La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro primo/Capitolo CI

Da Wikisource.
Libro primo
Capitolo CI

../Capitolo C ../Capitolo CII IncludiIntestazione 16 luglio 2008 75% Autobiografie

Libro primo - Capitolo C Libro primo - Capitolo CII

In mentre che cosí vigorosamente io seguitavo le mie imprese, mi venne una lettera mandatami con diligenza dal Cardinale di Ferrara, la quale diceva in questo tenore: “Benvenuto caro amico nostro. Alli giorni passati questo gran Re Cristianissimo si ricordò di te, dicendo che desiderava averti al suo servizio. Al quale io risposi, che tu m’avevi promesso, che ogni volta che io mandavo per te per servizio di Sua Maestà, subito tu verresti. A queste parole Sua Maestà disse: - Io voglio che si gli mandi la comodità da poter venire, sicondo che merita un suo pari - e subito comandò al suo Amiraglio, che mi facessi pagare mille scudi d’oro da il tesauriere de’ risparmi. Alla presenza di questo ragionamento si era il cardinale de’ Gaddi, il quale subito si fece innanzi e disse a Sua Maestà, che non accadeva che Sua Maestà dessi quella commessione, perché lui disse averti mandato danari a bastanza, e che tu eri per il cammino. Ora se per caso egli è il contrario, sí come io credo, di quel che ha detto il cardinal de’ Gaddi, aùto questa mia lettera, rispondi subito, perché io rappiccherò il filo, e farotti dare li promessi danari da questo magnanimo Re”.

Ora avvertisca il mondo e chi vive in esso, quanto possono le maligne istelle coll’avversa fortuna in noi umani! Io non avevo parlato due volte a’ mie’ dí a questo pazzerellino di questo cardinaluccio de’ Gaddi; e questa sua saccenteria lui non la fece per farmi un male al mondo, ma solo la fece per cervellinaggine e per dappocaggine sua, mostrandosi di avere ancora lui cura alle faccende degli uomini virtuosi che desiderava avere il Re, sí come faceva il cardinal di Ferrara. Ma fu tanto iscimunito da poi, che lui non mi avvisò nulla; che certo io per non vituperare uno sciocco fantoccino, per amor della patria, arei trovato qualche scusa per rattoppare quella sua sciocca saccenteria. Subito aùto la lettera del reverendissimo cardinale di Ferrara, risposi, come del cardinal de’ Gaddi io non sapevo nulla al mondo, e che se pure lui mi avessi tentato di tal cosa, io non mi sarei mosso di Italia senza saputa di Sua Signoria reverendissima, e maggiormente che io avevo in Roma una maggior quantità di faccende che mai per l’adietro io avessi aute; ma che a un motto di Sua Maestà cristianissima, dettomi da un tanto Signore, come era Sua Signoria reverendissima, io mi leverei subito, gittando ogni altra cosa a traverso. Mandato le mie lettere, quel traditore del mio lavorante perugino pensò a una malizia, la quale subito gli venne ben fatta rispetto alla avarizia di papa Pagolo da Farnese, ma piú del suo bastardo figliuolo, allora chiamato duca di Castro. Questo ditto lavorante fece intendere a un di que’ segretari del signor Pierluigi ditto, che, essendo stato meco per lavorante parecchi anni, sapeva tutte le mie faccende; per le quale lui faceva fede al ditto signor Pierluigi, che io ero uomo di piú di ottanta mila ducati di valsente, e che questi dinari io gli avevo la maggior parte in gioie; le qual gioie erano della Chiesa, e che io l’avevo rubate nel tempo del sacco di Roma in castel Sant’Agnolo, e che vedessino di farmi pigliare subito e segretamente. Io avevo, una mattina infra l’altre, lavorato piú di tre ore innanzi giorno in sull’opere della sopra ditta isposa, e in mentre che la mia bottega si apriva e spazzava, io m’ero messo la cappa addosso per dare un poco di volta; e preso il cammino per istrada Iulia, isboccai in sul canto della Chiavica; dove Crespino bargello con tutto la sua sbirreria mi si fece in contro, e mi disse: - Tu se’ prigion del Papa -. Al quale io dissi: - Crespino, tu m’hai preso in iscambio. - No - disse Crespino - tu se’ il virtuoso Benvenuto, e benissimo ti cognosco, e ti ho a menare in castel Sant’Agnolo, dove vanno li signori e li uomini virtuosi pari tua -. E perché quattro di quelli caporali sua mi si gittorno addosso e con violenza mi volevan levare una daga che io avevo a canto e certe anella che io avevo in dito, il ditto Crespino a loro disse: - Non sia nessun di voi che lo tocchi: basta bene che voi facciate l’uffizio vostro, che egli non mi fugga -. Dipoi accostatomisi, con cortese parole mi chiese l’arme. In mentre che io gli davo l’arme, mi venne considerato che in quel luogo appunto io avevo ammazzato Pompeo. Di quivi mi menorno in Castello, e in una camera su di sopra, innel mastio, mi serrorno prigione. Questa fu la prima volta che mai io gustai prigione, insino a quella mia età de’ trentasette anni.