La scienza nuova seconda/Libro quarto/Sezione nona/Capitolo primo

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Sezione nona - Capitolo primo - Ragione divina e ragione di Stato

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Sezione nona - Capitolo primo - Ragione divina e ragione di Stato
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[CAPITOLO PRIMO]

[ragione divina e ragione di stato]

947Furono tre le spezie delle ragioni.

948La prima, divina, di cui Iddio solamente s’intende, e tanto ne sanno gli uomini quanto è stato loro rivelato: agli ebrei prima e poi a’ cristiani, per interni parlari, alle menti, perché voci d’un Dio tutto mente; ma con parlari esterni, cosí da’ profeti, come da Gesú Cristo agli appostoli, e da questi palesati alla Chiesa; — a’ gentili, per gli auspici, per gli oracoli ed altri segni corporei creduti divini avvisi, perché creduti venire dagli dèi, ch’essi gentili credevano esser composti di corpo. Talché in Dio, ch’è tutto ragione, la ragion e l’autoritá è una medesima cosa; onde nella buona teologia la divina autoritá tiene lo stesso luogo che di ragione. Ov’è da ammirare la provvedenza, che, ne’ primi tempi che gli uomini del gentilesimo non intendevan ragione (lo che sopra tutto dovett’essere nello stato delle famiglie), permise loro ch’entrassero nell’errore di tener a luogo di ragione l’autoritá degli auspíci e co’ creduti divini consigli di quelli si governassero, per quella eterna propietá: ch’ove gli uomini nelle cose umane non vedon ragione, e molto piú se la vedon contraria, s’acquetano negl’imperscrutabili consigli che si nascondono nell’abisso della provvedenza divina.


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949La seconda fu la ragion di Stato, detta da’ romani «civilis aequitas», la quale Ulpiano tralle Degnitá sopra ci diffiní da ciò ch’ella non è naturalmente conosciuta da ogni uomo, ma da pochi pratici di governo, che sappian vedere ciò ch’appartiensi alla conservazione del gener umano. Della quale furono naturalmente sappienti i senati eroici, e sopra tutti fu il romano sappientissimo ne’ tempi della libertá cosí aristocratica, ne’ quali la plebe era affatto esclusa di trattar cose pubbliche, come della popolare, per tutto il tempo che ’l popolo nelle pubbliche faccende si fece regolar dal senato, che fu fin a’ tempi de’ Gracchi.