La storia di Colombo narrata alla gioventù ed al popolo/XI

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XI. Colombo in catene

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Il vice-re delle Indie aveva chiesto a Ferdinando che inviasse colà persona adatta ad esercitare la giustizia, e un arbitro che decidesse delle sue contese col Roldan; e Ferdinando accogliendo le suggestioni calunniose del Fonseca contro il grande Genovese, colse l’occasione per affidare ad un Francesco Bobadilla ufficiale della Real Casa l’incarico di andare con una forte spedizione nelle Indie Occidentali, d’investigare sulla condotta dell’Ammiraglio e di supplirlo nell’autorità, riconoscendolo colpevole.

Il Bobadilla partiva nel luglio del 1500 ed arrivava a S. Domingo il 23 agosto. Erano assenti Cristoforo e Bartolomeo, in loro vece stava l’altro fratello Diego che si presentò a bordo della nave del Bobadilla chiedendo notizie di Spagna. Il delegato governativo dichiarò l’esser suo, quindi sceso a terra domandò gli fossero consegnati i ribelli prigionieri; e avendogli Diego risposto negativamente, dicendo non ricevere ordini che dall’Ammiraglio, governatore di quelle terre, il Bobabilla diede pubblica lettura delle patenti con le quali era in lui trasferita tutta l’autorità suprema di governatore, dichiarò Cristoforo Colombo decaduto dai suoi poteri, intimò gli si consegnassero i prigionieri, altrimenti li prenderebbe colla forza, e aggiunse che avrebbe dichiarato ribelle e condotto incatenato al re di Spagna chiunque si fosse opposto ai suoi ordini, foss’anche lo stesso Ammiraglio. E alle minaccie fece seguire i fatti.

A Colombo era giunta la fama delle prepotenze di questo Bobadilla, ma non poteva credere che egli operasse in forza di ordini reali; tuttavia incerto di quello che potesse essere, non volle rientrare in S. Domingo, ma si trattenne a Boano d’onde scrisse all’inviato di Spagna per sapere il vero della sua missione. Dopo qualche giorno furono a lui due messi colle credenziali del re che gl’imponevano di rispettare le disposizioni del Bobadilla, e con ordine di costui di presentarglisi tosto.

«Si dissipò allora ogni illusione (copio dal Sanguineti) che gli facesse velo agli occhi e certa lesse e a chiare note la sua disgrazia. Stimò indegna della sua grandezza ogni resistenza; anzi ove il Bobadilla facea apparecchio d’armi e d’armati a sostener l’impeto dell’Ammiraglio, cui credea o fingea credere risoluto a resistere, questi a dissipare ogni ombra di sospetto se ne venia verso S. Domingo tutto solo come un umile privato. Non ebbe il Bobadilla coraggio di sostenerne lo sguardo e l’aspetto, ma fattolo prendere dai suoi sgherri, il fe’ inchiudere nella fortezza, ove a consumare l’iniquità del misfatto ordinò che gli fossero messi i ferri ai piedi. Rifuggì da così immane proposta l’animo perfino de’ suoi nemici; ma perchè non mancasse il Giuda all’oppressione di questo innocente, v’ebbe un de’ servi dell’Ammiraglio che si offrì volonteroso a compier quell’ufficio. Ferri gloriosi! che più lustro ebbero dallo stringere i piedi del Colombo, che le gemme e l’oro non diedero alla fronte dell’ avaro Ferdinando!»

Diego era già stato catturato e condotto a bordo d’una caravella; rimaneva Bartolomeo che stava disperdendo con buone forze alcuni ribelli. Il Bobadilla fece pregare Cristoforo perchè inducesse il fratello a cedere le armi, e l’Ammiraglio tosto si arrese alla domanda. Come Bartolomeo si fu costituito al regio delegato questi lo fece subito condurre a bordo della nave incatenato.

A coonestare e giustificare la sua condotta verso i fratelli Colombo, il Bobadilla invitò allora chiunque avesse lagni a fare contro di loro a presentarsi a lui; così potè dai malcontenti, dai ribelli, dai nemici dei tre Genovesi raccogliere una certa quantità di lamenti calunniosi, in base ai quali stese un rapporto a loro danno.

La plebaglia per ingraziarsi il nuovo signore e a sfogo di rancori contro il povero Colombo, ad alte grida gli scagliava ogni sorta d’improperi, a lui, che se ne stava incatenato nella fortezza, e a cui quelle voci pareano segno sinistro di morte vicina; tanto che quando il cavaliere Alfonso di Villejo andò a lui con rispetto per condurlo alla caravella e quindi in Ispagna, credette che lo conducesse al supplizio.

Giunti a bordo, il Villejo volle togliere le catene al Colombo, ma questi non consentì, dicendo volersi uniformare agli ordini del re; e lungo il viaggio scrisse una lettera a Donna Giovanna Della Torre già nutrice del principe Giovanni la quale godeva tutta la fiducia della regina Isabella, esponendo la condotta dei suoi nemici, la prepotenza del Bobadilla, e giustificando sè d’ogni calunnia.

Arrivata la nave nel porto di Cadice e corsa la voce dell’arrivo di Cristoforo Colombo in catene, sorse un grido d’indignazione da tutta la popolazione. Il cavalier Villejo scrisse subito al re del suo arrivo coi prigionieri, e intanto spedì a Donna Giovanna la lettera scritta dall’Ammiraglio.

Pochi giorni appresso giungeva ordine del re di rimettere in libertà i fratelli Colombo, di onorarli come portava il loro grado, e insieme una lettera all’Ammiraglio colle più affettuose espressioni da parte di Ferdinando che gli mandava due mila ducati mercè i quali potesse presentarsi degnamente a corte.