La scienza moderna e l'anarchia/Parte prima/VII

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La funzione della legge nella società

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La funzione della legge nella società
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Spencer non fu, del resto, solo a cadere in questi errori. Fedele a Hobbes, tutta la filosofia del secolo XIX, continuò a considerare i popoli primitivi come branchi di bestie feroci, che vivevano in piccole famiglie isolate e si battevano contendendosi i cibi e le femmine, fino a che un'autorità benefattrice non venne a stabilirsi in mezzo a loro per imporre la pace. Perfino un naturalista, come Huxley, continuava a ripetere la stessa asserzione fantastica di Hobbes, e dichiarava, nel 1885, che, in principio, gli uomini vivevano lottando «ciascuno contro tutti», finchè grazie a qualche individuo superiore dell'epoca, «la prima società fu fondata». (Vedere il suo articolo: La lotta per l'esistenza, legge di natura1). Così, anche uno scienziato darwinista, quale era Huxley, non dubitava affatto che, lungi dall'essere stata fondata dall'uomo, la società esisteva ben prima di lui fra gli animali. Tanta è la forza d'un pregiudizio radicato!

Se si cerca di rifare la storia di questo pregiudizio, ci si accorge facilmente che la sua origine risale alle religioni, alle chiese. Le società segrete di stregoni, d'astrologhi, di maghi – i preti assiri ed egiziani e, più tardi, i preti cristiani – hanno sempre cercato di persuadere gli uomini che «il mondo è caduto nel peccato»; che soltanto il benevolo intervento dello stregone, del santo o del prete impedisce alla forza del Male d'impadronirsi dell'uomo; che essi soli possono ottenere da una divinità vendicativa di non gettar l'uomo in un mare di guai, a punizione dei suoi peccati.

Certo il cristianesimo primitivo cercò di attenuare questo pregiudizio concernente il prete; ma poi la Chiesa, basandosi sulle parole stesse del Vangelo circa il «fuoco eterno», non fece che rinforzarlo. Anche l'idea d'un figlio di dio, venuto a morire sulla terra per espiare i peccati dell'umanità, venne a confermare il medesimo pregiudizio. E fu precisamente ciò che permise più tardi alla «Santa Inquisizione» di far subire alle sue vittime le più orribili torture e di bruciarle a fuoco lento: essa offriva loro in tal modo un mezzo di pentirsi per salvarsi dalla dannazione eterna. Del resto, non fu solo la Chiesa cattolica a far così: tutte le Chiese cristiane, fedeli al medesimo principio, rivalizzarono tra loro nell'inventare nuove sofferenze e nuovi terrori, per correggere gli uomini impegolati nel «vizio». Fino ad oggi, novecentonovantanove persone su mille credono ancora che gli accidenti naturali – la siccità, i terremoti, le epidemie – sono mandati dall'alto, da una divinità qualsiasi, per ricondurre l'umanità peccatrice sul retto cammino.

Nel tempo stesso, lo Stato, nelle scuole e nelle università, manteneva e continua a mantenere la stessa credenza nella perversità naturale dell'uomo. Provare la necessità d'una forza, posta al disopra delle società allo scopo di stabilire in essa l'elemento morale – per mezzo di punizioni inflitte ai violatori della «legge morale» (identificata con abile giuoco alla legge scritta – convincere gli uomini che questa autorità è necessaria, ecco una questione di vita o di morte per lo Stato. Perchè, se gli uomini cominciassero a dubitare della necessità di difendere i principii morali per mezzo della manforte dell'autorità, ben presto perderebbero tutta la loro fede nell'«alta missione» dei propri governanti.

Così tutta la nostra educazione religiosa, storica, giuridica, sociale è compenetrata dell'idea che l'individuo se fosse abbandonato a sè stesso, ridiverrebbe una bestia feroce. Senza l'autorità, gli uomini si mangerebbero fra loro, nè bisogna aspettarsi dalla «folla» altro che l'animalità, la guerra di ciascuno contro tutti. Questa folla umana perirebbe se non avesse sopra di sè gli eletti – il prete, il legislatore e il giudice, coi suoi aiutanti, il poliziotto e il carnefice – che impediscono questa battaglia di tutti contro tutti, allevando gli uomini nel rispetto delle leggi, insegnando loro la disciplina, e conducendoli con mano ferma verso quei tempi futuri, in cui migliori sentimenti saranno cresciuti nei «cuori induriti» e avranno reso frusta, forca e prigione meno necessarie di oggigiorno.

Noi ridiamo di quel re che, andandosene in esilio nel 1848, diceva: «Poveri miei sudditi! senza di me finiranno male!» E deridiamo il commerciante inglese, persuaso che i suoi compatrioti discendano dalla tribù perduta d'Israele, per cui sono chiamati a dare un buon governo alle «razze inferiori».

Ma forse non riscontriamo noi lo stesso apprezzamento esagerato di sè stessi in qualsiasi nazione, fra l'immensa maggioranza di coloro che sanno qualche cosa?

Eppure, lo studio scientifico dello sviluppo delle società e delle istituzioni ci conduce a conclusioni del tutto differenti. Esso ci prova che gli usi e i costumi creati dall'umanità nell'interesse del mutuo soccorso, della reciproca difesa e della pace in generale furono elaborati per l'appunto dalla «folla» anonima. E furono questi usi e costumi a permettere all'uomo, come alle specie animali esistenti ai nostri giorni, di sopravvivere nella lotta per l'esistenza.

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La scienza ci insegna che i pretesi capi, eroi e legislatori dell'umanità non hanno apportato nulla nel corso della storia, che non fosse già stato elaborato nella società dal diritto di consuetudine. I migliori fra loro non hanno fatto che formulare, sanzionare tali istituzioni. Ma un gran numero di questi pretesi benefattori hanno anche cercato in tutti i tempi, sia di distruggere quelle istituzioni derivanti dalla consuetudine che impedivano il sorgere d'una autorità personale, sia di rimaneggiare le istituzioni stesse a tutto proprio vantaggio o secondo l'interesse della loro casta.

Già, dalla più remota antichità, che si perde nelle tenebre del periodo glaciale, gli uomini vivevano in società. Ed in queste società furono elaborate tutta una serie di usanze ed istituzioni, religiosamente osservate, per rendere possibile la vita in comune. E più tardi, per tutta la durata dell'evoluzione umana, la medesima forza creatrice della folla anonima ha sempre elaborato nuove forme di vita sociale, di mutuo appoggio, di garanzie di pace, man mano che nuove condizioni si determinavano.

D'altra parte, la scienza moderna dimostra chiaramente che qualunque sia la presunta origine della legge – venga poi rappresentata come divina, o come dovuta alla sapienza di un legislatore – non ha mai fatto altra cosa che di fissare, cristallizzare, in una forma permanente, o generalizzare costumi già esistenti. Tutti i codici dell'antichità non furono che raccolte di costumi o d'usi, incisi o scritti per conservarne la lettera alle generazioni seguenti. Solamente, ogni codice aggiungeva sempre, ai costumi già generalmente in uso, alcune nuove regole fatte nell'interesse delle minoranze dei ricchi armati e battaglieri – regole che formulavano costumi nascenti d'ineguaglianza e di servaggio, vantaggiose per quelle minoranze.

«Non ammazzare», diceva per esempio la legge di Mosè, «non rubare, non dir falso testimonio». Ma a queste eccellenti regole di condotta, essa aggiungeva pure: «Non desiderare la donna del tuo vicino, nè il suo schiavo, nè il suo asino», legalizzando così per lungo tempo la schiavitù e mettendo la donna allo stesso livello d'uno schiavo o d'una bestia da soma. – «Ama il tuo prossimo», diceva più tardi il cristianesimo; ma si affrettava ad aggiungere, per bocca dell'apostolo San Paolo: «Schiavi, obbedite ai vostri padroni», e «nessuna autorità che non venga da Dio» – legittimando così, divinizzando la divisione in padroni e schiavi, e consacrando l'autorità dei furfanti che regnavano allora a Roma.

Il Vangelo stesso, sebbene abbia insegnato l'idea sublime del perdono, che è l'essenza del cristianesimo, parlò pure sempre d'un dio vendicatore, insegnando così la vendetta.

La stessa cosa si riprodusse nei codici dei cosidetti «barbari»: i galli, i longobardi, gli alemanni, i sassoni, gli slavi, dopo la caduta dell'impero romano. Questi codici legittimavano un costume, eccellente senza dubbio, che si generalizzava in quei tempi: quello di pagare un compenso per ferite e omicidii, invece di praticare la legge del taglione (occhio per occhio, dente per dente, ferita per ferita, morte per morte), che altre volte era generale. In questo modo, i codici barbari rappresentavano un progresso sulla legge del taglione che aveva regnato nella tribù. Ma nello stesso tempo stabilivano pure la divisione degli uomini liberi in classi, divisione che allora cominciava appena a disegnarsi.

Tanto di compenso, dicevano i codici, per uno schiavo (esso veniva pagato al suo padrone), tanto per un uomo libero, e tanto per un capo. In quest'ultimo caso il compenso era così alto che rappresentava per il reo la schiavitù sino alla morte. L'idea prima di queste distinzioni era, senza dubbio, che la famiglia di un principe, ucciso in una zuffa, perdeva in lui molto più che non perdesse la famiglia d'un uomo libero ordinario, in caso di morte del suo capo; per conseguenza, la prima aveva diritto, secondo la mentalità d'allora, ad un più forte compenso della seconda. Ma facendo poi una legge di questo costume, il codice stabiliva, per sempre, una divisione d'uomini in classi, e la stabiliva così bene che sinora non abbiamo ancora potuto sbarazzarcene.

E ciò si può osservare nelle legislazioni di tutti i tempi, sino ai nostri giorni: l'oppressione precedente sempre è stata trasportata, dalla legge, nelle età seguenti. L'oppressione dell'impero di Persia si trasmetteva così alla Grecia; quella della Macedonia, si trasmetteva a Roma; e l'oppressione come la crudeltà dell'impero romano e delle tirannie orientali si trasmettevano ai giovani Stati barbari in via di formazione e alla Chiesa cristiana. Per mezzo della legge, il passato incatenava l'avvenire.

Tutte le garanzie necessarie alla vita in società, tutte le forme di vita sociale nella tribù, la comunità del villaggio e la città medioevale, tutte le forme di relazioni fra le tribù e, più tardi, fra le città repubblicane che servirono poi di fondamento al diritto internazionale, tutte le forme, insomma, d'appoggio mutuo e di difesa della pace – compresi il tribunale e il giurì – furono elaborate dal genio creatore della folla anonima. Mentre tutte le leggi, dalle più antiche a quelle dei nostri giorni, si sono sempre composte di due elementi: l'uno che affermava (e immobilizzava) certe forme consuetudinarie della vita, riconosciute utili per tutti; e l'altro che rappresentava un'addizione – spesso un semplice modo insidioso di formulare il costume – che aveva per iscopo di impiantare o di consolidare l'autorità nascente del signore, del soldato, del reuncolo e del prete, di rinforzare quest'autorità e santificarla.

A queste conclusioni ci porta lo studio scientifico dello sviluppo delle società, fatto in questi ultimi quarant'anni da un gran numero di scienziati coscienziosi, che molto spesso, non osarono, è vero, formulare essi stessi conclusioni così eretiche come quelle suesposte; ma il lettore che riflette vi giunge necessariamente da sè attraverso i loro lavori.

  1. Nineteenth Century del 1885, ristampato in Essais et Adresses.