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La tecnica della pittura/CAP. XI.

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CAP. XI. Le colle, le gomme, le imprimiture

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CAP. XI. Le colle, le gomme, le imprimiture
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CAPITOLO XI




Le Colle, le Gomme e le Imprimiture.


D
E è vero, come dice il Vibert, che tutte le colle inventate e descritte sino ai nostri giorni non

fatte in realtà che con otto sostanze, quattro animali: gelatina, albumina, caseina e cera; e quattro vegetali: amido, glutine, gomme e resine; e che saputo procurarsi queste sostanze si hanno gli elementi per fabbricarsi qualsiasi colla, ciò non lascia meno aperto il varco alla probabilità, con questi soli estremi, di riuscire a manipolare la peggior colla di questo mondo, non essendovi campo meno adatto per un rigoroso procedimento scientifico di quello nel quale le sostanze impiegate appartengono al regno vegetale ed animale, e dove anche la scienza di un chimico possa fare la più meschina figura contro la pratica di un semplice operaio.

Dalla gelatina, sostanza che si estrae di preferenza da alcune parti degli animali come i legamenti delle articolazioni, le membrane che avvolgono i muscoli, le cartilagini e la pelle, si ottengono molte qualità di colle conosciute in [p. 230 modifica]commercio coi nomi di colla forte, colla di Fiandra, colla a bocca, colla di piedi di vitello, colla di ritagli di pelle o di ritagli di cartapecora, colla di pesce od itiocolla, tutte assomiglianti fra di loro per il principale ingrediente della gelatina, ma in fatto diverse per colore, tenacità ed adattamento ai varii usi delle colle.

Il modo di preparazione ha pure grande somiglianza per tutte le qualità di queste colle ed è molto semplice.

Scelte, delle parti animali descritte, le quantità che si desidera di trasformare in colla si lavano da ogni impurità sciacquandole in acqua corrente e poste in caldaia con conveniente quantità d'acqua, si fa bollire per dieci o dodici ore la materia, fino alla consistenza gelatinosa voluta, che si prova versandone un poco su di un piatto e lasciandola raffreddare. Travasata la colla in un tino, per un grossolano filtro fatto di graticci sparsi di paglia, si lascia riposare alquanto ed ancora calda si versa in grandi scatole di legno bagnato dove si lascia congelare abbastanza per poterla tagliare in pezzi rettangolari che si pongono a seccare su reti di filo. Secchi i pezzi si lucidano strofinandoli con pannilini.

Per la pittura, nelle imprimiture a gesso o come tempera, si adopera la colla di limbellucci o ritagli di pelle e quella di cartapecora.

Cennino Cennini insegna il modo di prepararle ambedue: « Egli è una colla che si chiama colla di spicchi la quale si fa di mozzature di musetti di caravella (capra), peducci, nervi e molte mozzature di pelli. Questa tal colla si fa di marzo o di gennaio quando sono quelli grandi freddi o venti; e fassi bollire tanto con acqua chiara che torna men che per mezzo. Poi la metti ben colata in certi vasi piani come conche da gialatina o bacini. Lasciala stare una notte. Poi la mattina con coltello la taglia a fette come di pane; [p. 231 modifica]mettila in su stuoie a seccare a venti senza sole: e viene perfetta colla».

Ed ancora: « Egli è una colla che si fa di colli di carta di pecora e di cavretti e mozzature delle dette carte. Le quali si lavano bene, mettonsi in molle un dì innanzi le metti a bollire; con acqua chiara, la fa' bollire tanto, che torni delle tre parti l'una. E di questa colla voglio, che quando non hai colla di spicchi, che adoperi sol di questa per ingessare tavole o vero ancone: che al mondo non puoi avere la migliore ».

Le colle di gelatina non si possono mantenere liquide senza mescolarle a qualche sostanza che ne impedisca il corrompersi. L'acido acetico, l'acetato di allumina o l'acido cromico possono servire all'uopo, ma con tali sostanze le colle alterano i colori e non sono più servibili per l'uso pittorico.

L'avvertimento del Cennini di fare le colle in gennaio e marzo viene dall'opportunità di operare in stagioni d'aria secca per il più rapido indurimento della gelatina, ed anche dipingendo a tempera di colla è da evitarsi il mantenere umide le tele o il preparato a gesso od a colla dei muri che verrebbero ad imputridire e guastare il dipinto.

Quando si devono ridurre in soluzione acquosa i pezzi secchi di colla, si mettono in molle per una notte con tanta quantità d'acqua che basti solo a coprirli. La colla secca si gonfia lentamente, e poi, a lento fuoco e meglio a bagnomaria, si allunga d'altra acqua sino alla scorrevolezza che si desidera.

A dare elasticità alle colle di gelatina, che seccando assumono durezza vitrea, facilitando lo spezzarsi e il distaccarsi delle imprimiture e dei colori sulle tele, giova la glicerina usata però con grande parsimonia perchè la sua natura igrofila, ove fosse in eccesso, non farebbe che ammuffire e corrompere la colla. [p. 232 modifica]

Per le commettiture delle tavole da dipingere usavano gli antichi una colla di formaggio e di calce, detta colla di fiaschetta, dal nome di certo formaggio bianco e giovine. Questa colla, che dal suo principio attivo più propriamente si dice oggi colla di caseina, si ottiene in tale modo: Preso il formaggio si sminuzza, oppure si taglia in sottilissime fette, e queste poste in una pezza e legate uso tampone si immergono colla mano in acqua calda spremendo finchè non n'esca più alcuna grassezza. Il residuo, che è caseina, si macina sulla pietra con un po' di calce viva sino alla consistenza di una pasta scorrevole; ed è pronta all'uso. Questa colla è di una tenacità straordinaria, ed indurita, non si discioglie più nell'acqua. Bisogna però prepararla volta per volta, perchè mantenuta liquida perde ogni forza e si corrompe rapidamente.

Le gomme. — Al pari delle resine le gomme sono sostanze che si trovano sulle corteccie di molte piante di grosso fusto in forma di goccie o lacrime di colore giallognolo, più o meno intenso, che essiccano sino ad una durezza cristallina.

Differiscono le gomme dalle resine per essere solubili nell'acqua e null'affatto nell'alcool, che anzi, questo le precipita dalle loro soluzioni acquose. La preferenza data alla gomma arabica, proveniente dalle acacie dell'Egitto, dell'Arabia e del Senegal, in confronto delle gomme scolanti dai nostri albicocchi, pruni e ciliegi, dipende dalla completa solubilità di quella nell'acqua.

Tutti i colori per l'acquerello e la miniatura sono sciolti nella gomma arabica, o meglio, si scioglievano in quella gomma, giacchè pare scomparsa dal commercio la vera gomma di tal nome, tanto frequentemente viene sostituita con contraffazioni ingegnose di destrina, gelatina ed altre materie appiccicanti di minor costo e di diversa proprietà. [p. 233 modifica]

Ma l'importante nei colori ad acquerello è che tutti presentino la stessa facilità di sciogliersi sulla tavolozza, ed una volta stesi sulla carta resistere al pennello bagnato che vi ritorna sopra e non esserne rimossi facilmente come se si lavorasse su l'avorio o sul vetro. Nel che contribuisce forse più la qualità della carta che non la bontà della gomma, vedendosi come sulle carte senza colla sia impossibile levare la macchia fatta da un colore sciolto nell'acqua pura e senz'ombra di gomma. Trovandosi perciò a dover scegliere fra gomme di qualità inferiore non rimane che da preferire quelle relativamente migliori partendo dalla maggior solubilità nell'acqua e dalla maggior limpidezza dei grani.

A togliere la durezza vitrea delle gomme che potrebbe danneggiare collo screpollo ed il distacco quegli strati di colore dove si trovassero condensate, è da preferirsi la glicerina allo zucchero ed al miele, una volta in uso.

Imprimitura delle tavole e delle tele. — La facilità del contorcersi e dello spaccarsi del legno, e i danni che porta seco fecero già da gran tempo abbandonare l'uso di dipingere sulle tavole, una delle abitudini meno rispondenti a quel costante spirito di previdenza per la durabilità delle opere che distingue tutte le pratiche della pittura antica. Sulle tavole l'imprimitura descritta dal Cennini riproduce l'universale norma seguitasi in tutte le epoche senza riguardo alla qualità del legno, che in Italia fu l'abete, il pioppo, l'oppio ed il salice.

Scelto il legno senza groppi e grandi contorcimenti di fibra, privato d'ogni sorta d'untumi, spianato e stuccato, dove fosse difetto di schegge o groppi saltati, con mastice di colla forte e segatura di legno, si commettevano le asse con colla di formaggio e calce, senza sprangature fisse in legno posteriormente; avendosi cura, se dei chiodi oltrepassavano sul piano da imprimere, di ribatterli molto [p. 234 modifica]addentro e coprirli di pezzetti di stagno perchè non arrugginissero il gesso e poscia i colori.

Le commettiture si coprivano poscia di striscie di tela incollate pel senso della lunghezza, non facendosi risparmio di colla, giacchè prima se ne spalmava bene tutta la superficie della tavola e le striscie di tela si immoliavano completamente nella colla spianandole poi ben bene colle mani. Il coprire le commettiture delle tavole con liste di tela fu invenzione, secondo il Vasari, di Margaritone d'Arezzo (1256-1313), ma secondo gli annotatori dell'edizione delle Vite del 1846, ciò si scorge anche in un paliotto d'altare segnato coll'anno 1215, d'incerto autore, nella Galleria delle Belle Arti di Siena.

Lasciata seccare la tavola all'aria — il Cennini raccomanda di approfittare, per questa operazione, di una giornata ben secca e ventosa — e tolta con una lama di ferro dalla punta arrotata ogni asperità possibile, si distendeva sulla tavola un primo strato di gesso da doratori tamigiato e macinato colla stessa colla allungata di un terzo d'acqua e calda.

Dopo due o tre giorni, raschiato convenientemente il piano e preparato un gesso più sottile, macinato sempre a colla, come quello dello strato precedente, con un pennello di setola se ne dava uno strato generale spianando in tondo col palmo della mano per incorporare il gesso sottile con quello più grosso. Lasciato riposare ma non seccare completamente il gesso, senza più adoperare la mano ma col pennello, si ripeteva otto volte lo strato di gesso prolungando il lavoro sino alla notte, se occorreva, in modo che non si abbandonasse la tavola che ad opera compiuta. Seccato il gesso all'aria, riparandolo dal sole, ciò che richiedeva alcuni giorni, la tavola veniva passata con un raschiatoio piano, non più largo di un dito, adoperato leggermente, spazzandosi avanti a sè con un mazzo di penne [p. 235 modifica]la raschiatura sinchè il piano fosse ridotto eguale e lustro come avorio, e la tavola era pronta per essere dipinta.

Nelle tele che i Veneti preferirono alle tavole generalizzandone l'uso, del quale uno dei più antichi esempi fu il ritratto gigantesco ordinatosi da Nerone, alto, stando a Plinio, 320 piedi la imprimitura col gesso si compone delle stesse proporzioni di colla e gesso usati nelle tavole.

La tela migliore è quella di canepa, non troppo unita nè troppo rada. Scelta nelle grandezze convenienti si tende su appositi telai e passatavi una mano di colla, quando questa è secca, si copre dell'impasto di gesso e colla tenuto pronto, ad un grado di calore sufficente perchè non si rappigli la colla durante l'operazione di stenderne con una spatola lo strato più o meno sottile che si desidera di ottenere. Secco il gesso si raschia ogni groppo o filo sporgente con carta vetrata o pomice evitando di impoverire oltre misura la tela del gesso per non dovere fare dei rappezzi difficili da pareggiare.

La tela a gesso stropicciandola fra le dita non deve abbandonare il gesso — nè questo screpolarsi — cosa che denoterebbe nel primo caso una deficenza di colla, nel secondo un eccesso di imprimitura.

Il gesso. — Nella preparazione delle imprimiture delle tavole e delle tele, la qualità del gesso è della massima importanza. Il gesso o solfato di calce è una combinazione dell'acido solforico colla calce che si trova in natura sotto forma di pietre, dette pietre da gesso o scagliola secondo si presenta nelle cave a blocchi od a scaglie.

Calcinata questa pietra per toglierle l'acqua di cristallizzazione prende il nome di gesso da stuccatori o da forma- tori per l'uso che se ne fa nelle decorazioni in rilievo e nei calchi e riproduzioni della scultura. [p. 236 modifica]

Lo stesso gesso polverizzato, lasciato macerare in acqua, macinato e ridotto in pani, che si lasciano ben seccare, forma il gesso così detto da doratori, che è quello adoperato per le imprimiture delle tavole e delle tele da dipingere.

La differenza da notare fra il gesso degli stuccatori e dei formatori e quello dei doratori, detto anche gesso Gaeta e gesso marcio, sta in questo, che il primo mescolato coll'acqua, della quale è avidissimo, fa presa rapidamente acquistando una grande durezza, mentre il gesso dei doratori, per la macerazione subita, non ha più coesione e non diventa solido che mescolandolo a qualche colla.

Il gesso per l'uso delle imprimiture deve essere bianchissimo, ed opaco; non presentare granulazioni di sorta e sciogliersi compiutamente nell'acqua senza dar luogo a sviluppo di calore.