di Bruno.
Allora egli si abbandonò a quelle astratte meditazioni che sempre lo divertivano, calcolando gli angoli degli specchi, gli angoli di ogni rifrazione, l'angolo che ciascuno formava col muro... quando sentì un grido forte ma strozzato.
Balzò in piedi e rimase teso ad ascoltare. Nello stesso momento, Sir Wilson Seymour si precipitò nella camera, pallido, d'un biancore come di avorio...
— Chi è quell'uomo nel passaggio? – gridò. – Dove è il mio pugnale?
Prima che Padre Brown potesse girarsi colle sue pesanti scarpe Seymour già si affannava intorno per la camera, cercando l'arma. Ma prima che gli fosse possibile trovare quell'arma, o altra cosa, rapidi passi batterono il pavimento di fuori e la faccia quadrata di Cutler apparve nel vano della porta. Egli rimase grottescamente immobile stringendo un mazzo di mughetti.
— Che è, – gridò egli. – Che è quella creatura stesa al suolo nel passaggio? Si tratta forse di qualcuna delle vostre burle?
— Le mie burle! – sibilò il rivale pallido, e fece un passo verso di lui.
Mentre accadeva tutto ciò, Padre Brown uscì dalla parte superiore del passaggio, guardò in giù e ad un tratto si diresse rapidamente verso ciò che aveva scorto.
Ciò visto, gli altri due uomini, a loro volta, interruppero la disputa e si slanciarono dietro di lui, Cutler gridando
— Che cosa fate? Chi siete voi?
— Mi chiamo Brown – disse il prete tristemente, mentre si chinava sopra qualche cosa e si raddrizzava di nuovo. – Miss Rome mi ha mandato a chiamare ed io sono venuto sollecitamente. Ma son giunto troppo tardi...
I tre uomini guardarono a terra, ed almeno in uno di essi la vita si arrestò, in quell'ultima luce del pomeriggio. Questa scorreva nel passaggio come una striscia di oro in mezzo alla quale Aurora Rome, lucente nelle sue vesti di verde e d'oro, giaceva col viso morto rivolto in alto. L'attrice aveva il vestito strappato come dopo una lotta e la spalla destra scoperta, ma la ferita dalla quale usciva il sangue era dall'altro lato. Il pugnale d'ottone luccicava al suolo circa un metro lontano.
Seguì un triste silenzio che durò qualche tempo, così che i presenti poterono udire lontano il riso della fioraia dalla parte di Charing Cross e qualcuno che fischiando furiosamente chiamava un taxi in una delle vie dello Stand. Poi il capitano, con un movimento improvviso che poteva essere di collera o di scherzo, prese Sir Wilson Seymour per la gola. Seymour lo guardò fisso senza resistenza e senza paura.
— Non occorre che mi uccidiate voi – disse, con voce perfettamente calma. – Lo farò io per mio conto.
La mano del capitano esitò e ricadde; l'altro aggiunse con lo stesso gelido tono:
— Se non avrò abbastanza forza di nervi per farlo con questo pugnale, lo farò in un mese, col bere.
— Il bere non è sufficiente per me, – rispose Cutler, – ma prima di morire avrò sparso abbastanza sangue per vendicare questa morte. Non il vostro, ma credo sapere di chi.
E prima che gli altri potessero comprendere le sue intenzioni, egli afferrò il pugnale e balzò all'altra porta, all'estremità inferiore del passaggio, la spalancò di colpo, rompendo catenaccio e tutto, ed affrontò Bruno nel gabinetto di toeletta. Mentre accadeva questo, il vecchio Parkinson uscì col suo passo incerto e barcollante dalla stanza e scorse il cadavere che giaceva nel passaggio. Camminò tremando verso di esso, lo guardò appena, con una faccia stranita, tremando ritornò nel gabinetto di toeletta e là si lasciò cadere in una delle ricche poltrone.
Padre Brown corse immediatamente presso di lui, senza badare a Cutler ed al colossale attore, sebbene la camera risuonasse già dei colpi dei due che lottavano pel possesso del pugnale.
Seymour, che conservava un certo senso pratico anche in simili circostanze, era corso all'estremità del passaggio a chiamare gli agenti di polizia. Quando giunsero, costoro separarono i due uomini che nel corpo a corpo formavano un groviglio quasi scimmiesco; e dopo qualche formale indagine arrestarono Isidoro Bruno accusato di omicidio dal suo furioso avversario. Il pensare che il grande eroe nazionale del momento aveva arrestato personalmente un malfattore, senza dubbio influì sugli agenti della Polizia che non sono mai privi di qualità giornalistiche. Essi trattarono Cutler con una certa solennità e riguardo, ed osservarono che egli aveva ricevuto un leggero taglio alla mano.
Infatti, quando Cutler aveva assalito Bruno, questi, tratto il pugnale fuori dalla guaina, lo aveva ferito al polso. Si trattava, in realtà, di una ferita lieve, ma finchè non fu fuori della camera, il semiselvaggio prigioniero continuò a fissare con un sorriso il sangue che sgorgava dalla ferita.
— Guardate, non ha una specie di mascella di cannibale? – disse confidenzialmente la guardia a Cutler.
Cutler non rispose ma un momento dopo disse recisamente:
— Noi dobbiamo occuparci della... morta... – e la sua voce finì in un suono inarticolato.
— Dei due morti – disse la voce del prete che proveniva dal lato più lontano della camera. – Questo poveretto era già morto quando gli son venuto vicino.
Ed il prete rimase cogli occhi abbassati sul vecchio Parkinson che giaceva come un mucchietto nero sopra la sfarzosa poltrona. Anch'egli aveva pagato, non senza eloquenza, il suo tributo alla donna che era morta. Il silenzio fu per primo rotto da Cutler che sembrava toccato da una rude tenerezza.
— Vorrei essere stato lui – disse con voce roca.
— Ricordo che la sorvegliava continuamente, più di tutti, dovunque andasse. Essa era come l'aria per lui, ed egli è inaridito. Naturalmente, è uomo.
— Siamo tutti morti, – disse Seymour, con una strana voce guardando giù nella via.
Presero commiato da Padre Brown all'angolo della strada, con vaghe scuse per ogni scortesia che avessero involontariamente commessa. I loro visi erano tragici ma anche misteriosi. La mente del piccolo prete era come una conigliera di pensieri disordinati che sfuggivano prima ch'egli potesse fermarli. Ogni suo pensiero, infatti, gli spariva nella mente come la bianca coda di un coniglio.
Il prete era sicuro del dolore dei due, ma non convinto della loro innocenza.
— Abbiamo fatto del nostro meglio – disse Seymour gravemente; – abbiamo fatto tutto il possibile per dare aiuto.
— Siete in grado di comprendermi – disse tranquillamente Padre Brown – se io vi dico che invece avete fatto il possibile per pregiudicare?
I due sussultarono come due colpevoli, e Cutler disse aspramente:
— Pregiudicare chi?
— Pregiudicare voi stessi – rispose il prete. – Non ammetterei la vostra angoscia, se non fosse elementare giustizia avvertirvi. Voi avete fatto tutto ciò che potevate per farvi impiccare, se l'attore sarà assolto. Certamente io sarò citato come testimonio, e allora sarò obbligato a dire che, udito il grido, ciascuno di voi si precipitò furiosamente nella stanza e iniziò una lotta intorno ad un pugnale. Se la mia testimonianza giurata varrà qualche cosa, risulterà che l'uno o l'altro di voi due deve aver fatto ciò. Voi vi feriste, ed il capitano Cutler deve essersi ferito col pugnale.
— Ferirmi! – esclamò il capitano, con disdegno. – Si tratta di una piccola graffiatura insignificante.
— Dalla quale esce sangue – replicò il prete scuotendo il capo. – Noi sappiamo che ora il pugnale di ottone è macchiato di sangue, ma non sapremo mai se vi fosse del sangue prima.
Seguì un silenzio, poi Seymour disse con tono enfatico insolito in lui:
— Ma io ho visto un uomo nel passaggio.
— So che l'avete visto – rispose il prete Brown con viso rigido e impassibile, – come lo ha visto il capitano Cutler. Ma ciò pare molto improbabile.
Prima che i due potessero comprendere il senso di quella frase quanto bastava per rispondere, Padre Brown si era cortesemente congedato e s'allontanava per la strada col suo tentennante vecchio ombrello.
Dato il modo come sono fatti i giornali moderni, le notizie più sicure e più importanti sono i comunicati della Polizia. Se è vero che nel secolo ventesimo è concesso più spazio all'omicidio che alla politica, ciò si spiega con l'ottima ragione che l'omicidio è un argomento più serio. Però neppur questo basterebbe a spiegare l'enorme diffusione dei particolari del «Caso Bruno» o del «Mistero del Passaggio» nella stampa di Londra e delle province.
Era tale l'eccitazione pubblica che per alcune settimane la stampa disse realmente la verità, e i rapporti delle indagini e degli interrogatori sebbene interminabili ed anche insopportabili, sono ad ogni modo degni di fiducia. Naturalmente, la vera ragione di tanto interessamento era dovuta all'importanza delle persone. La vittima era una attrice popolare, l'accusato era un attore popolare, arrestato sul fatto, con le mani insanguinate, dal soldato che godeva allora la fama più popolare in fatto di patriottismo. In tali straordinarie circostanze, la stampa era costretta alla probità e all'accuratezza; e il resto di questa alquanto strana faccenda può essere facilmente seguito nei resoconti del processo di Bruno.
Il processo fu diretto dal signor Justice Monklouse, uno di quei giudici che sono canzonati come faceti, ma che generalmente sono molto più seri dei giudici considerati seri, perchè la loro leggerezza è apparente, e proviene da una viva intolleranza delle solennità professionali, mentre il giudice serio è realmente pieno di frivolezze, perchè è pieno di vanità.
Essendo tutti i primi attori di importanza mondiale, gli altri personaggi del foro furono pari all'importanza del processo; procuratore della Corona era Sir Walter Cowdray, un grave ma forte avvocato, di quelli che sanno apparire inglesi e degni di fiducia, e, nello stesso tempo, retorici con riluttanza. Il detenuto era difeso da Mister Patrick Butler, scambiato per un semplice flâneur da quelli che non comprendono il carattere irlandese e da quelli che non si erano mai sottoposti all'opera sua.
La perizia medica non presentava dubbi; il medico che Seymour aveva fatto venire sopra luogo era d'accordo con l'eminente chirurgo che aveva fatto l'autopsia.
Risultava che Aurora Rome era stata trafitta con un'arma da punta, coltello o pugnale che fosse, dalla lama corta. La ferita era precisamente sopra il cuore, e la vittima era morta immediatamente. Quando il primo dottore la visitò essa poteva esser morta da appena venti minuti. Perciò quando la trovò Padre Brown, essa poteva esser morta da tre minuti appena.
Seguirono testimonianze di poliziotti, concernenti principalmente la presenza o l'assenza di tracce di lotta, solo indizio della quale era lo strappamento della veste sulla spalla, particolare, questo, che non sembrava corrispondere esattamente con la direzione e l'intenzione secondo le quali era stato vibrato il colpo. Quando questi particolari furono presentati senza essere però chiariti, fu sentito il primo dei testimoni importanti. Sir Wilson Seymour rese la testimonianza con lo stesso modo con cui faceva ogni altra cosa: non soltanto bene ma perfettamente. Benchè egli fosse uomo pubblico più che lo stesso giudice, espresse giustamente, con fine sfumatura, quel senso di annullamento della propria persona, che sentiva davanti alla Giustizia del Re; e sebbene tutti lo guardassero come se fosse il Primo Ministro o l'Arcivescovo di Canterbury, niente avrebbero potuto dire della sua partecipazione al fatto senonchè si trattava di un gentiluomo privato di grande riputazione. Egli fu anche di una confortante lucidità nell'esporre i fatti, come soleva fare nelle assemblee. Era stato a visitare miss Rome al teatro, e là aveva incontrato il capitano Cutter; ad essi si era aggiunto per breve tempo l'accusato che era poi ritornato nel gabinetto di toilette. Poi era venuto un prete cattolico romano che aveva chiesto della defunta Lady dicendo di chiamarsi Brown.
Quindi miss Rome era andata alla porta esterna del teatro, all'ingresso del passaggio, per indicare al capitano Cutter un negozio di fioraio dove egli doveva andare a comperare un po' di fiori; e il testimonio era rimasto nella camera a scambiare poche parole col prete. Egli allora aveva sentito distintamente che la defunta, mandato via il capitano per la commissione, si era voltata ridendo ed era corsa in fondo al passaggio verso l'altra estremità, dov'era il gabinetto di toiletta del detenuto. Per semplice curiosità, per seguire i rapidi movimenti dei suoi amici, anche egli era uscito dirigendosi verso la parte superiore del passaggio ed aveva guardato in fondo verso la porta dell'accusato. Aveva egli veduto qualche cosa nel passaggio? Sì, aveva veduto qualche cosa nel passaggio.
Sir Walter Cowdray si permise un'impressionante pausa durante la quale il testimone abbassò lo sguardo, e, nonostante l'abituale compostezza, sembrò accentuare il suo solito pallore.
Allora il difensore, con voce più bassa e insinuante:
— Avete veduto ciò distintamente?
Sir Wilson Seymour, sebbene commosso, manteneva il suo eccellente cervello in perfetta calma e padronanza di sè.
— Molto distintamente quanto alla forma, ma affatto indistintamente, anzi niente del tutto, quanto ai particolari. Il passaggio è così lungo che una persona nel mezzo di esso appare nera contro la luce dell'estremità. – Il testimone abbassò ancora una volta i suoi fermi occhi ed aggiunse: – Rilevai il fatto prima, quando entrò il capitano Cutler.
Vi fu un altro silenzio ed il Giudice si piegò avanti e prese nota.
— Bene – disse Sir Walter pazientemente, – che profilo aveva quella figura? Assomigliava per caso a quella della donna assassinata?
— Niente affatto – rispose Seymour tranquillamente.
— Come vi parve?
— Mi parve – replicò il testimone – di vedere come un uomo alto.
I membri della Corte tenevano chi gli occhi fissi sulla penna, chi sul manico dell'ombrello, chi sul suo libro, chi sulle sue scarpe o su qualunque oggetto che si offrisse allo sguardo. Parevano sforzarsi di distogliere lo sguardo dal detenuto ma avevano la sensazione della sua figura sul banco degli accusati e la sentivano gigantesca.
Alto com'era, Bruno sembrava anche più alto specialmente quando tutti gli occhi erano rivolti lontano da lui. Cowdray riprese il suo posto, con faccia solenne, lisciandosi la toga di seta nera e le fedine di seta bianca.
Sir Wilson stava per lasciare il banco di testimonio, dopo pochi particolari finali per i quali vi erano molti altri testimoni da sentire, quando l'avvocato difensore balzò in piedi e lo fermò.
— Vi tratterrò solo un momento, – disse Mister Butler, che pareva persona rozza con rosse sopracciglia e un'espressione di sonnolenza.
— Vuole vostra signoria precisare come s'accorse che si trattava di un uomo?
Un lieve raffinato sorriso parve passare sui lineamenti di Seymour.
— Mi pare che si tratti della volgare prova dei calzoni – disse. – Quando vidi contro la luce del giorno le lunghe gambe, fui sicuro, dopo tutto, che era un uomo.
Gli occhi sonnolenti di Butler si aprirono ad un tratto, come se lo sguardo s'accendesse silenziosamente.
— Dopo tutto – ripetè lentamente. – Dunque, prima, pensaste che fosse una donna?
Seymour, là per là, sembrò turbato.
— Questo è rigorosamente un punto di fatto – disse – ma se vostra signoria vuole che manifesti la mia impressione, senza dubbio io lo farò. Vidi qualche cosa che non era esattamente una donna eppure non sembrava perfettamente un uomo; le curve apparivano diverse. Quel corpo aveva come una massa di capelli lunghi.
— Vi ringrazio – disse Mister Butler K/C. e sedette subito, come se avesse ottenuto ciò che desiderava.
Il capitano Cutter, che era testimonio meno disinvolto e composto che non fosse Sir Wilson, fece un racconto dei primi avvenimenti che coincideva con quello dell'altro.
Descrisse il ritorno di Bruno al suo gabinetto di toilette, l'incarico affidatogli per la compera di un mazzo di mughetti, il suo ritorno all'estremità superiore del passaggio, la cosa vista nel passaggio, il suo sospetto circa Seymour e la sua lotta con Bruno. Ma potè dare poche spiegazioni artistiche circa la nera figura che egli e Seymour avevano visto. Richiesto circa il contorno di tale figura, rispose di non essere un critico di arte, con troppo evidente allusione canzonatrice a Seymour. Richiesto se si trattasse di uomo o di donna, disse che gli sembrò invece una bestia, con un accenno d'ira troppo evidente contro il detenuto.
L'uomo era evidentemente così scosso dal dolore e da profonda collera, che Cowdray prontamente lo dispensò dal confermare fatti che erano già abbastanza chiari.
Anche il difensore fu egualmente breve nelle sue contestazioni benchè, secondo il suo costume, pure essendo breve, paresse che ad esser breve impiegasse molto tempo.
— Voi avete usato una espressione caratteristica – disse guardando sonnolentemente Cutler. – Che cosa intendete dicendo che pareva più una bestia che un uomo o una donna?
Cutler sembrò profondamente agitato.
— Forse non dovevo esprimermi così – egli disse. – Mi pareva un bruto con smisurate spalle gobbe, come uno scimpanzè, e setole irsute sulla testa come un porco.
Mister Butler tagliò corto a quella curiosa impazienza.
— Non importa che i suoi capelli fossero come di un porco – egli disse. – Erano di donna?
— Di una donna! – esclamò il soldato. – Grande Scott, no!
— L'ultimo testimone così disse – commentò il difensore con poco scrupolosa rapidità. – E la figura aveva qualcuna di quelle serpentine e quasi femminili curve alle quali è stata fatta eloquente allusione? No? Non curve femminili? La figura, se ben comprendo, era invece piuttosto pesante, e quadrata?
— Può darsi che fosse piegata in avanti – disse Cutler, con voce rauca e piuttosto fioca.
— O può darsi che non lo fosse – disse Mister Butler, e subito sedette per la seconda volta.
Terzo testimonio chiamato da Sir Walter Cowdray, fu il piccolo prete Cattolico così piccolo, in confronto degli altri, che la sua testa pareva appena arrivare al banco, così che sembrava che si interrogasse un bambino. Ma sfortunatamente Sir Walter si era in qualche modo ficcato in testa (forse per qualche preconcetto e influsso della religione della sua famiglia) che Padre Brown tenesse dalla parte del detenuto, perchè il detenuto era malvagio e forestiero ed anche in parte d'origine negra. Perciò egli interrogava Padre Brown di colpo, ogni qualvolta il prete cercava di spiegare un particolare, e gl'imponeva recisamente di rispondere sì o no e di precisare i semplici fatti senza giri viziosi di parole.
Quando Padre Brown cominciò, nella sua semplicità, a dire chi egli pensava fosse l'uomo lungo il passaggio, il magistrato disse che non aveva bisogno delle sue teorie.
— Una forma nera fu veduta nel passaggio. E voi dite che vedeste la forma nera. Bene, che forma aveva?
Padre Brown battè le palpebre come per una sgridata, ma avvezzo a una lunga e scrupolosa obbedienza rispose:
— Era una forma corta e stretta, ma con due acute sporgenze nere in alto sopra ciascun lato della testa o parte superiore, come di corna, e...
— Oh! certo il diavolo con le corna – proruppe Cowdray, e sedette, con trionfante giocondità. – Il diavolo veniva a divorare i protestanti.
— No – rispose il prete, impassibilmente. – Io so chi era.
Tutti, nella Corte, erano eccitati da un irragionevole ma reale senso di attesa di qualche mostruosità. Essi avevano dimenticata la figura nel banco degli accusati e pensavano solamente alla figura del passaggio descritta da tre abili e rispettabili uomini che l'avevano tutti vista e che era un mutevole sogno; uno la chiamava una donna, un altro una bestia, ed un altro un diavolo...
Il Giudice guardò Padre Brown con occhi fissi e penetranti.
— Voi siete il più straordinario testimonio – egli disse. – Ma vi è qualcosa in voi che mi costringe a pensare che cercate di dire la verità. Bene, chi era l'uomo che vedeste nel passaggio?
— Ero io stesso – disse Padre Brown.
Butler K. C. sorse tranquillamente in piedi:
— Vostra signoria – disse con molta calma – mi permette di interrogarla?
E subito, senza attendere, lanciò a Brown una domanda che pareva non avesse alcuna connessione con l'argomento.
— Voi avete udito di questo pugnale: sapete che i periti hanno detto che il delitto fu commesso con una lama corta.
— Una lama corta – assentì Brown chinando la testa solennemente come un barbagianni – ma dall'impugnatura molto lunga.
Prima che l'uditorio potesse del tutto scacciare l'idea che il prete avesse realmente visto se stesso far l'assassino con un corto pugnale dalla lunga impugnatura, il che sembrava rendere il fatto alquanto più orribile, padre Brown si affrettò a spiegare:
— Intendo dire che i pugnali non sono le sole armi a lama corta. Anche le lance hanno la lama corta, soprattutto quelle lance di fantasia che usano in teatro: come la lancia con la quale il povero vecchio Parkinson ammazzò sua moglie, proprio quando essa mi aveva mandato a chiamare per comporre le loro liti famigliari... Io giunsi troppo tardi. Egli non avrebbe potuto sopportare il rimorso del delitto commesso.
Fu impressione generale, nella corte, che il piccolo prete che aveva così frettolosamente parlato, fosse, alla lettera, impazzito sul banco dei testimoni. Ma il Giudice lo guardò tranquillamente con lucidi e fissi occhi di interessamento, e la difesa intervenne con le sue sicure domande:
— Se Parkinson ha fatto ciò con questa lancia da pantomina, egli deve aver colpito alla distanza di quattro metri circa. Come spiegate dunque le tracce di lotta, quale, per esempio, il vestito lacerato sulla spalla?
Egli sbagliava, interrogando un semplice testimonio su questioni che riguardavano i periti: ma in quel momento nessuno ci badò.
— Il vestito della povera signora – disse il testimone – si strappò perchè fu preso nello spigolo di una tavola che sporgeva appunto dietro di lei. Mentre essa lottava per liberarsi, Parkinson venne fuori dalla camera del detenuto e vibrò il colpo della lancia.
— Una tavola? – ripetè l'uomo della legge, con voce piena di curiosità.
— Era uno specchio posto all'altro lato – spiegò Padre Brown. – Quand'ero nel gabinetto da toilette, io osservai come qualche specchio si sarebbe potuto spostare sino ad ostacolare il passaggio.
Seguì un altro grande e strano silenzio:
— Dunque – interrogò ancora il giudice – in realtà, voi intendete dire che quando guardaste in fondo a questo passaggio l'uomo che vedeste eravate voi stesso... in uno specchio?
— Sì, signore: questo volevo dire – fece Brown – ma siccome mi domandavano dell'ombra, ed i nostri cappelli hanno delle ali sporgenti appunto come corni, così io...
Il giudice si chinò in avanti, con i suoi vecchi occhi divenuti più brillanti, e accentuando le parole, disse:
— Voi realmente intendete dire che quando Sir Wilson Seymour vide quel.... come lo chiamate, con curve e con capelli di donna e calzoni lunghi da uomo, ciò che egli vide era Sir Wilson Seymour in persona?
— Sì, signore – rispose Padre Brown.
— E voi intendete dire che quando il Capitano Cutler vide quello scimpanzè con le spalle gobbe e con le setole di porco, egli vide semplicemente se stesso?
— Sì, signore.
Il Giudice si abbandonò nella sua poltrona con un'aria di soddisfazione nella quale era difficile separare il cinismo dall'ammirazione.
— E potete dirci – egli chiese – come mai abbiate potuto riconoscere la vostra figura nello specchio, mentre due persone così distinte non lo hanno potuto?
Padre Brown battè le palpebre più lentamente di prima e mormorò:
— In realtà, signor mio, non so... a meno che non sia perchè io non mi guardo tanto spesso nello specchio.