La società dello spettacolo/Capitolo IV

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4. IL PROLETARIATO COME SOGGETTO E COME RAPPRESENTAZIONE

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Guy Debord - La società dello spettacolo (1967)
Traduzione dal francese di Pasquale Stanziale (XX secolo)
4. IL PROLETARIATO COME SOGGETTO E COME RAPPRESENTAZIONE
Capitolo III Capitolo V

"L'uguale diritto di tutti ai beni e alle gioie di questo mondo, la distruzione di ogni autorità, la negazione di ogni freno morale, ecco, se si scende alla radice delle cose, la ragione d'essere dell'insurrezione del 18 marzo e il proclama della temibile associazione che le ha fornito un esercito." Inchiesta parlamentare sull'insurrezione del 18 marzo.


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Il movimento reale che sopprime le condizioni esistenti governa la società a partire dalla vittoria della borghesia nell'economia, e visibilmente dopo la traduzione politica di questa vittoria. Lo sviluppo delle forze produttive ha fatto saltare i vecchi rapporti di produzione, e ogni ordine statico si riduce in polvere. Tutto ciò che era assoluto diviene storico.


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Gettati nella storia, dovendo partecipare al lavoro e alle lotte che la costituiscono, gli uomini si vedono costretti a riflettere sui loro reciproci rapporti in modo disingannato. Questa storia non ha oggetto distinto da ciò che realizza su se stessa, sebbene l'ultima visione metafisica inconscia dell'epoca storica possa considerare la progressione produttiva, attraverso la quale la storia si è sviluppata, come l'oggetto stesso della storia. Il soggetto della storia non può essere che il vivente producente se stesso, che si fa signore e padrone del suo mondo che è la storia, e che esiste come coscienza del suo gioco.


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Come un'unica corrente si sviluppano le lotte di classe della lunga epoca rivoluzionaria inaugurata dall'ascesa della borghesia, e il pensiero della storia, la dialettica, il pensiero che non si arresta più alla ricerca del senso dell'essere, ma si eleva alla conoscenza della dissoluzione di tutto ciò che è, e nel movimento dissolve ogni divisione.


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Hegel non aveva più da interpretare il mondo, ma la sua trasformazione. Interpretandone soltanto la trasformazione, Hegel non rappresenta altro che il compimento filosofico della filosofia. Egli vuole comprendere un mondo che si fa da sé. Questo pensiero storico non è altro che la coscienza, che arriva sempre troppo tardi e che enuncia la giustificazione post festum. Così, essa non ha superato la divisione che nel pensiero. Il paradosso che consiste nel sospendere il senso di ogni realtà al suo compimento storico, e nel rivelare nello stesso tempo questo senso come costituentesi in se stesso come compimento della storia, deriva dal semplice fatto che il pensatore delle rivoluzioni borghesi del XVII e XVIII secolo non ha cercato nella sua filosofia che la riconciliazione con i loro risultati. «Anche come filosofia della rivoluzione borghese, essa non esprime tutto il processo di questa rivoluzione, ma soltanto la sua conclusione ultima. In questo senso, essa è una filosofia non della rivoluzione ma della restaurazione» (Karl Korsch, Tesi su Hegel e la rivoluzione). Hegel per l'ultima volta ha fatto il lavoro del filosofo, «la glorificazione di ciò che esiste»; ma già ciò che esisteva per lui non poteva essere ormai che la totalità del movimento storico. Essendo di fatto mantenuta la posizione esterna del pensiero, questa non poteva essere mascherata che con la sua identificazione a un progetto preliminare dello Spirito, eroe assoluto che ha fatto ciò che ha voluto e ha voluto ciò che ha fatto, e il cui adempimento coincide con il presente. Così, la filosofia che muore nel pensiero della storia non può glorificare il proprio mondo che rinnegandolo, perché per prendere la parola ha essa ha bisogno di supporre già finita questa storia totale cui ricondotto ogni cosa e chiusa la sessione dell'unico tribunale cui possa essere emessa la sentenza della verità.


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Quando il proletariato dimostra con la propria esistenza in atto che questo pensiero della storia non si è dimenticato, la smentita della conclusione è anche la conferma del metodo.


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Il pensiero della storia non può essere salvato che divenendo pensiero pratico; e la prassi del proletariato come classe rivoluzionaria non può essere meno della coscienza storica operante sulla totalità del mondo. Tutte le correnti teoriche del movimento operaio rivoluzionario sono uscite da uno scontro critico con il pensiero hegeliano, in Marx come in Stirner e in Bakunin.


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Il carattere inseparabile della teoria di Marx e del metodo hegeliano è a sua volta inseparabile dal carattere rivoluzionario di questa teoria, cioè dalla sua verità. E' in ciò che questa relazione fondamentale è stata generalmente ignorata o mal compresa, o ancora denunciata come il punto debole di ciò diveniva fallacemente una dottrina marxista. Bernstein, in Socialismo teorico e socialdemocrazia pratica, rivela perfettamente questo legame del metodo dialettico e della presa di partito storica, quando deplora le previsioni poco scientifiche del Manifesto del 1847 sull'imminenza della rivoluzione proletaria in Germania: «Questa autosuggestione storica, talmente erronea che il primo venuto dei visionari politici non avrebbe quasi trovato di meglio, sarebbe incomprensibile in un Marx, che a quell'epoca aveva già seriamente studiato l'economia, se non si dovesse vedere in essa il prodotto di un residuo della dialettica antitetica hegeliana, di cui Marx, non più di Engels, non è mai riuscito completamente a disfarsi. In quei tempi di effervescenza generale, ciò gli è stato tanto più fatale».


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Il rovesciamento che Marx opera con un «salvataggio per trasferimento» del pensiero delle rivoluzioni borghesi non consiste nel rimpiazzare volgarmente, con lo sviluppo materialistico delle forze produttive, il percorso dello Spirito hegeliano che va incontro a se stesso nel tempo, con la sua oggettivazione identica alla sua alienazione e le sue ferite storiche che non lasciano cicatrici. La storia divenuta reale non ha più fine. Marx ha distrutto la posizione separata di Hegel di fronte a ciò che avviene e la contemplazione di un superiore agente esterno, qualunque esso sia. La teoria non ha altro da sapere che ciò che fa. Al contrario, è la contemplazione del movimento dell'economia, nel pensiero dominante della società attuale, l'eredità non rovesciata della parte non-dialettica nel tentativo hegeliano di un sistema circolare; E un consenso che ha perduto la dimensione del concetto e che non ha più bisogno di un hegelismo per giustificarsi, perché il movimento che si tratta di lodare non è più che un settore senza pensiero del mondo, il cui sviluppo meccanico domina effettivamente il tutto. Il progetto di Marx è quello di una storia cosciente, li quantitativo, che sopraggiunge nello sviluppo cieco delle forze produttive semplicemente economiche deve trasformarsi in appropriazione storica qualitativa. La critica dell'economia politica è il primo atto di questa fine della preistoria: «Di tutti gli strumenti della produzione, il più grande potere produttivo è la classe rivoluzionaria stessa».


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Ciò che lega strettamente la teoria di Marx al pensiero scientifico, è la comprensione razionale delle forze che operano realmente nella società. Ma si tratta fondamentalmente di un al di là del pensiero scientifico, dove questo viene conservato in quanto superato; si tratta di una comprensione della lotta e non della legge. «Noi non conosciamo che una scienza sola: la scienza della storia», si dice ne L'ideologia tedesca.


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L'epoca borghese, che vuole fondare scientificamente la storia, trascura il fatto che questa scienza disponibile avrebbe dovuto piuttosto essere essa stessa fondata storicamente con l'economia. Inversamente, la storia dipende radicalmente da questa conoscenza solo in quanto questa stessa storia resta storia economica. Quanto la parte della storia nell'economia stessa - il processo globale che modifica i propri dati scientifici di base - abbia potuto essere trascurata dal punto di vista dell'osservazione scientifica, è d'altra parte ben dimostrato dalla vanità dei calcoli socialisti che credevano di aver stabilito l'esatta periodicità delle crisi; e da quando l'intervento costante dello Stato è riuscito a compensare l'effetto delle tendenze verso la crisi, lo stesso tipo di ragionamento vede in questo equilibrio un'armonia economica definitiva. Se il progetto del superamento dell'economia, il progetto della presa di possesso della storia, deve conoscere - e riportare a sé - la scienza della società, non può essere esso stesso scientifico. In quest'ultimo movimento che crede di dominare la storia presente attraverso una conoscenza scientifica, il punto di vista rivoluzionario è rimasto borghese.


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Le correnti utopistiche del socialismo, benché fondate esse stesse storicamente sulla critica dell'organizzazione sociale esistente, possono essere giustamente qualificate come utopistiche nella misura in cui rifiutano la storia - vale a dire la lotta reale in corso, come anche il movimento del tempo al di là della perfezione immutabile della loro immagine di una società felice - ma non perché rifiutino la scienza. I pensatori utopisti sono al contrario completamente dominati dal pensiero scientifico, quale si era imposto nei secoli precedenti. Essi cercano il perfetto compimento di questo sistema razionale generale: non si considerano affatto dei profeti disarmati, perché credono al potere sociale della dimostrazione scientifica e anche, nel caso del sansimonismo, alla presa del potere da parte della scienza. In che modo, dice Sombart, «si vorrebbe conquistare con le lotte ciò che deve essere provato?». Tuttavia la concezione scientifica degli utopisti non si estende fino alla conoscenza del fatto che alcuni gruppi sociali hanno degli interessi in una data situazione, delle forze per conservarla e anche delle forme di falsa coscienza corrispondenti a tali posizioni. Essa dunque resta molto al di qua della realtà storica dello sviluppo della scienza stessa, che in gran parte si è trovata orientata dalla domanda sociale derivata da tali fattori, la quale seleziona non solo ciò che può essere ammesso, ma anche ciò che può essere ricercato. I socialisti utopisti, rimasti prigionieri della forma espositiva della verità scientifica, concepiscono questa verità secondo la sua pura immagine astratta, come l'aveva vista imporsi uno stadio molto anteriore della società. Come rilevava Sorel, è sul modello dell'astronomia che gli utopisti pensano di scoprire e di dimostrare le leggi della società. L'armonia da loro pensata, ostile alla storia, deriva dal tentativo di applicare alla società la scienza meno dipendente dalla storia. Essa tenta di farsi riconoscere con la stessa innocenza sperimentale del newtonismo e il destino felice costantemente postulato «gioca nella loro scienza sociale un ruolo analogo a quello che si rifà dell'inerzia nella meccanica razionale» (Materiali per una teoria del proletariato).


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L'aspetto deterministico-scientifico del pensiero di Marx costituì la breccia attraverso la quale penetrò il processo di ideologizzazione, quando egli era vivo, e ancor di più nell'eredità teorica lasciata al movimento operaio. L'avvento del soggetto della storia è ancora una volta rinviato a più tardi ed è la scienza storica per eccellenza, l'economia, che tende, sempre più ampiamente, a garantire la necessità della propria negazione futura. Ma così viene esclusa dal campo della visione teorica la pratica rivoluzionaria che è la sola verità di questa negazione. Così è importante studiare pazientemente lo sviluppo economico e ammettere ancora, con tranquillità hegeliana, il dolore, ciò che nel suo risultato resta un «cimitero di buone intenzioni». Ora si scopre che, secondo la scienza delle rivoluzioni, la coscienza arriva sempre troppo presto e dovrà essere insegnata. «La storia ci ha dato torto, a noi e a tutti quelli che pensavano come noi. Essa ha mostrato chiaramente che lo stato di sviluppo economico sul continente era allora ben lontano dall'essere maturo...», dirà Engels nel 1895. Per tutta la vita, Marx ha conservato il punto di vista unitario della propria teoria, ma l'esposizione di tale teoria si è spostata sul terreno del pensiero dominante, precisandosi sotto forma di critica di discipline particolari, specialmente di critica della scienza fondamentale della società borghese, l'economia politica. E questa mutilazione, ulteriormente accettata come definitiva, che ha costituito il «marxismo».


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I limiti della teoria di Marx sono naturalmente i limiti della lotta rivoluzionaria del proletariato della sua epoca. La classe operaia non ha decretato la rivoluzione permanente nella Germania del 1848; la Comune è stata vinta nell'isolamento. La teoria rivoluzionaria non può dunque ancora pervenire alla propria esistenza totale. Essere ridotti a difenderla e a precisarla nella divisione erudita del lavoro, al British Museum, implicava una perdita nella teoria stessa. E sono proprio le giustificazioni scientifiche tratte sull'avvenire dello sviluppo della classe operaia, e la pratica organizzativa combinata con queste giustificazioni, che si sarebbero trasformate in ostacoli per la coscienza proletaria in uno stadio più avanzato.


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Tutta l'insufficienza teorica nella difesa scientifica della rivoluzione proletaria può essere ricondotta, per il contenuto come per la forma dell'esposizione, a un'identificazione del proletariato con la borghesia dal punto di vista della conquista rivoluzionaria del potere.


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La tendenza a fondare una dimostrazione della legittimità scientifica del potere proletario sulla testimonianza di esperimenti ripetuti nel passato ha oscurato, dai tempi del Manifesto, il pensiero storico di Marx, facendogli sostenere un'immagine lineare dello sviluppo dei modi di produzione, originato da lotte di classi che finirebbero ogni volta «o per una trasformazione rivoluzionaria della società intera o con la distruzione comune delle classi in lotta». Ma nella realtà osservabile della storia, come «il modo di produzione asiatico» - constatava Marx altrove - ha conservato la sua immobilità a dispetto di tutti gli scontri di classe, così le jacqueries dei servi non hanno mai sconfitto i baroni, né le rivolte degli schiavi dell'antichità gli uomini liberi. Lo schema lineare perde di vista anzitutto il fatto che la borghesia è la sola classe rivoluzionaria che sia mai stata vincitrice; e nel contempo che essa è la sola classe per la quale lo sviluppo dell'economia sia stato causa e conseguenza del dominio da essa conquistato sulla società. La stessa semplificazione ha condotto Marx a sottovalutare il ruolo economico dello Stato nella gestione di una società di classe. Se l'ascesa della borghesia si è mostrata come un affrancamento dell'economia dallo Stato, è solo nella misura in cui lo Stato antico si confondeva con lo strumento di un'oppressione di classe in un'economia statica. La borghesia ha sviluppato la propria potenza economica autonoma nel periodo medievale di indebolimento dello Stato, nel momento della frammentazione feudale dell'equilibrio dei poteri. Ma lo Stato moderno che, con il mercantilismo, ha cominciato ad appoggiare lo sviluppo della borghesia, e che è infine diventato il suo Stato ali'insegna del «laisser faire, laisser passer» si rivela ulteriormente dotato di una potenza centrale nella gestione calcolata del processo economico. D'altra parte Marx aveva potuto descrivere, nel bonapartismo, l'abbozzo della burocrazia statale moderna, fusione di Stato e di capitale, costituzione di un «potere nazionale del capitale sul lavoro, d'una forza pubblica organizzata per l'asservimento sociale» in cui la borghesia rinuncia ad ogni vita storica, che non sia la sua riduzione alla storia economica delle cose, e accetta di «essere condannata allo stesso nulla politico delle altre classi». Qui sono già poste le basi socio-politiche dello spettacolo moderno, che in negativo definisce il proletariato come solo pretendente alla vita storica.


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Le due sole classi, che corrispondono effettivamente alla teoria di Marx, le due classi pure verso le quali conduce ogni analisi nel Capitale, la borghesia e il proletariato, sono anche le due sole classi rivoluzionarie della storia, ma a condizioni differenti: la rivoluzione borghese è compiuta; la rivoluzione proletaria è un progetto, nato sulla base della precedente rivoluzione, ma ne differisce qualitativamente. Col trascurare l'originalità del ruolo storico della borghesia, si maschera l'originalità concreta di questo progetto proletario che non può arrivare a nulla se non apportando i propri colori e riconoscendo «l'immensità dei propri compiti». La borghesia è giunta al potere perché è la classe dell'economia in sviluppo. Il proletariato non può essere esso stesso il potere se non diventando la classe della coscienza. Il maturare delle forze produttive non può garantire un tale potere, neanche attraverso l'alternativa dell'aumento di espropriazione che esso comporta. La conquista giacobina dello Stato non può essere il suo strumento. Nessuna ideologia può servirgli a trasformare dei fini parziali in fini generali, perché non può conservare nessuna realtà parziale che gli sia effettivamente propria.


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Se Marx, in un periodo determinato della sua partecipazione alla lotta del proletariato, si era aspettato troppo dalla previsione scientifica, al punto di creare la base intellettuale delle illusioni dell'economicismo, si sa anche che non vi soccombette personalmente. In una nota lettera del 7 dicembre 1867, accompagnando un articolo in cui egli stesso criticava Il Capitale, articolo che Engels dovette far passare alla stampa come se fosse stato scritto da un avversario, Marx ha esposto chiaramente i limiti della propria scienza: «...la tendenza soggettiva dell'autore - egli era legato e obbligato a essa forse dalla sua posizione di partito e dal suo passato - vale a dire la maniera in cui presenta a sé o agli altri il risultato finale dell'odierno movimento, dell'odierno processo sociale, non ha nulla affatto a che vedere col suo sviluppo effettivo» 1. Così Marx, denunciando egli stesso le «conclusioni tendenziose» della sua analisi obiettiva, e con l'ironia del «forse» relativa alle scelte extrascientifiche che gli sarebbero state imposte, mostra nel contempo la chiave metodologica della fusione dei due aspetti.


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E' nella stessa lotta storica che bisogna realizzare la fusione della conoscenza e dell'azione, in modo tale che ognuno di questi termini riponga nell'altro la garanzia della propria verità. La costituzione della classe proletaria in soggetto rappresenta l'organizzazione delle lotte rivoluzionarie e l'organizzazione della società nel momento rivoluzionario: è qui che devono esistere le condizioni pratiche della coscienza, nelle quali si conferma la teoria della prassi divenendo teoria pratica. Tuttavia, tale questione centrale dell'organizzazione è stata la meno considerata dalla teoria rivoluzionaria all'epoca in cui si fondava il movimento operaio, cioè quando questa teoria ancora possedeva il carattere unitario derivante dal pensiero della storia (e che essa si era appunto assegnata il compito di sviluppare fino ad una unitaria pratica storica). E' al contrario il luogo dell'inconseguenzadi questa teoria, che ammette la ripresa di metodi di applicazione statali e gerarchici derivati dalla rivoluzione borghese. Le forme di organizzazione del movimento operaio, sviluppate sulla base di questa rinuncia della teoria, hanno di ritorno teso ad impedire la conservazione di una teoria unitaria, dissolvendola in diverse conoscenze specializzate e parcellari. Questa alienazione ideologica della teoria non può più quindi riconoscere la verifica pratica del pensiero storico che essa ha tradito, quando questa verifica sorge dalla lotta spontanea degli operai: essa può solo concorrere a reprimere la manifestazione e la memoria. Al contrario, queste forme storiche apparse nella lotta costituiscono il milieu pratico che mancava alla teoria per essere vera. Esse sono un'esigenza della teoria, ma che non era stata formulata teoricamente. Il soviet non era una scoperta della teoria. E già prima, la più alta verità teorica dell'Associazione internazionale dei lavoratori era la sua stessa esistenza messa in pratica.


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I primi successi della lotta portarono l'Internazionale ad affrancarsi dalle influenze confuse dell'ideologia dominante che sussistevano in essa. Ma la disfatta e la repressione che incontrò subito, fecero passare in primo piano il conflitto tra due concezioni della rivoluzione proletaria, che contengono entrambe una dimensione autoritaria, nella quale l'autoemancipazione cosciente della classe viene abbandonata. In effetti, la querelle divenuta irriconciliabile fra marxisti e bakunisti era duplice, riguardando contemporaneamente il potere nella società rivoluzionaria e l'organizzazione presente del movimento, e passando dall'uno all'altro di questi aspetti, le posizioni degli avversari si ribaltavano. Bakunin combatteva l'illusione di un'abolizione delle classi attraverso l'uso autoritario del potere statale, prevedendo il ricostituirsi di una classe dominante burocratica e la dittatura dei più saggi, o di quelli che sarebbero stati ritenuti tali. Marx, convinto che il maturarsi inseparabile delle contraddizioni economiche e dell'educazione democratica degli operai avrebbe ridotto il ruolo di uno Stato proletario a una semplice fase di legalizzazione dei nuovi rapporti sociali che si sarebbero imposti oggettivamente, denunciava in Bakunin e nei suoi partigiani l'autoritarismo di un'élite cospirativa che si era deliberatamente posta al di sopra dell'Internazionale e concepiva lo stravagante disegno di imporre alla società la dittatura irresponsabile dei più rivoluzionari, o di coloro che da se stessi si sarebbero designati come tali. Bakunin in effetti reclutava i suoi partigiani nel quadro di una tale prospettiva: «Piloti invisibili nel cuore della tempesta popolare, noi dobbiamo dirigere, non con un potere visibile, ma attraverso la dittatura collettiva di tutti gli alleati. Dittatura senza fascia, senza titolo, senza diritto ufficiale, e tanto più potente in quanto non avrà alcuna delle apparenze del potere». Così si sono opposte due ideologie della rivoluzione operaia, contenenti ognuna una critica parzialmente vera, ma perdendo l'unità del pensiero della storia e istituendosi esse quali autorità ideologiche. Organizzazioni potenti, come la socialdemocrazia tedesca e la Federazione anarchica iberica, hanno fedelmente servito o l'una o l'altra di queste ideologie, e dappertutto il risultato è stato assai diverso da quello che si era voluto.


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Il fatto di considerare il fine della rivoluzione proletaria come immediatamente presente, costituisce contemporaneamente la grandezza e la debolezza della lotta anarchica reale (perché nelle sue varianti individualistiche, le pretese dell'anarchismo restano derisorie). Del pensiero storico delle moderne lotte di classe, l'anarchia collettivistica mantiene esclusivamente la conclusione, e la sua esigenza assoluta di tale conclusione si traduce ugualmente nel disprezzo deliberato del metodo. Così la sua critica della lotta politica è rimasta astratta, mentre la scelta stessa della lotta economica non viene affermata che in funzione dell'illusione di una soluzione definitiva, strappata con un sol colpo su questo terreno, nel giorno dello sciopero generale o dell'insurrezione. Gli anarchici hanno un ideale da realizzare. L'anarchia è la negazione ancora ideologica dello Stato e delle classi, cioè delle condizioni sociali stesse dell'ideologia separata. E' l'ideologia della pura libertà che tutto uguaglia e che rifiuta ogni idea di male storico. Questo punto di vista della fusione di tutte le esigenze parziali ha dato all'anarchia il merito di rappresentare il rifiuto di tutte le condizioni esistenti per la totalità della vita, e non nell' ambito di una specializzazione critica privilegiata: ma il fatto di considerare questa fusione in assoluto, secondo il capriccio individuale, prima della sua realizzazione effettiva, ha d'altra parte condannato l'anarchismo a un'incoerenza troppo facilmente contestabile. L'anarchismo non ha che da ripetere, e rimettere in gioco in ogni lotta, la sua stessa semplice conclusione totale, perché questa prima conclusione era fin dall'origine identificata con il risultato integrale del movimento. Bakunin poteva dunque scrivere nel 1873, abbandonando la Federazione del Giura: «Negli ultimi nove anni si sono sviluppate in seno all'Internazionale molte più idee di quante ne servirebbero per salvare il mondo, se le sole idee potessero salvarlo, e sfido chiunque a inventarne una nuova. Non è più tempo per le idee, ma per i fatti e le azioni». Senza dubbio questa concezione conserva del pensiero storico del proletariato la certezza che le idee devono divenire pratica, ma essa abbandona il terreno storico supponendo che le forme adeguate di questo passaggio alla pratica siano già state trovate e non cambieranno più.


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Gli anarchici, che si distinguono esplicitamente dall'insieme del movimento operaio per la loro convinzione ideologica, riproducono al proprio interno questa separazione delle competenze, fornendo un terreno favorevole al dominio informale, su ogni organizzazione anarchica, dei propagandisti e difensori della propria ideologia, specialisti in genere tanto più mediocri, in quanto la loro attività intellettuale si propone principalmente la ripetizione di alcune verità definitive. Il rispetto ideologico dell'unanimità della decisione ha favorito piuttosto l'attività incontrollata, nella stessa organizzazione, degli specialisti della libertà; e l'anarchismo rivoluzionario si aspetta dal popolo liberato lo stesso genere di unanimità, ottenuto con gli stessi mezzi. E d'altra parte, il rifiuto di considerare l'opposizione di condizioni tra una minoranza, riunita nella lotta attuale, e la società degli individui liberi, ha nutrito una divisione permanente degli anarchici nel momento della decisione comune, come dimostra l'esempio di un gran numero di insurrezioni anarchiche in Spagna, circoscritte e soffocate sul piano locale.


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L'illusione mantenuta più o meno esplicitamente nell'anarchismo autentico è quella dell'imminenza permanente di una rivoluzione che dovrà dare ragione all'ideologia, e al modo d'organizzazione pratico derivato dall'ideologia, compiendosi istantaneamente. Nel 1936 l'anarchismo ha realmente condotto una rivoluzione sociale e l'abbozzo, il più avanzato che mai si sia visto, di un potere proletario. In questa circostanza bisogna ancora notare, da una parte, che il segnale di un'insurrezione generale era stato imposto dal pronunciamento dell'esercito. E d'altra parte, nella misura in cui questa rivoluzione non era stata completata nei primi giorni, dato che esisteva un potere franchista nella metà del paese, appoggiato fortemente dall'estero allorché il resto del movimento proletario internazionale era già vinto, e dato che sopravvivevano nel campo della Repubblica delle forze borghesi o altri partiti operai statalisti, il movimento anarchico organizzato si è dimostrato incapace di estendere le mezze-vittorie della rivoluzione e anche solo di difenderle. I suoi capi riconosciuti sono divenuti ministri, e ostaggi dello Stato borghese che distruggeva la rivoluzione per perdere la guerra civile.


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Il «marxismo ortodosso» della Seconda internazionale è l'ideologia scientifica della rivoluzione socialista, che identifica ogni sua verità con il processo obiettivo nell'economia, e con il progressivo riconoscimento di questa necessità nella classe operaia educata dall'organizzazione. Questa ideologia ritrova la fiducia nella dimostrazione pedagogica, che aveva caratterizzato il socialismo utopistico, ma integrata da un riferimento contemplativo nel corso della storia: tuttavia, un simile atteggiamento ha perduto sia la dimensione hegeliana di una storia totale sia l'immagine immobile della totalità presente nella critica utopistica (in Fourier al massimo grado). E' da un simile atteggiamento scientifico, che non poteva fare a meno di rilanciare simmetricamente delle scelte etiche, che derivano le vacuità di Hilferding, quando questi precisa che riconoscere la necessità del socialismo non offre «alcuna indicazione sull'atteggiamento pratico da adottare. Perché una cosa è riconoscere la necessità, e un'altra il mettersi al servizio di questa necessità» (Il Capitale finanziario). Coloro che hanno misconosciuto il fatto che il pensiero unitario della storia, per Marx e per il proletariato rivoluzionario, non fose affatto distinto da una posizione pratica da adottare, dovevano essere normalmente vittime della pratica che contemporaneamente avevano adottato.


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L'ideologia dell'organizzazione socialdemocratica la poneva al servizio dei professori che educavano la classe operaia; e la forma di organizzazione adottata era la forma adeguata a questo apprendistato passivo. La partecipazione dei socialisti della Seconda internazionale alle lotte politiche ed economiche era certo concreta, ma profondamente acritica. Essa era condotta, in nome dell'illusione rivoluzionaria, secondo una pratica manifestamente riformista. Così l'ideologia rivoluzionaria doveva essere stroncata dal successo stesso di coloro che la sostenevano. La separazione dei deputati e dei giornalisti nel movimento riconduceva verso il modo di vita borghese coloro che erano stati già reclutati fra gli intellettuali borghesi. La burocrazia sindacale costituiva in sensali della forza-lavoro, da vendere come merce al suo giusto prezzo, gli stessi che venivano reclutati a partire dalle lotte dei proletariato industriale e di lì fatti uscire. Perché l'attività di tutti costoro conservasse qualcosa di rivoluzionario, sarebbe stato necessario che il capitalismo si fosse trovato opportunamente incapace di sopportare economicamente questo riformismo che tollerava politicamente nella loro agitazione legalista. E' una simile incompatibilità che la loro scienza garantiva, e che la storia smentiva ad ogni istante.


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Questa contraddizione, della quale Bernstein, essendo il socialdemocratico più distante dall'ideologia politica e il più francamente aderente alla metodologia della scienza borghese, ebbe l'onestà di voler mostrare la realtà, mostrare - e il movimento riformista degli operai inglesi, facendo a meno di un'ideologia rivoluzionaria, l'aveva già mostrata - non doveva essere tuttavia dimostrata senza repliche che dallo sviluppo stesso della storia. Bernstein, sebbene pieno di illusioni sotto altri aspetti, aveva negato che una crisi della produzione capitalistica sarebbe venuta miracolosamente a forzare la mano ai socialisti che non volevano ereditare la rivoluzione che mediante questa legittima consacrazione. Il movimento di profondo sconvolgimento sociale che emerse con la prima guerra mondiale, anche se fu fertile per la presa di coscienza, dimostrò per due volte che la gerarchia socialdemocratica non aveva educato rivoluzionariamente, non aveva reso teorici, gli operai tedeschi: prima quando la grande maggioranza del partito si allineò con la guerra imperialistica e in seguito quando, nella disfatta, schiacciò i rivoluzionari spartachisti. L'ex-operaio Ebert credeva ancora nel peccato, poiché confessava di odiare la rivoluzione «come il peccato». E lo stesso dirigente si mostrò un buon precursore della rappresentanza socialista, che doveva poco dopo opporsi come nemico assoluto al proletariato della Russia e del resto del mondo col formulare l'esatto programma di questa nuova alienazione: «Socialismo vuol dire lavorare molto».


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Lenin non è stato, come pensatore marxista, che il kautskista fedele e conseguente che applicava l'ideologia rivoluzionaria di questo «marxismo ortodosso» nelle condizioni russe; condizioni che non permettevano la pratica riformista che la Seconda internazionale riformista portava in contropartita. La direzione esterna del proletariato, agendo attraverso un partito clandestino disciplinato, sottomesso agli intellettuali divenuti «rivoluzionari di professione», costituisce qui una professione che non vuole patteggiare con nessuna professione dirigente della società capitalistica (e il regime politico zarista era d'altra parte incapace di offrire una tale apertura, la cui base è uno stadio avanzato del potere della borghesia). Essa diviene dunque la professione della direzione assoluta della società.


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Il radicalismo ideologico autoritario dei bolscevichi si è sviluppato su scala mondiale con la guerra e con l'affondamento della socialdemocrazia internazionale davanti alla guerra. La fine sanguinosa delle illusioni democratiche del movimento operaio aveva fatto del mondo intero una Russia, e il bolscevismo, regnando sul primo varco rivoluzionario che questa epoca di crisi aveva originato, offriva al proletariato di tutti i paesi il proprio modello gerarchico e ideologico, per «parlare in russo» alla classe dominante. Lenin non ha rimproverato al marxismo della Seconda internazionale di essere un'ideologia rivoluzionaria, ma di aver cessato di esserlo.


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Lo stesso momento storico in cui il bolscevismo ha trionfato per se stesso in Russia, e dove la socialdemocrazia ha combattuto vittoriosamente per il vecchio mondo, segna la nascita definitiva di un ordine di cose che è al centro del dominio dello spettacolo moderno: la rappresentanza operaia si è opposta radicalmente alla classe.


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«In tutte le rivoluzioni anteriori - scriveva Rosa Luxemburg in Rote Fahne del 21 dicembre 1918 - i combattenti si affrontavano a viso scoperto: classe contro classe, programma contro programma. Nella rivoluzione presente le truppe di protezione del vecchio ordine non intervengono sotto le insegne delle classi dirigenti, ma sotto la bandiera di un "partito socialdemocratico". Se la questione centrale della rivoluzione fosse posta apertamente e onestamente: capitalismo o socialismo, nessun dubbio, nessuna esitazione sarebbero oggi possibili nella grande massa del proletariato». Così, qualche giorno prima della sua distruzione, la corrente radicale del proletariato tedesco scopriva il segreto delle nuove condizioni che aveva creato tutto il processo anteriore (e al quale aveva grandemente contribuito la rappresentanza operaia): l'organizzazione spettacolare della difesa dell'ordine esistente, il regno sociale delle apparenze in cui nessuna «questione centrale» può più essere posta «apertamente e onestamente». La rappresentanza rivoluzionaria del proletariato, a questo stadio, era divenuta contemporaneamente il fattore principale e il risultato centrale della falsificazione generale della società.


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L'organizzazione del proletariato sul modello bolscevico, era nata dall'arretratezza russa e dalla rinuncia alla lotta rivoluzionaria da parte del movimento operaio dei paesi avanzati, incontrò anche nell'arretramento russo tutte le condizioni che portavano questa forma d'organizzazione verso il rovesciamento controrivoluzionario che essa inconsciamente già conteneva nel proprio germe originario; e la rinuncia reiterata della massa del movimento operaio europeo davanti al hic Rhodus, hic salta del periodo 1918-1920 - rinuncia che implicava la distruzione violenta della propria minoranza radicale - favori lo sviluppo completo del processo e lasciò che il suo risultato menzognero si affermasse davanti al mondo come la sola soluzione proletaria. La conquista del monopolio statale della rappresentanza e della difesa del potere operaio, che giustificò il partito bolscevico, lo fece divenire ciò che era: il partito dei proprietari del proletariato, eliminando per l'essenziale le precedenti forme di proprietà.


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Tutte le condizioni della liquidazione dello zarismo delineate nel dibattito teorico sempre insoddisfacente delle diverse tendenze della socialdemocrazia russa per vent'anni - debolezza della borghesia, peso della maggioranza contadina, ruolo decisivo di un proletariato concentrato e combattivo ma estremamente minoritario nel paese - rivelarono infine nella pratica la loro soluzione, attraverso un dato che non era presente nelle ipotesi: la burocrazia rivoluzionaria che dirigeva il proletariato, impadronendosi dello Stato, diede alla società un nuovo dominio di classe. La rivoluzione strettamente borghese non era possibile; la «dittatura democratica degli operai e dei contadini» era priva di senso; il potere proletario dei soviet non poteva mantenersi contemporaneamente contro la classe dei contadini proprietari, la reazione bianca nazionale e internazionale, e la sua stessa rappresentanza esteriorizzata e alienata in partito operaio dei padroni assoluti dello Stato, dell'economia, di ogni forma di espressione e presto anche del pensiero. La teoria della rivoluzione permanente di Trotsky e Parvus, alla quale Lenin aveva effettivamente aderito nell'aprile 1917, era la sola a divenire vera per i paesi arretrati nei confronti dello sviluppo sociale della borghesia, ma soltanto dopo l'introduzione di questo fattore sconosciuto che era il potere di classe della burocrazia. La concentrazione della dittatura nelle mani della rappresentanza suprema dell'ideologia fu difesa nel modo più coerente da Lenin, nei numerosi scontri all'interno della direzione bolscevica. Lenin aveva ogni volta ragione contro i suoi avversari per il fatto di sostenere la soluzione implicata dalle precedenti scelte del potere minoritario assoluto: la democrazia rifiutata statalmente ai contadini doveva esserlo anche agli operai, ciò che portava a rifiutarla ai dirigenti comunisti dei sindacati, dunque in tutto il partito, e infine anche al vertice della gerarchia del partito. Al X Congresso, nel momento in cui il soviet di Kronstadt veniva abbattuto con le armi e sepolto sotto le calunnie, Lenin pronunciava contro i burocrati di sinistra organizzati in «Opposizione Operaia» questa conclusione, di cui Stalin avrebbe poi in seguito esteso la logica fino a una perfetta divisione del mondo: «Qua o là con un fucile, ma non con l'opposizione... Ne abbiamo abbastanza dell'opposizione».


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La burocrazia rimasta unica proprietaria di un capitalismo di Stato, si è dapprima assicurata il potere mezzo di un'alleanza temporanea con la classe contadina, dopo Kronstadt, al momento della «nuova politica economica», mentre l'ha difeso all'esterno utilizzando gli operai irreggimentati nei partiti burocratici della Terza internazionale, come forza d'appoggio della diplomazia russa, per sabotare ogni movimento rivoluzionario e sostenere i governi borghesi, sul cui sostegno poteva contare in politica internazionale (il potere del Kuomintang nella Cina del 1925-27, il Fronte Popolare in Spagna e in Francia ecc.). Ma la società burocratica doveva perseguire il proprio compimento attraverso il terrore esercitato sulle masse contadine, per realizzare l'accumulazione primitiva di capitale più brutale della storia. Questa industrializzazione dell'epoca staliniana rivela la realtà ultima della burocrazia: essa è la continuazione del potere dell'economia, il salvataggio dell'essenziale della società mercantile che mantiene il lavoro-merce. E' la prova offerta dall'economia indipendente, che domina la società al punto di ricreare per i propri fini il dominio di classe che le è necessario: il che equivale a dire che la borghesia ha creato una potenza autonoma la quale, fintanto che sussiste questa autonomia, può arrivare al punto di fare a meno di una borghesia. La burocrazia totalitaria non è «l'ultima classe proprietaria della storia», nel senso che le attribuiva Bruno Rizzi, ma solamente una classe dominante di sostituzione per l'economia mercantile. La proprietà privata capitalistica venuta meno viene sostituita da un sottoprodotto semplificato, meno diversificato, concentrato in proprietà collettiva della classe burocratica. Questa forma sottosviluppata di classe dominante è anche l'espressione del sottosviluppo economico; e non ha altra prospettiva che quella di recuperare il ritardo di questo sviluppo in alcune regioni del mondo. E' stato il partito operaio, organizzato secondo il modello borghese della separazione, a fornire l'impianto gerarchico-statale a questa edizione supplementare della classe dominante. Anton Ciliga scriveva in una prigione di Stalin che «le questioni tecniche di organizzazione si rivelavano essere delle questioni sociali» (Lenin e la Rivoluzione).


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L'ideologia rivoluzionaria, la coerenza del separato di cui il leninismo costituisce il più alto sforzo volontaristico, detenendo la gestione di una realtà che la respinge, con lo stalinismo tornerà alla sua verità nell'incoerenza. A questo punto l'ideologia non è più un'arma, ma un fine. La menzogna che non è più contraddetta diventa follia. La realtà, così come lo scopo, vengono dissolti nella proclamazione ideologica totalitaria: tutto ciò che essa dice è tutto ciò che è. E' un primitivismo locale dello spettacolo, il cui ruolo è tuttavia essenziale nello sviluppo dello spettacolo mondiale. L'ideologia che qui si materializza non ha trasformato economicamente il mondo, come il capitalismo giunto allo stadio dell'abbondanza; essa ha solamente trasformato poliziescamente la percezione.


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La classe ideologico-totalitaria al potere è il potere di un mondo rovesciato; più essa è forte, più afferma che non esiste, e la sua forza le serve prima di tutto ad affermare la sua inesistenza. Essa è modesta su questo solo punto, perché la sua inesistenza ufficiale deve anche coincidere col nec plus ultra dello sviluppo storico, che al tempo stesso sarebbe dovuto al suo infallibile comando. Operante dappertutto, la burocrazia deve essere la classe invisibile per la coscienza, di modo che è poi tutta la vita sociale che diviene demente. L'organizzazione sociale della menzogna assoluta deriva da questa contraddizione fondamentale.


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Lo stalinismo fu il regno del terrore nella classe burocratica stessa. Il terrorismo che fonda il potere di questa classe deve colpire anche questa classe, perché essa non possiede nessuna garanzia giuridica, nessuna esistenza riconosciuta in quanto classe proprietaria, che possa estendere a ciascuno dei suoi membri. La sua proprietà reale è dissimulata, ed essa non è divenuta proprietaria che per la via della falsa coscienza. La falsa coscienza mantiene il proprio potere assoluto solo attraverso il terrore assoluto, in cui ogni vero motivo finisce per perdersi, l membri della classe burocratica al potere non hanno diritto di possesso sulla società che collettivamente, in quanto partecipi di una fondamentale menzogna: bisogna che essi recitino il ruolo del proletariato che dirige una società socialista: che siano gli attori fedeli al testo dell'infedeltà ideologica. Ma l'effettiva partecipazione a questo essere menzognero deve vedersi al tempo stesso riconosciuta come una partecipazione veridica. Nessun burocrate può sostenere individualmente il proprio diritto al potere, perché provare che egli è un proletario socialista significherebbe manifestarsi come il contrario di un burocrate; e provare che egli è un burocrate è impossibile, poiché la verità ufficiale della burocrazia è di non essere. Così ogni burocrate si trova a dipendere in modo assoluto da una garanzia centrale dell'ideologia, che riconosce una partecipazione collettiva al suo «potere socialista» da parte di tutti i burocrati che essa non annienta. Se i burocrati presi nel loro complesso decidono su tutto, la coesione stessa della loro classe non può essere assicurata che attraverso la concentrazione del loro potere terroristico in una sola persona. In questa persona risiede la sola verità pratica della menzogna al potere: la fissazione indiscutibile della sua frontiera sempre rettificata. Stalin decide senza appello chi è alla fine burocrate possidente: cioè chi deve venire chiamato «proletario al potere» oppure «traditore al soldo del Mikado o di Wall Street». Gli atomi burocratici non trovano l'essenza comune del loro diritto se non nella persona di Stalin. Stalin è questo sovrano del mondo che si sa in questo modo come la persona assoluta, per la cui coscienza non esiste spirito più alto. «Il sovrano del mondo possiede la coscienza effettiva di ciò che egli è - della potenza universale dell'effettualità, nella violenza distruttrice che egli esercita contro il sé di coloro che lo contrastano». Mentre è la potenza che definisce il terreno del dominio, egli è nello stesso tempo «la potenza che devasta questo terreno».


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Quando l'ideologia, diventata assoluta con il possesso del potere assoluto, è mutata da una conoscenza parcellare in menzogna totalitaria, il pensiero della storia è stato così perfettamente annientato che la storia stessa, a livello della conoscenza più empirica, non può più esistere. La società burocratica totalitaria vive in un presente perpetuo, in cui tutto ciò che è avvenuto esiste soltanto per essa, come spazio accessibile alla sua polizia. Il progetto, già formulato da Napoleone, di «dirigere monarchicamente l'energia dei ricordi» ha trovato la sua concretizzazione totale, in una manipolazione permanente del passato, non soltanto nei significati, ma nei fatti. Ma il prezzo di questa liberazione da ogni realtà storica è la perdita del riferimento razionale che è indispensabile alla società storica del capitalismo. Si sa ciò che l'applicazione scientifica dell'ideologia, divenuta folle, è potuta costare all'economia russa, non fosse che con l'impostura di Lyssenko. Questa contraddizione della burocrazia totalitaria che amministra una società industrializzata, presa fra il suo bisogno del razionale e il suo rifiuto del razionale, costituisce anche una delle sue principali deficienze nei confronti del normale sviluppo capitalistico. Come, in rapporto ad esso, la burocrazia non può risolvere la questione dell'agricoltura, così gli è finalmente inferiore nella produzione industriale, pianificata autoritariamente sulle basi dell'irrealismo e della menzogna generalizzata.


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Il movimento operaio rivoluzionario, del periodo fra le due guerre, fu annientato dall'azione congiunta della burocrazia stalinista e del totalitarismo fascista, che aveva preso a prestito la propria forma organizzativa dal partito sperimentato in Russia. Il fascismo ha costituito una difesa estremistica dell'economia borghese, minacciata dalla crisi e dalla sovversione proletaria, lo stato d'assedio nella società capitalistica, attraverso cui questa società si salva e si dà d'urgenza una prima razionalizzazione, facendo intervenire massicciamente lo Stato nella sua gestione. Ma una tale razionalizzazione è essa stessa gravata dell'immensa irrazionalità del suo mezzo. Se il fascismo si pone a difesa dei principali punti dell'ideologia borghese divenuta conservatrice (la famiglia, la proprietà, l'ordine morale, la nazione), riunendo la piccola borghesia e i disoccupati impazziti dalla crisi o delusi dell'impotenza della rivoluzione socialista, non è esso stesso sostanzialmente ideologico. Esso si dà per quello che è: una violenta resurrezione del mito, che esige la partecipazione a una comunità definita da pseudovalori arcaici: la razza, il sangue, il capo. Il fascismo è l'arcaismo tecnicamente equipaggiato. Il surrogato decomposto dal mito, ripreso nel contesto spettacolare dei mezzi di condizionamento e di illusione più moderni. Così, esso è uno dei fattori nella formazione del moderno spettacolare, nella misura in cui la sua parte nella distruzione del vecchio movimento operaio fa di lui una delle potenze fondatrici della presente società; ma dato che il fascismo viene ad essere anche la forma più costosa del mantenimento dell'ordine capitalistico, avrebbe dovuto normalmente abbandonare il fronte della scena che occupano i grandi ruoli degli Stati capitalistici, per essere sostituito da forme più razionali e più forti di questo stesso ordine.


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Quando la burocrazia russa è riuscita finalmente a disfarsi delle tracce della proprietà borghese, che intralciavano il suo dominio sull'economia, a sviluppare questa per il proprio uso, e ad essere riconosciuta all'esterno tra le grandi potenze, essa vuole godere tranquillamente del proprio mondo e sopprimere quella parte di arbitrio che si esercitava su essa stessa: essa denuncia lo stalinismo della sua origine. Ma una tale denuncia rimane stalinista, arbitraria, inesplicata e continuamente corretta, perché la menzogna ideologica della sua origine non può mai essere rivelata. In questo modo la burocrazia non può liberalizzarsi né culturalmente né politicamente, perché la sua esistenza come classe dipende dal suo monopolio ideologico che, con tutta la sua pesantezza, è il suo solo titolo di proprietà. L'ideologia ha certamente perduto la passione per la sua affermazione positiva, ma ciò che ne sussiste di trivialità indifferente ha ancora questa funzione repressiva di proibire anche la minima concorrenza, di dominare la totalità del pensiero. La burocrazia è così legata a un'ideologia che non è più creduta da nessuno. Ciò che era terroristico è divenuto derisorio, ma questa stessa derisione non può mantenersi che conservando in secondo piano il terrorismo di cui vorrebbe disfarsi. Così, nel momento stesso in cui la burocrazia vuole mostrare la propria superiorità sul terreno del capitalismo, essa si rivela un parente povero del capitalismo. Come la sua storia effettiva è in contraddizione col suo diritto, e la sua ignoranza grossolanamente mantenuta in contraddizione con le sue pretese scientifiche, il suo progetto di rivaleggiare con la borghesia nella produzione di un'abbondanza mercantile è ostacolato dal fatto che un'abbondanza del genere porta in se stessa la propria ideologia implicita e si accompagna normalmente a una libertà indefinitamente estesa di false scelte spettacolari, pseudolibertà che rimane inconciliabile con l'ideologia burocratica.


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A questo stadio dello sviluppo, il titolo di proprietà ideologica della burocrazia comincia già a crollare a livello internazionale. Il potere che si era costituito nazionalmente in quanto modello fondamentalmente internazionalistico deve ammettere che non può più pretendere di mantenere la propria coesione menzognera al di là d'ogni frontiera nazionale. L'ineguale sviluppo economico conosciuto dalle burocrazie, con i loro interessi concorrenti, che sono riuscite a possedere il proprio «socialismo» al di fuori di un solo paese, ha condotto ad affrontarsi pubblicamente e completamente la menzogna russa e la menzogna cinese. A partire da questo punto, ogni burocrazia al potere, ovvero ogni partito totalitario candidato al potere lasciato dal periodo staliniano in alcune classi operaie nazionali, deve seguire la propria strada. Unendosi alle manifestazioni di negazione interna che hanno cominciato ad affermarsi davanti al mondo con la rivolta operaia di Berlino-Est, che opponeva ai burocrati la propria esigenza di «un governo di metallurgici», e che sono già arrivate una volta fino al potere dei consigli operai in Ungheria, la decomposizione mondiale dell'alleanza della mistificazione burocratica è, in ultima analisi, il fattore più sfavorevole all'attuale sviluppo della società capitalistica. La borghesia sta perdendo l'avversario che la sosteneva oggettivamente unificando illusoriamente ogni negazione dell'ordine esistente. Una tale divisione del lavoro spettacolare vede la propria fine quando il ruolo pseudorivoluzionario si divide a sua volta. L'elemento spettacolare della dissoluzione del movimento operaio sta per essere esso stesso dissolto.


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L'illusione leninista nelle diverse tendenze non ha più altra base attuale se non trotskiste, in cui l'identificazione del progetto proletario con un'organizzazione gerarchica dell'ideologia sopravvive solidamente all'esperienza dei suoi risultati. La distanza che separa il trotskismo dalla critica rivoluzionaria della presente società, è ciò che gli permette anche di osservare la distanza rispettosa nei confronti di posizioni che erano già false quando si consumarono in un conflitto reale. Trotsky è rimasto fino al 1927 fondamentalmente solidale con l'alta burocrazia, sempre cercando di impadronirsene per farle riprendere un'azione realmente bolscevica all'esterno (si sa che in quel momento, per aiutare a dissimulare il famoso «testamento di Lenin», egli arrivò fino a sconfessare calunniosamente il suo partigiano e amico Max Eastman che l'aveva divulgato). Trotsky è stato condannato dalla sua prospettiva di fondo, perché dal momento in cui la burocrazia si riconosce nel proprio risultato come classe controrivoluzionaria all'interno, essa deve anche scegliere d'essere effettivamente controrivoluzionaria all'esterno in nome della rivoluzione, come a casa propria. L'ulteriore lotta di Trotsky per una Quarta internazionale contiene la stessa incoerenza. Egli ha rifiutato per tutta la vita di riconoscere nella burocrazia il potere di una classe separata, perché era diventato, durante la Seconda rivoluzione russa, il partigiano incondizionato della forma bolscevica di organizzazione. Quando Lukàcs, nel 1923, indicava in questa forma la mediazione finalmente trovata fra la teoria e la pratica, dove i proletari cessano d'essere «spettatori» degli eventi sopraggiunti nella loro organizzazione, che essi hanno coscientemente scelti e vissuti, descriveva come meriti effettivi del partito bolscevico tutto ciò che il partito bolscevico non era. Lukàcs era ancora, a fianco del suo profondo lavoro teorico, un ideologo, che parlava a nome del potere più volgarmente esterno al movimento proletario, credendo e facendo credere di trovarsi egli stesso, con la sua totale personalità in questo potere come nel suo proprio. Quando il seguito degli eventi mostrò in che modo questo potere sconfessa e sopprime i suoi valletti, Lukàcs, sconfessandosi egli stesso senza fine, ha mostrato con nettezza caricaturale con che cosa egli si era identificato: con il contrario di se stesso e di ciò che aveva sostenuto in Storia e coscienza di classe. Lukàcs verifica alla meglio la regola fondamentale che giudica tutti gli intellettuali di questo secolo: ciò che essi rispettano misura esattamente la loro realtà disprezzabile. Lenin del resto non aveva affatto incoraggiato questo genere di illusioni sulla propria attività; conveniva che «un partito politico non può esaminare i propri membri per vedere se vi sono delle contraddizioni fra la loro filosofia e il programma del partito». Il partito reale, di cui Lukàcs aveva presentato prontamente il ritratto sognato, non era coerente se non per un compito preciso e parziale: impadronirsi del potere dello Stato.


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L'illusione neoleninista dell'attuale trotskismo, dato che viene ad ogni momento smentita dalla realtà della società capitalistica moderna, sia borghese che burocratica, trova naturalmente un campo di applicazione privilegiato nei paesi «sottosviluppati» formalmente indipendenti, in cui l'illusione di una qualsiasi variante di socialismo statale e burocratico viene coscientemente manipolata come la semplice ideologia dello sviluppo economico dalle classi dirigenti locali. La composizione ibrida di queste classi si ricollega più o meno nettamente ad una gradazione dello spettro borghesia-burocrazia. Il loro gioco su scala internazionale, fra questi due poli del potere capitalistico esistente, non meno dei loro compromessi ideologici - soprattutto con l'islamismo - esprimendo la realtà ibrida della loro base sociale, finiscono per levare a quest'ultimo sottoprodotto del socialismo ideologico ogni serietà che non sia poliziesca. Una burocrazia ha potuto formarsi inquadrando la lotta nazionale e la rivolta agraria dei contadini: essa tende allora, come in Cina, ad applicare il modello di industrializzazione staliniano in una società meno sviluppata della Russia del 1917. Una burocrazia capace di industrializzare la nazione può formarsi a partire dalla piccola borghesia, dai quadri dell'esercito che si impadroniscono del potere, come dimostra l'esempio dell'Egitto. In alcuni casi, come l'Algeria al termine della guerra d'indipendenza, la burocrazia, che si è costituita come direzione parastatale durante la lotta, cerca il punto di equilibrio in un compromesso che le consenta di fondersi con una debole borghesia nazionale. Infine, nelle vecchie colonie dell'Africa nera che restano apertamente legate alla borghesia occidentale, americana ed europea, viene a costituirsi una borghesia - il più delle volte a partire dalla potenza dei capi tradizionali del tribalismo - attraverso il possesso dello Stato: in questi paesi in cui l'imperialismo straniero rimane il vero padrone dell'economia, si afferma uno stadio in cui i compradores hanno ricevuto a compenso della loro vendita dei prodotti indigeni, la proprietà di uno Stato indigeno, indipendente di fronte alle masse locali, ma non di fronte all'imperialismo. In questo caso, si tratta di una borghesia artificiale che non è capace di accumulare, ma che semplicemente dilapida, sia la parte di plusvalore del lavoro locale che ne ricava che i sussidi stranieri degli Stati o monopoli che sono i suoi protettori. L'evidenza dell'incapacità di queste classi borghesi di provvedere alla normale funzione economica della borghesia fa sorgere di fronte a ognuna di esse una sovversione sul modello burocratico, più o meno adattato alle particolarità locali, che vuole prenderne l'eredità. Ma la riuscita stessa di una burocrazia nel suo progetto fondamentale di industrializzazione contiene necessariamente la prospettiva della sua disfatta storica: accumulando il capitale, essa accumula il proletariato, e crea la propria smentita, in un paese in cui questo non esisteva ancora.


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In questo sviluppo complesso e terribile che ha portato l'epoca delle lotte di classe verso nuove condizioni, il proletariato dei paesi industriali ha completamente perduto l'affermazione della propria prospettiva autonoma e, in ultima analisi, le proprie illusioni, ma non il proprio essere. Esso non è stato soppresso. Rimane irriducibilmente esistente nell'alienazione intensificata del capitalismo moderno: si trova ad essere l'immensa maggioranza dei lavoratori che hanno perduto ogni potere sull'impiego della propria vita, e che, dal momento che lo sanno, si ridefiniscono come il proletariato, il negativo all'opera in questa società. Questo proletariato è oggettivamente rafforzato dal movimento di scomparsa della classe contadina, come dall'estensione della logica del lavoro in fabbrica che si applica a gran parte dei «servizi» e delle professioni intellettuali. E' soggettivamente che questo proletariato è ancora lontano dalla propria coscienza pratica di classe, non solo per ciò che riguarda gli impiegati, ma anche relativamente agli operai che non hanno ancora scoperto se non l'impotenza e la mistificazione della vecchia politica. Tuttavia, quando il proletariato scopre che la propria forza esteriorizzata concorre al rafforzamento permanente della società capitalistica, non solo nella forma del proprio lavoro, ma anche nella forma dei sindacati, dei partiti o della potenza statale che aveva costituito per emanciparsi, esso scopre anche attraverso l'esperienza storica concreta di essere la classe totalmente nemica di ogni esteriorizzazione congelata e di ogni specializzazione del potere. Esso porta la rivoluzione che non può lasciare niente all'esterno di se stessa, porta l'esigenza del dominio permanente del presente sul passato e la critica totale della separazione; ed è questo ciò di cui deve trovare la formula adeguata nell'azione. Nessun miglioramento quantitativo della sua miseria, nessuna illusione di integrazione gerarchica sono un rimedio durevole per la sua insoddisfazione, perché il proletariato non può riconoscersi con verità in un particolare torto che avrebbe subito né dunque nella riparazione di un torto particolare, né in un gran numero di questi torti, ma solamente nel torto assoluto di essere rigettato ai margini della vita.


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Dai nuovi segni di negazione, incompresi e falsificati dal sistema spettacolare, che si moltiplicano nei paesi economicamente più avanzati, si può già trarre la conclusione che una nuova epoca si è aperta: dopo il primo tentativo di sovversione operaia, è ora l'abbondanza capitalistica che è fallita. Quando le lotte antisindacali degli operai occidentali sono represse prima di tutto dai sindacati, e quando le correnti in rivolta della gioventù lanciano una prima protesta informe, nella quale tuttavia il rifiuto della vecchia politica specializzata, dell'arte e della vita quotidiana, è immediatamente implicito, sono queste le due facce di una nuova lotta spontanea che comincia sotto l'aspetto criminale. Sono i segni precursori del secondo assalto proletario contro la società di classe. Quando i figli perduti di questo esercito ancora immobile riappaiono su questo terreno, divenuto diverso e rimasto lo stesso, seguono un nuovo «generale Ludd» che, questa volta, li lancia nella distruzione delle macchine del consumo consentito.


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«La forma politica finalmente scoperta nella quale l'emanazione economica del lavoro poteva venire realizzata» ha acquistato in questo secolo una figura netta nei Consigli operai rivoluzionari, che concentrarono in sé tutte le funzioni di decisione e di esecuzione, e federandosi per mezzo di delegati responsabili di fronte alla base e revocabili in ogni momento. La loro effettiva esistenza non è stata che un breve abbozzo, subito combattuto e vinto dalle diverse forze difensive della società di classe, fra le quali bisogna spesso comprendere la propria falsa coscienza. Pannekoek insisteva giustamente sul fatto che la scelta di un potere dei Consigli operai «propone dei problemi» piuttosto che apportare una soluzione. Ma questo potere è precisamente il luogo dove i problemi della rivoluzione del proletariato possono trovare la loro vera soluzione». Il luogo in cui le condizioni oggettive della coscienza storica sono riunite; la realizzazione della comunicazione diretta attiva, in cui finiscono la specializzazione, la gerarchia e la separazione, in cui le condizioni esistenti sono state trasformate «in condizioni di unità». Qui il soggetto proletario può emergere dalla sua lotta contro la contemplazione: la sua coscienza è uguale all'organizzazione pratica che si è data, perché questa stessa coscienza è inseparabile dall'intervento coerente nella storia.


117

Nel potere dei Consigli, che deve soppiantare internazionalmente ogni altro potere, il movimento proletario è il proprio prodotto, e questo prodotto è il produttore stesso. Esso è a se stesso il proprio fine. Soltanto là la negazione spettacolare della vita è negata a sua volta.


118

L'apparizione dei Consigli fu la realtà più alta del movimento proletario nel primo quarto del secolo, realtà che rimane non considerata o travestita perché spariva col resto del movimento che l'insieme dell'esperienza storica di allora smentiva ed eliminava. Nel nuovo spazio della critica proletaria, questo risultato appare come il solo punto non vinto del movimento vinto. La coscienza storica che sa di avere in esso il suo solo spazio d'esistenza, può riconoscerlo adesso, non più alla periferia di ciò che rifluisce, ma al centro di ciò che sale.


119

Un'organizzazione rivoluzionaria esistente prima del potere dei Consigli - e che dovrà trovare lottando la propria forma per tutte queste ragioni storiche sa già che non rappresenta la classe. Essa deve soltanto riconoscersi come divisione radicale dal mondo della separazione.


120

L'organizzazione rivoluzionaria è l'espressione coerente della teoria della prassi, che entra in comunicazione non-unilaterale con le lotte pratiche, in divenire verso la teoria pratica. La sua pratica è la generalizzazione della comunicazione e della coerenza in queste lotte. Nel momento rivoluzionario del dissolvimento della divisione sociale, questa organizzazione deve riconoscere il proprio dissolvimento in quanto organizzazione separata.


121

L'organizzazione rivoluzionaria non può essere che la critica unitaria della società, cioè una critica che non scende a patti con nessuna forma di potere separato, in nessun punto del mondo, e una critica pronunciata globalmente contro tutti gli aspetti della vita sociale alienata. Nella lotta dell'organizzazione rivoluzionaria contro la società di classe, le armi non sono altro che l'essenza dei combattenti stessi: l'organizzazione rivoluzionaria non può riprodurre in se stessa le condizioni di scissione e di gerarchia che sono quelle della società dominante. Essa deve lottare in permanenza contro la sua deformazione nello spettacolo dominante. Il solo limite della partecipazione alla democrazia totale dell'organizzazione rivoluzionaria è il riconoscimento e l'auto-appropriazione effettiva, da parte di tutti i suoi membri, della coerenza della sua critica, coerenza che deve provarsi nella teoria critica propriamente detta e nella relazione fra questa e l'attività pratica.


122

Quando la realizzazione sempre più spinta dell'alienazione capitalistica a lutti i livelli, rendendo sempre più difficile ai lavoratori il riconoscere e nominare la loro propria miseria, li pone nell'alternativa di rifiutare la totalità della propria miseria, o niente, l'organizzazione rivoluzionaria ha dovuto imparare che essa non può più combattere l'alienazione sotto forme alienate.


123

La rivoluzione proletaria è interamente sospera a questa necessità che, per la prima volta, è la teoria in quanto intelligenzsa della pratica umana che dev'essere riconosciuta e vissuta dalle masse. Essa esige che gli operai diventino dialettici e iscrivano il proprio pensiero nella pratica; essa cosi chiede agli uomini senza qualità ben più di ciò che la rivoluzione borghese domandava agli uomini qualificati, che essa delegava alla propria realizzazione: perché la coscienza idcologica parziale, edificata da una parte della classe borghese, aveva per base una parte centrale della vita sociale, l'economia nella quale questa classe era già al potere. Lo sviluppo stesso della società di classe fino all'organizzazione spettacolare della non-vita, porta dunque il progetto rivoluzionario a diventare visibilmente ciò che era già essenzialmente.


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La teoria rivoluzionaria è ora nemica di ogni ideologia rivoluzionaria, e sa di esserlo.

Note

  1. Marx a Engels, 7 dicembre 1867, in Marx-Engels, Opere complete, XLII, Roma 1974, p. 443. La traduzione francese cit. da Debord presenta alcune lievi differenze con l'edizione italiana [n.d.r.].