Libro primoCapitolo CXIII
../Capitolo CXII
../Capitolo CXIV
IncludiIntestazione
16 luglio 2008
75%
Autobiografie
<dc:title> La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze </dc:title>
<dc:creator opt:role="aut">Benvenuto Cellini</dc:creator>
<dc:date>1558</dc:date>
<dc:subject></dc:subject>
<dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights>
<dc:rights>GFDL</dc:rights>
<dc:relation></dc:relation>
<dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_vita_di_Benvenuto_di_Maestro_Giovanni_Cellini_fiorentino,_scritta,_per_lui_medesimo,_in_Firenze/Libro_primo/Capitolo_CXIII&oldid=-</dc:identifier>
<dc:revisiondatestamp>20110420232450</dc:revisiondatestamp>
//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_vita_di_Benvenuto_di_Maestro_Giovanni_Cellini_fiorentino,_scritta,_per_lui_medesimo,_in_Firenze/Libro_primo/Capitolo_CXIII&oldid=-
20110420232450
La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze - Libro primo Capitolo CXIII Benvenuto Cellini1558
Alla presenza di queste parole si era quel gentiluomo di Santa Fiore con il quale io avevo aùto parole, e affermò al Papa tutto quel che il suo figliuolo aveva detto. Il Papa stava gonfiato e non parlava nulla. Io non voglio mancare che io non dica le mie ragione giustamente e santamente. Questo gentiluomo di Santa Fiore venne un giorno a me e mi porse un piccolo anellino d’oro, il quale era tutto imbrattato d’ariento vivo, dicendo: - Isvivami questo anelluzzo e fa presto -. Io che avevo innanzi molte opere d’oro con gioie importantissime, e anche sentendomi cosí sicuramente comandare da uno a il quale io non avevo mai né parlato né veduto, gli dissi che io non avevo per allora isvivatoio, e che andassi a un altro. Costui, sanza un proposito al mondo, mi disse che io ero uno asino. Alle qual parole io risposi, ch’e’ non diceva la verità, e che io era uno uomo in ogni conto da piú di lui; ma che se lui mi stuzzicava, io gli darei ben calci piú forte che uno asino. Costui riferí al Cardinale e li dipinse uno inferno. Ivi a dua giorni io tirai drieto al palazzo in una buca altissima a un colombo salvatico, che covava in quella buca; e a quel medesimo colombo io avevo visto tirare piú volte da uno orefice che si domandava Giovan Francesco della Tacca, milanese, e mai l’aveva colto. Questo giorno che io tirai, il colombo mostrava appunto il capo, stando in sospetto per l’altre volte che gli era stato tirato; e perché questo Giovan Francesco e io eravamo rivali alle caccie dello stioppo, essendo certi gentiluomini e mia amici in su la mia bottega, mi mostrorno dicendo: - Ecco lassú il colombo di Giovan Francesco della Tacca, a il quale gli ha tante volte tirato: or vedi, quel povero animale sta in sospetto; a pena che e’ mostri il capo -. Alzando gli occhi, io dissi: - Quel poco del capo solo basterebbe a me a ammazzarlo, se m’aspettassi solo che io mi ponessi a viso il mio stioppo -. Quelli gentiluomini dissono, che e’ non gli darebbe quello che fu inventore dello stioppo. Al quale io dissi: - Vadine un boccale di grego di quel buono di Palombo oste, e che se m’aspetta che io mi metta a viso il mio mirabile Broccardo (che cosí chiamavo il mio stioppo) io lo investirò in quel poco del capolino che mi mostra -. Subito postomi a viso, a braccia, senza appoggiare o altro, feci quanto promesso avevo, non pensando né al Cardinale né a persona altri; anzi mi tenevo il Cardinale per molto mio patrone. Sí che vegga il mondo, quando la fortuna vuol torre a ’ssassinare uno uomo, quante diverse vie la piglia. Il Papa gonfiato e ingrognato, stava considerando quel che gli aveva detto il suo figliuolo.